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Il Mare Nostrum

Rielaborazione e fotografie a cura di Fabio Lambertucci

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 Che cosa rende nostrum il mare
di Benedetta Marietti (da “Il Venerdì di Repubblica” del 23 novembre 2018).

– Pane e vino, bussole e lucerne, profumi e, ieri come oggi, barconi…
– Da millenni sul Mediterraneo gli oggetti viaggiano con le persone e le culture. Il saggio “Storia del Mediterraneo in 20 oggetti” (Laterza) degli storici Amedeo Feniello e Alessandro Vanoli li racconta.

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La saggezza antica insegnava che il Mediterraneo arriva fin dove cresce l’ulivo. Secondo lo scrittore jugoslavo Predrag Matvejevic [2] (1932-2017), autore di una imprescindibile storia culturale del nostro mare intitolata Breviario mediterraneo (Garzanti, 1991), i suoi confini non sono definiti né nello spazio né nel tempo [sul sito: A due anni dalla morte di Predrag Matvejevic (1) [3] (2 [4])].

Eppure ciò che ricompone un variegato mosaico di popoli, culture, lingue e religioni (Ebraismo, Cristianesimo ed Islam), ciò che in qualche modo dà uniformità a un luogo sempre mutevole e contraddittorio, è proprio il fatto che nel Mediterraneo “per secoli popoli hanno continuato a mescolarsi, fondersi e contrapporsi gli uni agli altri, come forse in nessun’altra regione del nostro pianeta“.
È la mescolanza, quindi, a plasmare l’identità mediterranea.

Mare nostrum per i romani, Mar bianco per i turchi, Grande mare per gli ebrei, Mare di mezzo per i tedeschi, Grande verde per gli antichi egizi, il Mediterraneo è il mare interno per eccellenza, il mare tra le terre, come ricorda lo storico britannico David Abulafia (1949) in Il grande mare (Mondadori, 2013), un libro fondamentale per conoscere la storia e le persone che lo hanno abitato e percorso.

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Si può anche visitare, nel borgo del castello di Santa Severa, frazione del Comune di Santa Marinella (Roma), l’interessante Museo del Mare e della Navigazione Antica diretto dall’archeologo Flavio Enei.

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Targa del “Museo del Mare e della Navigazione Antica” a Santa Severa (Roma). Ricostruzione di una nave oneraria romana (Foto di Fabio Lambertucci)

Spazio ricchissimo di cultura e avvenimenti, che ha visto sorgere e tramontare imperi e civiltà, luogo per eccellenza di commerci e scambi, teatro di importanti scoperte e invenzioni ma anche di scontri feroci e battaglie sanguinose, è dal 2018 il protagonista del libro Storia del Mediterraneo in 20 oggetti (Laterza), scritto dagli storici Amedeo Faniello e Alessandro Vanoli. Gli autori raccontano com’è stato questo mare lungo i secoli con il rigore filologico degli esperti e lo stile fluido e affascinante dei cantastorie.

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Abbiamo scelto venti oggetti semplici, che fossero in grado di descrivere un mondo in fermento e ricco di contrasti e che fossero riconducibili a tre idee, tipiche di ogni mare e in particolare del Mediterraneo: scambio, navigazione, migrazione” dicono i due storici. Oggetti che narrano “fatti, episodi, avvenimenti che si intersecano, combaciano, si legano fino a creare una trama densa da Djerba a Beirut, da Genova al Pireo, da Istanbul a Barcellona“.
Perché, come scriveva Matvejevic, “lungo le coste di questo mare passava la via della seta, s’incrociavano le vie del sale e delle spezie, degli olii e dei profumi, dell’ambra e degli ornamenti, degli attrezzi e delle armi, della sapienza e della conoscenza, dell’arte e della scienza”.

L’elenco degli oggetti riportati nel libro – comincia con il “pane” e la “coppa”, cioè il vino, e finisce con la “fontana” – spiega Vanoli. “Dalla terraferma all’acqua, sinonimo di vita, in un racconto che unisce passato e presente“.
Il pane e il vino fin dall’antichità segnano la strada degli scambi commerciali e dei contatti fra popoli diversi.
La ricerca del grano era uno dei motivi per cui i greci si spostavano lungo il Mediterraneo. I romani lo conobbero dopo la conquista degli etruschi e cominciarono a importarlo dalla Sicilia, dalla Tunisia e dall’Egitto. Ma il pane non è solo cibo, è anche accoglienza, condivisione e rito. Nella religione ebraica il pane azzimo rappresenta la memoria del patto tra Dio e il popolo, in quella cristiana il pane è in diretto rapporto con la figura di Gesù, e nel mondo musulmano si spezza tra i commensali e si dona per alleviare le sofferenze della povertà (sul sito leggi una memoria di Lino Catello Pagano in: Pane Nostro [8] di Predrag Matvejevic).

