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Il venditore ambulante e le vedove (4)di Emilio Iodice . Tratto dal libro:
La Signora Lombardi guardò l’immagine del Papa nei suoi abiti papali e con la tiara formata da tre corone. La baciò con le lacrime negli occhi. Guardò Silvio. Toccò la sua guancia e portò la cassa di cibo nel suo palazzo. Si voltò a guardare con gratitudine il giovane uomo scuro che veniva dall’Italia. Lui sorrise e la salutò con la mano. Sapevano entrambi che la Signora Lombardi non avrebbe mai saldato il suo conto, e Silvio non si aspettava che lo facesse. Sarebbe tornato il giorno seguente con più cibo e più gentilezza. Emma arrivò da Napoli lo stesso anno di Silvio, durante la grande ondata di immigrazione di italiani negli anni ’20 e all’inizio degli anni ’30. Sposò un ragazzo della sua città natale. Lui aveva quindici anni più di lei. Era bello, intelligente e aveva capelli neri e lucenti, come sua moglie. Emma era adorabile, di corporatura snella e occhi scuri, labbra sensuali e le forme di una donna matura e fertile. La sua faccia era ovale con un piccolo naso. Sembrava essere perennemente abbronzata. Teneva i suoi capelli raccolti in uno chignon sul retro della sua testa, come spesso li portavano molte donne italiane. Non parlava inglese. Il suo napoletano era vicino a quello di Silvio, ma più spiccato e più raffinato. Era infelice nel Nuovo Mondo, ma non poteva tornare indietro. La sua famiglia a Napoli era povera e troppo numerosa. Non c’era posto per una giovane donna ventunenne quasi analfabeta con due bambini. Il suo futuro era in America. Vito, suo marito, lavorava nel campo delle costruzioni. Guadagnava bene, poi arrivò il crollo. Il suo ultimo lavoro era stato riparare le strade nella Lower Manhattan. Il settore delle costruzioni si fermò e tutti vennero licenziati senza stipendi arretrati. Il costruttore era andato in bancarotta, giravano voci che si fosse sparato per evitare di affrontare il fallimento. Storie del genere erano così comuni che la maggior parte delle persone erano diventate troppo insensibili per rimanerne colpite. Era un periodo privo di emozioni, dove l’orgoglio lasciava il posto alla paura, e la paura diventava panico. “Cercasi un lavoro decente, per un uomo decente, 37 anni, famiglia, veterano di guerra, che sta pagando casa, istruito al college, nativo di Chicago” Vito non lavorò per quasi due anni. Si unì all’esercito crescente di uomini e donne che non avevano mezzi per sostentare se stessi o i loro cari. La piaga della disoccupazione sembrava non risparmiare nessuno. Era particolarmente dura per gli uomini sopra ai trentacinque anni o privi di competenze. Vito aveva fatto qualche lavoro saltuario come giardiniere e come spazzino. Non era abbastanza per dare da mangiare ai suoi due figli piccoli, sua moglie e per pagare l’affitto. Vivevano in un palazzo nel North Bronx, sul limitare di un cimitero dove erano sepolte persone insigni come Aaron Burr e l’Ammiraglio Farragut. Il loro edificio era identico a molti altri raggruppati in file così strette che potevano condividere le corde per il bucato. I palazzi non avevano ascensori. Loro avevano un appartamento a due camere al quinto piano. Aveva una cucina piccolissima come stanza principale, una stufa a gas nera, una dispensa e una tavola sulla quale la famiglia consumava i pasti. Era piccola, ma ben illuminata di luce naturale. Emma stirava e lavava nella cucina. Non c’era vasca da bagno.
Quando non poterono più pagare le bollette, il padrone di casa minacciò di sfrattarli. La società di servizi staccò elettricità e gas. Vito riuscì a farle riattaccare prendendo in prestito dei soldi da suo fratello che era un calzolaio. I debiti di Vito aumentavano. Non riusciva a pagarli. Lo stress della povertà faceva male. La sua mente e il suo corpo erano sopraffatti. Alcuni giorni prima del suo compleanno, Vito morì. Ebbe una gravissima emorragia celebrale. Aveva trentanove anni. Emma era devastata. Non poteva permettersi di seppellirlo. Silvio riunì i suoi amici italiani per dare aiuto. Un carpentiere donò una grande cassa di legno che venne rimodellata per assomigliare a una bara. I suoi amici fecero una colletta e pagarono per la veglia e la messa funebre. Comprarono un lotto in un cimitero cattolico e posero una piccola lapide in memoria dell’immigrato di Napoli. Il prete pregò per Vito e la sua famiglia. Tutti i partecipanti erano vestiti a lutto. Emma lo avrebbe portato per il resto della sua vita. Silvio era presente alla sepoltura. Accompagnò a casa la giovane vedova.
[E. Iodice. Il venditore ambulante e le vedove (3) – Continua]
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