De Luca Francesco (Franco)

‘U scoglio d’u paricchiano (3)

di Francesco De Luca

 

per la prima parte (leggi qui)
per la seconda parte (leggi qui)

“Cosa sta accadendo sulla Torre?” – fu l’allarmato interrogativo emesso da don Giuseppe che nella casa parrocchiale stava sorseggiando un bicchiere di limonata. Mariuccia, la perpetua, l’aveva messa a rinfrescare nel pozzo, chiuso nel fiasco. Ora che don Giuseppe s’era alzato dalla pennichella pomeridiana l’aveva ritirato e il prete stava godendoselo il suo bicchiere, in santa pace, quando colpi di sparo echeggiarono dalla finestra. La casa parrocchiale dista dalla  Torre  pochissimo in linea d’aria e perciò i suoni gli arrivarono nitidi e forti. Lì si stava combattendo l’unico scontro serio fra i borbonici e i patrioti risorgimentali. I realisti avevano alzato il ponte levatoio e s’erano disposti sugli spalti. I patrioti   dallo spazio circostante l’assediavano. Don Giuseppe si vestì e stava per uscire quando arrivò trafelato Ignazio, un suo nipote. Da lui seppe tutto quello che era successo giù al porto e in piazza. Praticamente era avvenuto che quel pugno di facinorosi scesi dal piroscafo con la bandiera tricolore avevano trovato immediata solidarietà presso i relegati. Insomma c’erano centinaia di persone ad affiancarli.

“E dove stanno?” – domandò il prete.

“Stanno intorno alla Torre. Hanno catturato il comandante Astorino e lo stanno portando su per indurre i soldati ad arrendersi e a calare il ponte”.

“E ce l’hanno le armi?”- insistette il prelato.

“Alcuni sono armati, altri no”.

“E che vogliono?”

“Vogliono liberare l’isola dai borbonici” – rispose il nipote.

“Sacro Cuore di Gesù, ma sono francesi?”

“No, no, che francesi – ribatté Ignazio – sono italiani”.

“Patrioti italiani… eh… lo sapevo io. Me lo sentivo che qualcosa stava avvenendo. Ee… zio Gaetano ( il sindaco ) lo sa?”

“No – rispose Ignazio – zio Gaetano sta a Le Forna, sta ultimando la potarella alle viti”.

“Ah … e adesso come facciamo? Lo deve sapere. Qui si deve fare qualcosa. Lo senti… Stanno ancora combattendo qua sopra. Chi sa quanti morti!”

“Finora uno solo” – rispose il nipote.

“Bisogna avvertire tuo zio il sindaco. Anzi, a proposito, c’era giù quel galantuomo di Giuseppe Tricoli?”

“No, non ho visto né lui né nessuno della sua combriccola”.

“Bene – rispose il prete – questa è una buona notizia. Però ci sono sempre quei mangiapreti dei carcerati. Come hai detto ? Ce n’erano tanti?”

“Tanti, tanti zio”.

“E allora quelli mi verranno a trovare. Senti, senti cosa dobbiamo fare…”

La perpetua in quel frangente entrò e disse: “Hanno preso la Torre, sono entrati nella Torre”.

Don Giuseppe riprese: “Non c’è più tempo. Mariuccia chiudi la porta, non aprire a nessuno e non farti vedere. Tu, Ignazio, devi assolutamente andare a Le Forna ad avvertire zio Gaetano e dirgli di aspettare mie notizie”

“E tu don Giuseppe?”

“Io mi devo nascondere… vai… in qualche modo farò”

Ignazio se ne andò e don Giuseppe rimase preoccupato. Si sentivano urla e voci sguaiate, gente che correva. Avrebbe voluto sapere, e per questa mansione Mariuccia gli era indispensabile come il pane, ma fu un bene non farla uscire perché parlando con lei sul modo migliore per nascondersi la perpetua gli offrì un ottimo suggerimento. Sugli Scotti, doveva andare lì per stare tranquillo. Presso chi? Presso Carmela Iacono. Donna Carmela era una signora energica. Di lei s’era bugiardamente sparlato e perciò non avrebbe concesso a nessuno di violare la sua casa. Le avevano gettato un’ infamia addosso e lei, per dimostrare la sua onestà, aveva preso distanza dal vicinato e teneva una vita riservata.

