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Norman Douglas ha scritto di Ponza (1)

di Matteo Berlucchi

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La copertina interna del libro originale

Desmond Harmsworth
44 Great Russell Street
LONDON
(Pubblicato per la prima volta nel 1931  – Copia 234 di 500)

Nota dell’Autore
Questi appunti di viaggio sono stati scritti parecchio tempo fa.
Il primo, su Ischia, registra le impressioni raccolte dopo molti viaggi presso quell’isola; al contrario, ho visitato Ponza solamente una volta, nel luglio del 1908. Agosto sarebbe stato troppo tardi a causa delle mosche e della polvere, e durante l’inverno e la primavera questi posti sono inabitabili.
Alcune sezioni degli appunti su Ischia sono state riutilizzate in un altro mio libro: non penso che questo abbia rilevanza in quanto nessuno mai lo leggerà. Joseph Conrad cita questi appunti in una lettera che è stata pubblicata (Life and Letters, Vol II, p. 67).

Traduzione di Matteo Berlucchi, Londra, Ottobre 2020
(Nota del traduttore: Ho tradotto solamente la parte del libro di Douglas che parla di Ponza).

Ponza, l’isola dell’oblio

C’è poco da stupirsi se i pochi pittori che visitano il gruppo di isole vulcaniche di Ponza – come ad esempio Böcklin – ritornino sconcertati dalla bellezza dello scenario delle sue scogliere.

Improbabile, è l’unico termine che esprime l’effetto che hanno sulla mente le grotte che si aprono alle onde con maestosità architettonica, come una cattedrale in penombra; od i suoi precipizi di lava ed altri elementi più morbidi che risplendono nei toni più accesi del bianco, rosso sangue e verde; del grigio perla del nero e del giallo. La cosa singolare è che questi colori non si mescolano l’uno con l’altro in nessuna gradazione – rimangono nettamente definiti come le varie nazioni su una mappa a colori. Improbabile, onirica, troppo strana, forse, per soddisfare l’immaginazione di artisti e poeti ordinari. Mi ero quasi dimenticato di menzionare la principale caratteristica di questa fantasmagoria – quelle distese immacolate di malva e eliotropio, pure come dei drappi di seta, che discendono dagli altopiani giù fino alle spiagge dove i pescatori siedono riparando le loro reti per l’imminente lavoro della notte.

Cristallografi come Scrope e Doelter vi potranno dire i nomi di tutte le rocce delle isole di Ponza; le hanno studiate per parecchi anni ormai. Ma come potranno spiegare come sia possibile che pietre, che quando tenute in mano si mostrano come tutte le pietre comuni, possano brillare con questi colori fatati quando si presentano tutte insieme? Come è possibile che queste venature di pece opaca possano produrre dei bagliori metallici di verde grigio inebriante,  mentre i promontori di trachite marrone bruciano come rubini e ametiste incandescenti? Che sia il loro confluire insieme? Il mare, il sole?

Il motivo per cui andammo a Ponza non fu né per lo scenario né per la geologia. Fu per semplice fastidio – per il desiderio di visitare quest’isola una volta per tutte. Giorno dopo giorno vedevamo queste isole dalla nostra terrazza a Ischia, arrossate dagli ultimi raggi del tramonto; giorno dopo giorno ci chiedevamo: quando andiamo? C’è un vaporetto due volte alla settimana, perché non domani?

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In realtà, una volta che si è completato il giro dell’isola principale a forma di mezzaluna – una cosa che richiede abbastanza tempo visto che è piena di profonde insenature, come un pezzo di pane imburrato che è stato sgranocchiato da un bambino da entrambi i lati – e dopo che si è navigato fino ai vicini isolotti di Zannone e Palmarola, non rimane un gran che da vedere.
Un buon sentiero cavalcabile percorre la sommità di Ponza ed offre la miglior opportunità di vedere la campagna. Fu creato dagli inglesi che occuparono l’isola per proteggere i loro amici Borboni e spesero un sacco di soldi per costruire delle fortezze, una delle quali, all’entrata del porto, fu poi venduta per trentacinque franchi insieme alla rocca su cui si erge.

