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Ponza ai tempi del colera (o del coronavirus)

di Enzo Di Giovanni                                                                                                                                        .

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Parlare di Coronavirus in questi giorni è quanto meno azzardato.
Fin che siamo stati Covid free, ci siamo potuti concedere il lusso di far finta che la cosa “non ci apparteneva”, come usiamo dire a Ponza.
In primavera su Ponzaracconta abbiamo persino tenuto una sorta di diario giornaliero tra il serio ed il faceto, ma sempre col distacco di chi i rumori di artiglieria li sente da oltre frontiera (per noi da oltremare).
Ora è diverso. Il virus si è diffuso a macchia d’olio grazie ad una migliore mappatura ed ad un rilassamento fisiologico, oltre che per esigenze economiche, che ci ha permesso in estate ed autunno di riprendere una vita quasi normale.

E’ azzardato parlarne perché in un contesto simile, in cui tutto dipende dai numeri, le situazioni ovviamente mutano di continuo, ed i tanti DPCM che si sovrappongono lo confermano.
E così, ci troviamo stretti, in un percorso accidentato, con i colori delle regioni che cambiano di continuo, tra ipotesi di una riapertura parziale di stampo natalizio, e la cronaca che ci racconta di ospedali presi d’assalto anche con movimenti di persone extra regionali.
Perché dal negazionismo al panico il passo è breve.

E a Ponza?
E’ un autunno mite, il tempo è variabile come il nostro umore, la “vita sociale” è tra parentesi, perché già lo è di norma, figuriamoci in questo periodo.
Gli unici bagliori sono sui social, in cui si cerca di fare chiarezza tra le varie norme di contenimento del virus, in verità a volte abbastanza astruse, come nel caso della scuola.
E allora vi propongo una testimonianza di 130 anni fa, con tanto di corollario complottista, perché munn jer, munn jè, e munn sarrà

Il clima di Ponza è mite, e lo sarebbe ancora di più se l’essere esposta ai troppo frequenti venti, non lo rendessero variabilissimo… L’incostanza della temperatura è sovente causa di incomodacci, infermità di poco conto; ma d’altra parte i venti scongiurano di certe malattie contagiose, rinnovando l’aria e portando altrove i morbi. Ciò si è verificato l’anno 1887 allorché nel mese di ottobre si presentarono alcuni casi di colera, che fecero vittima tre coatti: altrettanti paesani furono colpiti; ma salvi, certo dalle premure delle loro proprie famiglie, e da cure che i maggiori mezzi permettevano. Presentossi il colera, dico, ed al terribile nome un timor panico invase l’intera isoletta. Prontamente si adottarono mezzi energici per impedirne la propagazione, intanto qualcuno della bassa plebe andava sotto voce mormorando di non so qual ordine segreto giunto da fuori di eliminare in parte il popolino per non dovergli dare pane; di conseguenza sospetti contro untori immaginari, e timore che non si corrompessero le acque ed i principali generi mangerecci; odii contro le persone altolocate e sorde minacce di vendetta.
Per consiglio di prudenza fu schierato di picchetto quasi tutto il pelottone di fanteria nelle prossimità dell’ospedale, ma fortuna volle che lo spaventevole morbo, a sua volta spaventato, se ne andasse pago di così poca preda.
I sospetti, gli odi e le tacite congiure tacquero per dar posto alla calma primitiva…”
(*).

Letteralmente “mondo era, mondo è, mondo sarà: modo popolare per dire che in fondo non cambia mai nulla, nella storia dell’uomo.

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(*) – Tratto da Impressioni [3], opera di Gabriella Moriondo. Nata a Milano, conseguì a Genova il diploma di maestra di scuola. Ad appena vent’anni accettò l’incarico di insegnamento a Ponza, nel 1887. A Ponza si sposò nel 1897 con Giovanni Coppa, che ricoprì anche il ruolo di sindaco, oltre che di notaio. Il figlio Ezio divenne docente universitario di Medicina del Lavoro e deputato dell’Assemblea Costituente e della Camera.