“Dai Mariuccia, dai, vestiti che usciamo” – disse il prete che intravide il modo di schivare la rabbia dei relegati. Ce l’avevano con lui per il fatto d’ essere esoso nel commercio dei beni alimentari. Più d’uno aveva giurato che gliel’avrebbe fatta pagare. E don Giuseppe lo sapeva. “Andiamo che è già sera, nessuno ci incontrerà – ripeté il parroco, camminando a fianco della perpetua per la salita degli Scotti. “E se ci incontrano… sembriamo due comari – intervenne Mariuccia – vi siete messo pure la scialletta sulla testa!”

“Stai zitta tu, io so quel che faccio. Se mi riconoscono quei senzadio mi riempiono di botte” – farfugliò il prete, vestito da donna.

Da donna Carmela si sentì al sicuro. Però era fuori da ogni contatto. Nessuno sapeva che era lì e intanto i rivoluzionari chi sa cosa combinavano. E suo fratello il sindaco? Era stato avvertito? Chi stava pensando di fermare i rivoltosi? Le donne non gli erano d’aiuto. S’erano messe a recitare il rosario e con lo sguardo lo invitavano a partecipare. Ma il suo spirito non era disposto alla preghiera, anzi fremeva per agire. Alla fine prese la decisione: sarebbe andato a Le Forna. Lì coi fratelli ( il sindaco e il parroco della frazione ) si sarebbero approntate le misure opportune per difendersi da quella sciagura. C’era da rischiare qualcosa perché la strada era lunga e l’incontro coi gruppi facinorosi possibile, ma la posta in palio era alta. Se quelle canaglie s’ erano impadronite dell’isola l’indomani mattina sicuramente gli avrebbero chiesto ragione delle sue malefatte. Questo alimentò il suo coraggio e, maledicendo la luna che dava corpo ad ogni ombra, si incamminò per Le Forna.

Arrivò a notte inoltrata. Qui tirava tutta un’altra aria. La contrada e la sua vita erano rimaste del tutto intoccate dagli eventi rivoltosi. Soltanto la casa del fratello parroco era in agitazione. Era lì che s’erano adunati il sindaco e i suoi fedeli. Pronti a salpare. “A salpare? E dove andate?” – chiese don Giuseppe.

“Andiamo a Gaeta ad avvertire le autorità di quello che sta accadendo qui”.

“E come ci andate?” – riprese don Giuseppe.

“Con la barca di Ninando tre pisce. Ci sta aspettando giù a Cala Inferno”.

“Bravi, avete deciso bene… bravi. E… chi la porta?”

“La porto io – intervenne Ignazio. Con me vengono Ciccillo Feola, zì Ntuono, ‘u figlio ‘i Rusinella, Cristo Gioacchino, Francesco e Fortunato lisca. Sei remi, sei persone, io al timore”.

“Io pure vengo – fece don Giuseppe. Verrò io a riferire al comandante del forte di Gaeta e al vescovo come sono andate le cose”.

“Ma sei pazzo – intervenne il fratello Gaetano – tu ti esponi troppo”.

“No – rispose – è qui che sono troppo esposto. Domani quei maledetti metteranno in atto la loro rabbia. Io non voglio esserci. E poi … vado io a raccontare in modo appropriato i fatti, così che si preparino le contromisure. Ma… a proposito… questa barca sta a Cala Inferno  e… non è stata avvistata?”

“No – rassicurò Ignazio – Tre pisce sta annascuosto arete a chillu scoglio ca se trove llà vecino”.

 

[‘U scoglio d’u paricchiano (3)continua]

Clicca per commentare

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top