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La donna irlandese che sparò a Mussolini

di Fabio Lambertucci

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Un nuovo capitolo delle rivisitazioni di Fabio Lambertucci di fatti e stranezze del passato, in particolare dell’epoca fascista: delle donne italiane che scrivevano a Mussolini e di Violet Gibson che gli sparò nel 1926 e che per un soffio non lo uccise. Storia con qualche risvolto magico… 

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Caro Duce…
Quando scrivere una lettera a Mussolini? – si chiedeva il Corriere della Sera in un elzeviro del 3 novembre 1936.
In un’ora triste della vita… – rispondeva – Quando ci si guarda attorno e non si sa più a chi rivolgersi, ci si ricorda che c’è Lui. Chi, se non Lui, può provvedere? 

Al duce, infatti, i corrispondenti non mancarono mai e dal ’22 al ’43, nella sua ventennale carriera di dittatore, ricevette solo dall’Italia oltre mezzo milione di lettere e moltissime furono quelle di donne.
Contadine e operaie, impiegate e contesse, suore e prostitute, borsaneriste e spose, vedove e maestrine, bambine e centenarie lo tempestarono di missive.
Il record della costanza, comunque, lo stabilì una casalinga di Bologna, M.T.B., che fra il ’37 e il ’43 gli spedì 848 lettere, una ogni tre giorni, durante sette anni consecutivi.

La segreteria particolare del duce, una elefantiaca organizzazione che giunse ad avere un centinaio di dipendenti, era incaricata di leggere, vagliare, smistare, protocollare e segnalare tutta quella montagna di carta. In larghissima parte si trattava di richieste di posti di lavoro e di raccomandazioni ma parecchie erano le lettere che rivelavano presunti scandali, ruberie di regime, sopraffazioni, abusi o invocavano giustizia.
Più numerose ancora le richieste di sussidi. La segreteria, che istituzionalmente distribuiva molto denaro (durante un viaggio del duce in Romagna nel ’39, elargì donazioni per quasi sei milioni di lire), rispondeva di solito inviando, tramite le prefetture, 50 o 100 lire, oppure con una delle tre tipiche forme di sussidio adottate dal ’34 al ’42: un pacco-dono o un sacco di farina o una macchina per cucire Necchi.

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L’interesse di queste lettere di donne italiane al duce, raccolte e curate dal giornalista Giorgio Boatti (Zinasco, 1948) nel volume Caro Duce. Lettere di donne italiane a Mussolini, 1922-1943 (Rizzoli, 1989) arricchito da una prefazione della celebre giornalista e scrittrice Camilla Cederna (Milano, 1911-1997), va al di là del dato statistico e del documento.
Specchi rivelatori di autentiche esperienze, le implorazioni, le suppliche, le doglianze, gli avvertimenti, gli appelli (e persino lo sfogo di Michela C. di Siena, che trascurata da un marito “freddo come un canapo” si offre esplicitamente a Mussolini) sono l’obiettivo impietoso che scava e scruta nella condizione umana di un’Italia provinciale e rurale.
Dentro c’è di tutto: una vedova di guerra vanta la morte del marito come titolo per ottenere un sussidio, una ventenne chiede di poter andare a combattere, una ragazza-madre invoca le nozze riparatrici, una cameriera implora di essere scagionata dall’accusa di furto, una bambina vuole che sia il duce a impartirle la prima comunione, un’altra vedova pretende che le vengano restituiti i soldi prestati dal marito per finanziare la marcia su Roma, un’aspirante poetessa invia una incredibile lode che inizia: “Mussolini di nome Benito/ dove sei ito, dove sei ito?…”.

Il pregio dell’epistolario è proprio nel comporre una storia patria tridimensionale (di costume, di mentalità e di cultura) e nel disegnare un aspetto della condizione femminile sotto il fascismo e, soprattutto, nel mostrare come le donne italiane videro Mussolini nella coatta realtà del quotidiano e fra loro ci sono anche quelle poche che, coraggiosamente, gli rimproverarono i disastri della guerra mondiale.