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Ma anche il vino, contenuto nelle coppe e nelle anfore, diviene fin dai tempi dell’Iliade sinonimo di convivialità e di legame profondo tra i banchettanti. “Le anfore colme di vino viaggiavano via mare sulle imbarcazioni greche e fenicie diffondendo gusti, abitudini, pratiche agronomiche e culti”, scrivono Feniello e Vanoli. “Con Dioniso e Bacco, l’ebbrezza aveva un ruolo fondamentale nei riti greci e latini. Del resto la “mediterraneità” è nata anche grazie agli scambi avvenuti a livelli più bassi: scambi culinari, musicali, linguistici”.

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Dolia, contenitori per il vino d’epoca romana (I sec. d.C.), affondati al largo di Ladispoli (Roma) e recuperati negli anni Ottanta del Novecento. Sotto: in esposizione nella sala 6 del Museo

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Secondo Abulafia, “il Mediterraneo come lo conosciamo oggi è il frutto dell’opera svolta da fenici, greci ed etruschi nell’antichità, da genovesi, veneziani e catalani nel Medioevo, dalle marine militari olandese, inglese e russa nei secoli a ridosso del XIX secolo”. La storia della navigazione coincide con la storia del Mediterraneo. e uno dei suoi oggetti è la lucerna. Spiega Feniello: “Non esiste un libro sulla storia dell’uomo che combatte contro la notte. Eppure la lotta all’oscurità – che i passato è stata condotta tramite due armi. la lucerna e la candela – è un tema molto affascinante. La lucerna appartiene al mondo dell’olio, al Mediterraneo degli olivi. Venne realizzata soprattutto in terracotta, era facile da fabbricare.
Ma chi viaggiava per mare aveva bisogna della luce dell’approdo. E’ per questo che il Mediterraneo classico greco-romano inventò il faro. E due grandi meraviglie come il faro di Alessandria e quello di Rodi, con il suo Colosso.

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Scena dal film Il colosso di Rodi (1961) di Sergio Leone

Con la bussola, il cui uso si diffuse intorno al XIII secolo a partire da Amalfi, che in breve tempo diventò uno dei principali luoghi di produzione di bussole per il mondo cristiano, si poteva affrontare il mare aperto tutto l’anno. Cominciarono a diffondersi carte marittime e portolani”. “Si trattò di una trasformazione epocale” – dice Vanoli –“ma fu anche l’inizio della fine di un sogno: quando mappi tutte le terre esistenti, non esiste più l’ignoto e sparisce così anche il fascino della conquista”.

La storia del Mediterraneo è legata anche da tremila anni alle storie delle migrazioni di popoli. Milioni di uomini e donne che si spostano nel corso dei secoli non solo da sud verso il nord ma anche, e soprattutto, viceversa. “Il Mediterraneo è un mare globalizzato”, spiegano i due studiosi. “Gli antichi ne erano già consapevoli. Ora anche gli storici cominciano a parlare di un Mediterraneo globale, al centro di ben tre continenti: Europa, Asia e Africa”.
I barconi del resto sono tutti uguali. “Migliaia e migliaia di viaggi, affondamenti, correnti, onde, naufragi, sbarchi hanno tracciato la vita emotiva del Mediterraneo.

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Le anfore della Sala 1

Dal peregrinare di Enea da Troia alla foce del Tevere attraverso la Tracia, Delo, Cartagine, la Sicilia, fino ai vandali che, dopo essere arrivati in Spagna, devono imbarcarsi con le loro famiglie verso l’Africa perché incalzati dai visigoti, nuovi conquistatori della penisola iberica. Ai tempi dell’invasione normanna in Sicilia, molti musulmani sono costretti a prendere la via del mare e scappare verso l’Egitto per sottrarsi alla sottomissione. E sempre in Sicilia, tra fine Ottocento e primi del Novecento, parecchie famiglie emigrano sui barconi alla volta della Tunisia per trovare lavoro in un protettorato francese. Oggi sono ancora i barconi carichi di persone alla ricerca di una vita nuova ad attraversare il Mediterraneo al contrario, dalle coste africane alla Sicilia.

Concludono Feniello e Vanoli: “Qualcuno dice che non è la stessa storia e che le migrazioni sono tutte diverse. E da un certo punto di vista avrebbe ragione: perché la storia, in fondo, non si ripete mai davvero. Ma è lo stesso mare; ed è la stessa umanità. E a noi questo basta”.  

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Ancore romane. Museo del Mare e della Navigazione Antica, Santa Severa (Roma) (Foto di Fabio Lambertucci)

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Dolia. Museo del Mare e della Navigazione Antica a Santa Severa (Roma). (Foto di Fabio Lambertucci)

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