Questo potrebbe fare pensare che la terra costi poco a Ponza. Tutt’altro! Solo le rocce costano poco. Stanno arrivando un sacco di soldi dall’America e tutti stanno costruendo case. Il prezzo della terra è aumentato in modo incredibile, soprattutto perché quasi tutta è idonea per la coltivazione.
Dal punto di vista dello scenario naturale, all’interno non c’è niente da vedere. Una serie di colline basse dal dorso tondo, coltivate fino alla sommità con vigneti…

Questi Ponzesi sono una brutta razza: napoletani con una traccia di sangue saraceno. Ciononostante, sono sorprendentemente onesti, e possiedono una caratteristica che ha causato la nostra ammirazione – la pulizia delle loro case di campagna. Queste abitazioni microscopiche vengono imbiancate a nuovo ogni settimana, e le stanze all’interno pulite scrupolosamente quanto le facciate, spesso abbellite con disegni in blu e giallo, creando un’immagine gioiosa tra le verdi vigne. La popolazione è aumentata da mille a seimila persone durante l’ultimo secolo, ed a mio avviso ha raggiunto il limite.

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Abbiamo trovato il camminare durante il giorno la cosa più faticosa, a causa dell’assenza di ombra. Chi mai potrebbe credere che cento anni fa l’isola era ricoperta da alberi? Che il carbone, legname e calce (bruciata, chiaramente, con combustibile locale) fossero le materie principalmente esportate, e che fresche sorgenti sgorgassero ad ogni passo? Così narra “Ultramontain”(1) nei suoi racconti personali nel 1822. Egli aggiunge che, grazie all’abbondanza dell’acqua, c’erano talmente tante beccacce che gli abitanti non sapevano cosa farne finché non impararono a fare delle salsicce con la loro carne. Oggigiorno, l’acqua scarseggia; la calce ed il carbone devono essere importati dalla terra ferma, e non cresce più niente che si possa chiamare un albero su tutta l’isola a parte alcuni alberi di fico e alberi di gelso, che vengono lasciati crescere per i loro frutti.

Una passeggiata che va assolutamente fatta (possibilmente nel pomeriggio, perché in quel momento è all’ombra) è quella che porta al nuovo faro, che si trova arroccato su un picco roccioso all’estremità sud di Ponza. Il cammino si snoda su per la collina dietro il paese da cui si può vedere tutta l’isola che giace ai nostri piedi – il porto circolare, un cratere estinto, con il suo sfondo di colline cosparse da innumerevoli casette bianche. Poco dopo si biforca in due sentieri, ed il più ripido si inerpica fino al Monte Guardia, il punto più alto di Ponza, dove si trova una stazione radio ed un apparato Marconi, i cui funzionari hanno quell’aria di misteriosa importanza che a questi gentiluomini piace dare come immagine di se stessi e delle loro banali mansioni. Ma il nostro cammino si immerge sotto le nere falesie a poi si arrampica, tra cunicoli e sopra cigli di roccia simili a rasoi, fino alla piattaforma artificiale alla fine del promontorio sul quale si erge il faro. Come sia mai arrivato lì resta un miracolo. La strada rappresenta un piccolo miracolo di ingegneria, e non ci siamo stupiti quando abbiamo saputo che diverse persone hanno perso la vita durante i lavori.

Il tipo di roccia di cui è costituito questo pinnacolo è la trachite. Vista dal mare, soprattutto con la luce della mattina, l’intera montagna appare avvolta da una luce soffusa rosata di una tale intensità da apparire surreale – come il tessuto di un sogno. Tali sono le meraviglie di Ponza.

E che piacere, dopo un cammino così stancante, tuffarsi nel mare! La nostra scelta fu Chiaia di Luna – la baia della luna, così chiamata a causa della sua forma – perché qui le onde frangevano con un suono più dolce. Giace sul lato occidentale dell’isola, opposta al porto principale, ma a soli dieci minuti di cammino – visto quanto è stretta la terra in questo punto; ad una buona parte del cammino si incontra un tunnel scavato dai Romani – che scavarono come talpe su tutta Ponza.
Non avevano molto altro da fare, poveri diavoli! Erano esiliati, tutti quanti, e scavare e costruire su questa roccia solitaria erano i principali passatempi.