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La donna irlandese che sparò a Mussolini
Nessuna italiana però sparò mai a Mussolini. Se ne fece carico, invece, una donna irlandese: Violet Albina Gibson. Quando a Roma sul Campidoglio la mattina del 7 aprile 1926, Mussolini venne da lei ferito con una rivoltellata sul naso, l’eco negli ambienti ufficiali fu enorme: la Cassazione, sdegnata, sospese le udienze; il generale Pietro Badoglio si precipitò sul luogo dell’attentato e in una riunione dello Stato Maggiore ringraziò Dio “per aver conservato all’Italia il suo duce”, il Corpo diplomatico pretese, unanime, un bollettino sullo stato di salute del capo del governo e Gabriele D’Annunzio telegrafò liricamente a Mussolini che “la tua testa, colpita o non colpita, resterà più alzata che mai” (1).

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Il giorno dopo l’attentato, Mussolini compì un viaggio in Libia e si mostrò a Tripoli con un vistoso cerotto sul naso

Comunque quell’attentato non fu il segnale per una sommossa anarchico-antifascista. Infatti risultò quasi subito che Violet Albina Gibson, nata a Dublino nel 1876, nubile, figlia ribelle di Edward Gibson, primo barone di Ashbourne e Lord Cancelliere d’Irlanda, era una povera squilibrata: venuta in Italia con l’intenzione di uccidere papa Pio XI, aveva poi, per chissà quale sconvolgimento della sua mente malata, abbandonato il suo progetto iniziale, sparando a Mussolini.
La storia di questa donna esile, dai capelli bianchissimi, che dopo ripetuti tentativi di suicidio e scenate clamorose (una volta a teatro, si spogliò completamente alle note di Dio salvi il re rimanendo in lunghe calze nere) morirà nell’ospedale psichiatrico di St. Andrew il 4 maggio 1956, alla vigilia degli 80 anni, venne ricostruita da Richard Oliver Collin (Buffalo, 1940) nel saggio La donna che sparò a Mussolini (Rusconi, 1988) con dovizia di documenti provenienti dalla famiglia e dagli archivi statali inglesi.

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I segni della follia Violet li aveva rivelati fin dal 1909, in seguito alla morte del fidanzato: prima aveva aderito al socialismo, poi si era fatta cattolica, infine aveva cominciato a viaggiare da sola in Francia e in Italia spendendo la sua eredità in beneficenza spicciola (nel febbraio 1925, ospite di un convento di Roma, si era esplosa una rivoltellata al petto dinnanzi a un altarino improvvisato). Arrestata sulla scalinata del Campidoglio un istante dopo aver sparato a Mussolini ed essere sfuggita al linciaggio, Violet non tardò a essere riconosciuta affetta da paranoia cronica con allucinazioni.
Le voci però che all’origine dell’attentato, vi fosse un complotto antifascista o un’offensiva del terrorismo europeo, ripresero nel giugno del ’26 quando, dopo mesi di mutismo assoluto fatto di “Non ricordo”, Violet confessò improvvisamente al giudice istruttore di aver premeditato l’uccisione di Mussolini e di aver agito con altri che le avevano fornito  rivoltella e proiettili.
La Gibson fece i nomi dell’onorevole duca Giovanni Antonio Colonna di Cesarò (1878-1940, ministro delle Poste e Telegrafi dal 1922 al 1924, segretario del Partito Democratico Sociale Italiano, tra i promotori con il demosociale e segretario dell’Unione Nazionale Giovanni Amendola (1882-1926) della secessione aventiniana, massone della Gran Loggia d’Italia, neopagano romano ed antroposofo del gruppo esoterico romano I Magi di Ur (2) e dell’anarchico parigino Giovanni Cristoforo Perrot.

