Ambiente e Natura

Montecristo (2). Rocce, piante e animali

di Sandro Russo

Per la prima parte, leggi qui

 

– Ma che è ’sta puzza di gas?- chiede una voce dal fondo
– Benvenuti a Piombino – è l’esclamazione/risposta, quasi simultanea del capogruppo, dall’altro estremo del pullman.

Partenza da Piombino. Ciminiere sullo sfondo. Ora spente? (…speranza!)

Perché è dal porto di Piombino che si parte, rotta per l’Elba; brevissima sosta a Porto Azzurro, poi verso Montecristo, a un po’ più del doppio del tragitto percorso finora (distanza complessiva da Piombino: 36,6 miglia nautiche, più o meno la stessa di quella tra Formia e Ponza).

L’avvicinamento a un’isola ha sempre un suo fascino… La meta di un viaggio: un’avventura che comincia.
“Ecco Montecristo che si erge solitaria e rocciosa davanti a noi”.

Immediata per me l’associazione con lo sceneggiato televisivo (in otto puntate) Il Conte di Montecristo realizzato per la RAI – regia di Edmo Fenoglio, con Andrea Giordana, andato in onda nel 1966 -, girato a Ponza per gli esterni. Anche lì la voce fuori campo diceva: “nella fosca luce del tramonto si erge solitaria e minacciosa l’isola di Montecristo” – mentre lo schermo mostrava lo Scoglio Rosso a distanza ravvicinata.
In realtà ’u scoglie russ’ di Ponza da vicino e Montecristo da lontano si somigliano abbastanza (…erano tempi in cui si andava al risparmio!”) …E poi non era neanche il tramonto, perché per avere il “controluce” dello scoglio bisogna filmarlo all’alba!

E così siamo arrivati a Montecristo
L’approdo è quanto di più essenziale si possa immaginare; una piccola banchina appena protetta da una scogliera su uno sperone di roccia preesistente, all’estremo di una bella spiaggia che accoglie la costruzione della Casotto dei Pescatori (inaugurato nell’ottobre 2018) riedificato e ristrutturato sui resti di un precedente manufatto (qui sotto, dopo le tre foto di Marco Marini, com’era prima dei lavori).

Le spiagge dell’Isola: cala Maestra e cala Santa Maria. “Maestra” verrà da maestrale, perché e aperta appunto a nord ovest (vedi la mappa con l’orientamento, più avanti).

Ci dicono che le spiagge sono di formazione molto recente… L’alluvione (o “bomba d’acqua”) del 1992 ha portato a valle una quantità di pietre (anche enormi), alberi sradicati e detriti che nelle gole si sono raccolti e hanno formato le spiagge attuali.
È il destino di tutte le isole, nel lungo periodo, quello di turruparsi a mare; soprattutto di quelle alte e scoscese. Ed è anche il motivo per cui non solo Ponza, ma anche Palmarola (ancora più piccola e impervia) sono state modificate mediante terrazzamenti (parracine) dal lavoro secolare dei coloni, per renderle coltivabili. Qui a Montecristo non sarebbe possibile su così larga scala, essendo tutta rocciosa.
Così in mancanza di qualunque regimentazione delle acque piovane, l’alluvione del 1992 ha distrutto i principali ambienti di fondovalle, comprese le zone umide e molte delle essenze estranee all’isola ivi trapiantate (oltre ad un enorme masso che ha centrato il bagnetto della cosiddetta Villa Regia, se non proprio in quell’occasione, in una successiva).
A titolo di risarcimento ha lasciato le spiagge 
che prima non c’erano.

Il nome Montecristo è relativamente recente. Nell’antichità di chiamava Oglasa o Oglifa e non aveva una buona fama. Sono rimaste nella toponomastica molte “diavolerie”, come cala- punta- fosso- poggio- del Diavolo. Dopo l’arrivo di Mamiliano, monaco in odore di santità – di cui si racconta che uccise un drago (?) che infestava l’isola -, fu ribattezzata Mons Christi, da cui Montecristo. San Mamiliano morì sull’isola, nel 460.
Opera del diavolo è sicuramente il fatto che l’acqua, pur presente in alcune sorgenti dell’isola, non è potabile per un elevato contenuto di arsenico; anche se altri dicono che il fenomeno è spesso associato alla natura ignea e magmatica del granito che è la roccia prevalente dell’isola.
Delle varie storie, di tesori e altre vicende cui l’isola è stata implicata nei secoli abbiamo letto nei due .pdf (dal Venerdì di Repubblica e dalla Guida “50 isole”) dell’articolo precedente.