Su Ponza e le sue isole c’è una maledizione. Chi sbarcava qui veniva dimenticato dal mondo. Isole dell’oblio, dell’esilio…

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Qui venivano mandati tutti quelli che, per una ragione o per l’altra, erano ripudiati dai Poteri Forti nell’antica Roma. Giulia, la licenziosa figlia di Augusto; Nerone figlio di Germanico, e sua madre Agrippina, che morì di fame sull’isola ed i resti della quale furono poi riportati nella capitale da Caligola con grande sfarzo e pompa magna.

La gente del posto sostiene che anche Ponzio Pilato fu esiliato qui; in fatti dicono che le isole abbiano preso il proprio nome da lui. Chi, se non lui, avrebbero mai potuto costruire quelle sontuose sale da bagno – i Bagni di Pilato – nobiliari grotte ritagliate nella scogliera a filo d’acqua, con enormi sale sul retro, ed un ingegnoso sistema per fornire acqua potabile? Un altro di questi sventurati, dal gusto sopraffino, costruì un’ariosa villa sull’isoletta Faraglione non lontano dal porto, le cui fondamenta sono ancora visibili.

Questi esuli del passato (poiché successivamente arrivarono una marmaglia di buoni a nulla) erano autorizzati a portare con sé venti schiavi e cinquantamila sesterzi, ed è indubbio che fu grazie alla loro intelligenza e ricchezza che furono costruite le gallerie e gli acquedotti che costellano l’isola. C’è, per esempio, la Grotta del Serpente, senza dubbio un’antica cisterna. Comprende cinque enormi sale sotterranee, ognuna lunga quasi 30 metri, separate da larghi pilastri – un vero e proprio lago sotterraneo. L’acqua veniva anche portata fino al porto dalla lontana Cala dell’Inferno grazie a dei tubi e dei tunnel scavati lungo la pareti di roccia che scendono al mare. Questi sono ancora chiaramente visibili oggi lungo tutta la costa orientale dell’isola. L’acqua sgorga ancora dalle rocce ma in quantità molto ridotta; i pescatori sopraggiungo qui per placare la loro sete ed a contemplare questo progetto che i ‘demoni’ di un’era che fu riuscirono ad immaginare e creare.

Ci stupimmo di scoprire che a Ponza ci sono i resti di una grande civiltà pre-Romana. Sopra il paese, dove oggi è situato il cimitero, si trova un luogo dove probabilmente sorgeva una cittadella, e, osservandolo dal mare, abbiamo rilevato, con discreta certezza, alcuni blocchi facenti parte di una struttura preistorica del tipo conosciuto come ‘ciclopica” sotto un angolo del muro del cimitero. Si può vederne un frammento ancor meglio conservato localizzato tra i Bagni di Pilato ed il porto dove un piccolo camminamento si inerpica dal mare. I blocchi sono uniti con la malta ed alcuni di essi sono lunghi più di un metro. Questo muro megalitico è senza dubbio contemporaneo a simili strutture difensive che si trovano in varie parte dell’Italia, ma non sono sicuro che la sua esistenza sia stata notata dai Ponzesi. Livio racconta che i Volsci abitarono quest’isola fino a che non furono soppiantati dai Romani, ed una leggenda riportata da Strabone e Virgilio, narra che qui si ergeva il palazzo della maga Circe che tramutò i compagni di Ulisse in ispidi maiali.

I Cesari vennero e se ne andarono ma Ponza ritenne la sua triste caratteristica. Dopo gli esuli romani arrivarono una moltitudine di martiri cristiani che languirono e morirono su queste rocce. La prima di questi fu Flavia Domitilla, nipote dell’imperatore Domiziano, ora una santa. Centinaia la susseguirono.

[Norman Douglas ha scritto di Ponza (1) – Continua]

(1)Il suo nome era C. Baller secondo il libro Bibliographie Italico-Francaise di Jos. Blanc. A. Beguinot ha scritto recentemente (1905) un articolo interessante sulla flora locale.