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E’ tempo di vendemmia

di Rosanna Conte

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E’ sempre una festa!
Andare a fare la vendemmia al Fieno è sempre stato un appuntamento  desiderato della mia vita sull’isola, e tale rimane nonostante che, col passare del tempo, la stanchezza si faccia avvertire di più.

Le prime volte, ero ragazzina, si andava da Giustino al seguito delle mie zie. Poi, purtroppo, fra il lavoro e la famiglia a Napoli, non ho potuto farlo per tanti anni. Mi rimaneva solo la gita al Fieno dell’ultima domenica di agosto (vedi qui [1]) per salutare quella parte dell’isola che era diventata parte del mio mondo interiore. E la nostalgia della fine giornata era più profonda perché gli altri si lasciavano con l’appuntamento delle vendemmia che avrebbero fatto di lì a poco, e io non ci sarei stata!

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Avevo vendemmiato anche nella terra di mio nonno, sui Conti, ma il contesto del Fieno ha sempre dato una patina di particolarità alla vendemmia di Giustino.

Negli ultimi anni, libera da tanti lacci e lacciuoli che la vita tesse intorno ad ognuno di noi, ho ripreso la vecchia e cara tradizione di andare a fare la vendemmia al Fieno.
Adesso non vado più da Giustino, che non c’è più. A lui vola sempre  il mio affetto ogni volta che penso al Fieno per una cara corrispondenza di amorosi sensi.
Le  sue raccomandazioni  mi tornano all’orecchio mentre taglio i grappoli: levare i chicchi marci, raccogliere quelli buoni caduti a terra (Gioì, amico inseparabile e compagno di terra,  diceva: è la goccia che fa il mare!) e così via.

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Le antiche terre dei Migliaccio, che ancora sono curate dai discendenti, mi vedono adesso partecipe del rito contadino della vendemmia.

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Ieri ho potuto rivivere la festa contadina  per eccellenza che è rimasta a Ponza e che al Fieno prevede anche il bagno. E sì, perché questa collina che degrada da quasi duecento metri verso le acque cristalline del versante sud orientale della stupenda baia di Chiaia di Luna, offre la possibilità di accedere al mare, quasi a ricordarci lo scambio osmotico tra mare e terra che caratterizza la natura.
Il fresco del mare è impagabile sul corpo accaldato e affaticato per le ore di lavoro sotto il sole, anche se si sa che la risalita asciugherà presto le goccioline salate e sul corpo torneranno quelle del sudore.

Ma arrivata sull’aia ho potuto godere del beneficio di una rudimentale doccia di acqua fresca appena prelevata dal pozzo. Più che fresca era gelata e sotto lo sguardo poco rassicurante degli astanti, quelli che non si erano mossi dalla cantina, ho affrontato la sferzata gelata che l’amico Giovanni mi ha offerto. Probabilmente il mio corpo ha fumato, ma la piccola doccia è servita alla bisogna.

Ancora più sferzante è stato, però, constatare che l’uva raccolta non era più nei tini, ma era stata già lavorata.

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Oggi non ci sono più i palmenti e le moderne macchine accorciano i tempi  e diminuiscono il lavoro.
Manca la fase del pestaggio dove adulti e bambini si divertivano, con movenze da ballo africano, a far uscire tutto il succo dai chicchi, e mancano tutte le operazioni successive per arrivare infine a riempire le botti e le damigiane.

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E’ tutto più rapido, ma è lo stesso affascinante, perché sacro.
E’ il sudore dei nostri contadini, che ancora amorevolmente curano la terra facendola fruttare, a rendere sacra la vendemmia.

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Spesso ci sfugge questo aspetto, perché, oggi, tutto è riconducibile al guadagno e la moneta è naturalmente opponibile alla sacralità.
Eppure diciamo che siamo esseri umani perché dotati di intelligenza e sentimenti. E allora perché non pensiamo a creare un equilibrio fra le due forze: il guadagno sufficiente rispetta la sacralità della cura della terra.
Non sono utopie, ma realtà in diversi angoli del nostro paese.

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E’ quello che si chiama “sostenibilità”: invece di stra-fare e stra-guadagnare senza rispettare la terra, le piante e chi le cura, ci si orienta ad agire nel rispetto reciproco.

La cura nel creare armonia tra le due forze opposte della sacralità e del guadagno germoglia dalla disponibilità a considerare un valore la reciprocità e dalla interazione fra persone dotate di buona volontà con idee  aperte alle innovazioni, ma che non hanno assolutamente  dimenticato il passato.

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