La fauna
Le caprette (ne sono state censite circa 250 sull’intera isola) sono una presenza storica dell’isola e si è deciso di mantenerle ma costituiscono un problema per la vegetazione; però a costo di accurate recinzioni per tenerle in qualche modo segregate.

Tra due pini domestici (Pinus pinea), una capretta in passerella

Un grande Ficus magnolioides nella cui ombra si nasconde una capretta

Una volta c’erano pure i cinghiali, ai tempi del re e di altri residenti cacciatori. Il ratto nero eradicato con il progetto Life, perché stava sterminando le colonie di volatili, soprattutto delle berte minori; il programma è stato messo in atto pure a Palmarola e a Ponza, dove non ha avuto analogo successo.
La vipera… c’è, ma (dicono) è timida e discreta; più chiara delle vipere del continente, qui mimetica sulla roccia grigio-rosa. Sembra (da studi genetici) una vipera siciliana, forse introdotta proprio dai monaci del convento per estrarne il veleno e preparare antidoti universali (la famosa teriaca).


Lo stesso Ficus della foto precedente fotografato guardando il mare: a dx il ponticello di legno e metallo di recente (ri)costruzione

La vegetazione dell’isola doveva essere originariamente costituita da una fitta macchia mediterranea, dominata, almeno nella fascia più elevata dal leccio.

Ii riccastro scozzese – tal George Watson Taylor, la cui famiglia si era arricchita con il commercio della canna da zucchero in Jamaica – che a metà ottocento (1852) acquistò l’isola dal Granducato di Toscana per 50.000 lire, trasformò l’immediato entroterra di Cala Maestra in un’area verde con giardini terrazzati e specie arboree esotiche. A questo periodo risale la costruzione del caseggiato successivamente chiamato Villa Reale e l’introduzione dell’ailanto, specie vegetale invasiva che sino ad oggi ha mutato l’assetto botanico dell’isola.
Nell’autunno del 1860 l’abitazione fu saccheggiata da alcuni esuli italiani residenti a Londra, politicamente ostili a George Watson Taylor. Di fronte all’ingente somma di denaro richiesta da Watson Taylor in riparazione dei danni, il Governo italiano – a questo punto si era compiuta l’unità d’ Italia – ritenne più opportuno acquistare l’isola – il 3 giugno 1869 – per la somma di 100.000 lire.

Nel novembre 1874 il Governo vi insediò una colonia penale agricola con 45 detenuti e 5 guardie carcerarie, succursale di quella di Pianosa, che durò sino al 1884.

Successivamente, durante il 1889, il Demanio di Livorno concesse in affitto l’isola al marchese fiorentino Carlo Ginori Lisci, che trasformò Montecristo in una riserva di caccia personale. Per avere rapidi collegamenti con Firenze, il marchese istituì a Montecristo un servizio di piccioni viaggiatori (i locali adibiti a piccionaia residuano ancora come annesso della Villa).
Nel 1899 Ginori Lisci concesse ogni diritto sull’isola a Vittorio Emanuele III, tramite il pagamento di un affitto pari a 2000 lire; l’isola divenne quindi una “riserva di caccia reale” esclusiva per la famiglia Savoia, che vi introdusse mammiferi come cinghiali, mufloni e capre del Montenegro.

Un po’ tutti i residenti e affittuari di Montecristo vi introdussero piante e animali estranei; erano tempi in cui la consapevolezza naturalistica era ancora al di là da venire.

Le essenze estranee all’isola (e anche al continente eurasiatico) furono soprattutto l’ailanto e l’eucalipto (dall’Australia) – grande capacità adattative mostrava quest’ultimo, capace di drenare acqua stagnanti e in funzione frangimento; massivamente utilizzato nell’Agro Pontino dove fu ribattezzato foneticamente gliu calìps’. Citazione ineludibile: Canale Mussolini di Pennacchi.

Tipica vegetazione d’alto fusto dell’isola (foto di Marco Marini)

I lecci (Quercus ilex) piante invece autoctone dell’isola, sono soltanto qualche decina, in gran parte decrepiti e cadenti, siti in prossimità del Colle dei Lecci. Il loro rinnovamento naturale è praticamente impedito dal numero eccessivo di capre e di altri erbivori che distruggono le piante giovani. Per questo sono in atto protezioni individuali delle giovani piantine e anche dell’area circostante, in un cerchio più ampio, per permettere l’attecchimento spontaneo per germogliamento delle ghiande.