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Scrive il giornalista Piero Melati nell’articolo Vita e amori esoterici di Sibilla Aleramo, apparso sul “Venerdì di Repubblica” del 19 giugno 2015: – “Il duca Colonna di Cesarò viene sospettato di averle armato la mano grazie a un “comando telepatico” ordito da una “catena magica”. L’ipotesi non era considerata priva di fondamento. Era noto a tutti che i Magi di Ur propugnavano la formazione di “catene magiche”, allo scopo di influenzare la politica del fascismo. Come? Nel modo più banale: tramite semplici annunci pubblicitari. Scrivevano nelle loro riviste: “Coloro che, ritenendo di poterlo, vogliono entrare in questa catena, ci comunichino indirizzo, nome, cognome e data di nascita”. Ma, piccati, precisavano anche: “Coloro che da noi chiedono l’iniziazione come potrebbero chiedere che si estragga loro un dente, ovvero le visioni come potrebbero vederle al cinematografo, sbagliano strada. Salvo in casi d’eccezione, noi ci limitiamo a dare delle vie e dei mezzi, affinché chi vuole faccia”.

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Ispirandosi a queste suggestioni nel 2005 lo scrittore Claudio Mauri (Milano, 1952) ha pubblicato per i tipi dell’editore Ugo Mursia il romanzo storico La catena invisibile. Il giallo del fascismo magico dove “sulla base di documenti e testimonianze dell’epoca ha avanzato l’ipotesi che Cesarò abbia fatto parte di una catena magica costituita da cinque persone che tramite suggestione ipnotica avrebbe spinto la Gibson a compiere l’attentato” (fonte Wikipedia).
La Gibson però ritrattò tutto, il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato, il 6 maggio 1927, la riconobbe totalmente inferma di mente e quindi non punibile e la rimandò a Londra. Da allora, e per quasi trent’anni, Violet Gibson visse chiusa in manicomio e vi morì dimenticata.
Riposa, con i suoi segreti, nel cimitero di Northampton. Nel marzo di quest’anno il regista Barrie Dowdall ha presentato in Irlanda il film docu-fiction “Violet Gibson. The irishwomen who shot Mussolini” con la grande attrice irlandese Olwen Fouéré nel ruolo della Gibson. Ha dichiarato Dowdall: “Se un uomo avesse fatto quello che ha fatto la Gibson, probabilmente ci sarebbe stata una statua in suo onore”.

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Note

(1) – Secondo Bruno Vespa e altri studiosi, fu in quella occasione che Claretta Petacci scrisse al Duce la lettera di felicitazioni per lo scampato pericolo con cui egli la notò e volle conoscerla, legandola in seguito al suo destino. Anche il papa Pio XI scrisse una lettera di analoga congratulazione (fonte Wikipedia).

(2) – I Magi di Ur – Il “Gruppo di Ur” è stato un sodalizio esoterico rivelatosi a partire dal 1927, fondato dall’esoterista pitagorico Arturo Reghini (1878-1946), dal filosofo Giovanni Colazza (1877-1953), discepolo di Rudolf Steiner (1861-1925), fondatore della Teosofia, e dal pittore e poeta dadaista Giulio Cesare Andrea Evola, conosciuto poi come Julius Evola (1898-1974) e del quale fece parte l’esoterista pitagorico, mago e massone Giulio Parise (1902-1969).
Il Gruppo apparve nel gennaio del 1927. Dal romanzo ‘Amo dunque sono’ di Sibilla Aleramo, ch’ella pubblicava nel 1927 rievocando le proprie vicende sentimentali e intellettuali negli anni 1925-26 con Julius Evola e Giulio Parise, si capisce che il Cenacolo iniziatico era attivo almeno dal 1926 (ulteriori informazioni su Wikipedia [11]).

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Appendice del 22 febbr. 2021 (un articolo de la Repubblica di oggi – Cfr. Commento di Sandro Russo)
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La Repubblica 22 febbr. 2021. L’omaggio alla donna che sparò al Duce [13]