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Cose belle lette e viste sulla malattia mentale. Una condivisione (1). L’articolo di Tano – leggi qui – ha funzionato da innesco potente per parlare di un libro e un film che entrambi abbiamo molto amato in anni formativi. Detto questo, posso dire qualcosa del libro e del film… e c’è anche una sorpresa finale. Avevo molto amato il racconto: Flowers for Algernoon, di Daniel Keyes [Premio Hugo (gli Oscar della fantascienza!) per la sezione ‘racconti brevi’ nel 1960, di 44 pagine]. Lo stesso Autore poi lo trasformò in un romanzo di 309 pagine (!) nel 1967. Il film – I due mondi di Charly – venne l’anno successivo e ha rappresentato il secondo tentativo di annacquamento di una storia forte, che per fortuna resiste ad ogni aggressione. Cosa ricordavo del libro Nel libro (e nel film) c’è la descrizione del successo dell’esperimento su Charly, che diventa progressivamente più intelligente, così come cominciano a sparire gli errori sul suo diario. Ho amato molto il racconto; un po’ meno il romanzo che secondo me diluiva troppo l’idea iniziale. Il film fu una via di mezzo, nella mia scala di gradimento, per quel che ricordo. Cosa ricordavo del film Quando Charly ha già fatto l’operazione, nella panetteria dove fa il garzone lo trattano ancora come un idiota: gli spiegano sommariamente, ridacchiando e dandosi di gomito, la funzione di una complessa macchina semiautomatica per fare il pane e lui, passo dopo passo, esegue tutte le operazioni, tra lo stupore crescente dei compagni. Il momento esaltante è quando Charly riesce a far funzionare la macchina effettuando tutte le operazioni necessarie, sotto gli occhi sbalorditi di tutti. Altri aspetti del film ne denunciano gli anni: la lentezza; il mondo della ricerca scientifica reso in modo manierato; la storia d’amore infarcita di troppe corsette mano-per-mano e spensieratezze da montagne russe, ad illustrare la felicità degli innamorati. La colonna sonora – anche se del mitico Ravi Shankar – fuori posto e a tratti fastidiosa. Gli esperimenti di split screen e di immagini multiple, lasciati indietro dall’evoluzione del mezzo cinematografico. Ad una lettura più approfondita – anche senza avere, al tempo, pensato all’Alzheimer – emerge il focus del film (e del libro): il rapporto che ha la società con i disabili, ma più in generale con i “diversi”. Il senso di indifferenza che colpisce – a volte gravemente, senza il minimo scrupolo – chi è affetto da gravi forme di diversità. Charly Gordon, sia che ci appaia come ritardato o, post-operazione, in qualità di “genio miracolato”, sarà sempre oggetto della miscredenza e cattiveria altrui: la società non ha il dono di saper accettare le persone per quello che in realtà sono. Nel finale, il sogno è finito, la speranza definitivamente uccisa, e l’universo intero che si era aperto dinanzi agli occhi di Charly sta implodendo, risucchiando crudelmente ogni ideale e senso di nuovi mondi / nuove realtà da esplorare. Anche la fine della storia d’amore, ho trovato molto bella. Peccato che il film non abbia riportato la consapevolezza di Charly di qualcosa di meraviglioso che lui aveva vissuto e di cui serbava un ricordo confuso, nelle pagine del suo diario (Raporto sui Progresi): E adesso la sorpresa. . . Nella seconda parte scriverò ancora della malattia mentale e di alcuni modi in cui è stata trattata al cinema (limitandomi all’Alzheimer)
[La malattia mentale al cinema (prima parte) – Continua] Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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