Le essenze della flora mediterranea:
Sono comuni a tutte le isole e alle coste del bacino del Mediterraneo, con particolari endemismi locali. Noi che frequentiamo isole quasi per passione (e un po’ per lavoro) abbiamo scritto e mostrato tanto, specie sul sito Ponzaracconta; Quindi, piuttosto che cominciare tutto da capo ogni volta, preferiamo riportare degli articoli di base e segnalare invece, per le specifiche isole, particolarità e differenze riferimenti qui di seguito:

Su Montecristo la macchia mediterranea è ben rappresentata. Non abbiamo notato invece ginestre; se ce ne sono si vedranno meglio in febbraio marzo (la Genista Tyrrhena) o all’inizio dell’estate (Spartium junceum).

La macchia qui è costituita da una copertura a chiazze, più o meno degradata, a prevalenza di eriche (Erica arborea, Erica scoparia). L’erica si nota anche quando la pianta muore, dai tronchi bianchi e contorti; ha un legno durissimo (era usata per farne pipe) e una buona resistenza agli incendi (le eriche sono le prime a germogliare sul terreno bruciato).
Ad essa si accompagnano specie ben note rosmarino, cisto, elicriso, euforbia, maro e specie più sporadiche.
Data la stagione e la perdurante siccità – e a parte le eriche, di un verde più squillante -, le altre presentano un colore verde- grigio informe. A ciò si aggiunge che le foglioline hanno dimensioni particolarmente ridotte. Per questo ho scelto, nella presentazione di qualche esemplare, la piante fotografata in un’altra stagione, o con i fiori, quando è più riconoscibile.
Il profumo di molte di queste essenze è dovuto al loro contenuto di olii essenziali; anche questo è un adattamento evolutivo (maggior resistenza all’evaporazione rispetto all’acqua).



Euphorbia dendroides (in primo piano); dietro Erica arborea (fa dei fiorellini a otricolo, bianchi); sulla destra Elycrisium italicum (sfiorito). In fondo un oleandro (Nerium olender), che per quanto ben adattato, non fa parte della flora mediterranea

Elicriso fiorito (inizio estate). Le foglioline e il fiore secco hanno un caratteristico profumo, variamente definito: di liquirizia (che però è più un sapore) o di curry

Due cisti a confronto: cistus salviaefolius (sopra) e cistus monspeliensis (di Montpellier). La prima non ha un profumo particolare; l’altro, anche detto ‘cisto marino’ è l’unico cisto profumato; entrambi contribuiscono all’odore resinoso della “macchia mediterranea”

La scilla o Urginea maritima, nota anche come cipolla marina, è una pianta delle Liliaceae, tipica di questi suoli aridi che emette un lungo stelo fiorale su cui i fiorellini si aprono in sequenza dal basso verso l’alto (foto di Marinella Marale)

La pianta che ho trovato meno familiare qui, da frequentatore delle isole del gruppo delle Ponziane è il camedrio maro (Teucrium marum), una pianta suffruticosa, bassa, a tronco legnoso, dal profumo piuttosto intenso, acre, poco gradevole. Non mi pare che lì sia presente.

Camedrio maro fiorito (Teucrium marum)

Ci si chiederà perché tutta questa insistenza sulle Ponziane.
Perché sono mezzo ponzese (per parte di madre) e gli isolani sono fatti così… Sempre a comparare la propria isola con le altre e a trovarla infinitamente più bella… ma anche ricettivi e pronti a riconoscere le prerogative e i motivi di interesse delle altre.


[Montecristo
(2). Rocce, piante e animali – Continua con una terza puntata: sull’escursione a altro…]

1 Comment

1 Comments

  1. Lorenza Del Tosto

    1 Ottobre 2020 at 10:17

    Grande Sandro che ci fai viaggiare e sognare, e bisogno ne abbiamo… Ho sempre fantasticato sull’isola di Montecristo ed è bello contestualizzare le fantasie. Grazie mille
    Attendo notizie su alloggio e ristori vari o si bruca con le caprette?

    Il pusher di sogni risponde
    Su Montecristo niente da comprare, neanche da mangiare e da bere. E neppure un bagno per l’essenziale.
    Mangi e bevi quello che ti sarai portato. Non si dorme sull’isola.
    Ottenere l’autorizzazione per l’escursione non è facile; c’è una lunga lista d’attesa, il numero è contingentato e comunque non si va da soli ma sempre con una guida autorizzata.
    Ne scriverò nella terza parte.
    S. R.

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