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Cose belle lette e viste sulla malattia mentale. Una condivisione (1)

di Sandro Russo

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L’articolo di Tano – leggi qui – ha funzionato da innesco potente per parlare di un libro e un film che entrambi abbiamo molto amato in anni formativi.
Devo anche confessare che nel libro – Fiori per Algernoon, di Daniel Keyes – non avevo colto la metafora dell’Alzheimer (adombrata nell’articolo di Rampini). Mi era sembrata una bella storia, raccontata bene; ma cominciavo allora i miei studi di medicina e sulla malattia mentale non c’era l’attenzione che c’è oggi.
C’è anche da dire che è cambiato il modo di leggere (e di vedere un film). “Prima” l’esperienza culturale era molto personale, poco o niente partecipata. Piaceva molto qualcosa, e al massimo lo si diceva a un amico della cerchia stretta. Solo più tardi –  nella ma vita, ma forse un po’ per tutti – sono venuti i gruppi di condivisione, la lettura dei giornali e l’approfondimento critico. Per non parlare di internet.

Detto questo, posso dire qualcosa del libro e del film… e c’è anche una sorpresa finale.

Avevo molto amato il racconto: Flowers for Algernoon, di Daniel Keyes [Premio Hugo (gli Oscar della fantascienza!) per la sezione ‘racconti brevi’ nel 1960, di 44 pagine]. Lo stesso Autore poi lo trasformò in un romanzo di 309 pagine (!) nel 1967. Il film – I due mondi di Charly – venne l’anno successivo e ha rappresentato il secondo tentativo di annacquamento di una storia forte, che per fortuna resiste ad ogni aggressione.

Cosa ricordavo del libro
E’ molto bello il racconto. Comincia con le pagine di un diario (“Raporto sui Progresi”), dalla scrittura disarticolata e piena di errori di ortografia di Charly Gordon, un ritardato mentale che sta seguendo un corso di apprendimento: la sua insegnante gli ha consigliato di tenere una cronaca delle cose che gli succedono. Dalle pagine del suo diario seguiamo – raccontata nel modo semplice in cui la vede lui – la  sua vita, il lavoro come garzone in una panetteria, sottoposto agli scherzi un po’ crudeli dei suoi colleghi di lavoro che nella sua ingenuità lui scambia per manifestazioni d’affetto. Apprendiamo ancora che è stato scelto per un ambizioso esperimento scientifico; la somministrazione di un omogenato proteico capace di attivare le connessioni neuronali. L’esperimento è già stato effettuato con successo su un topino bianco, di nome Algernoon, con cui Charly ogni giorno si misura nel gioco del labirinto. In contemporanea, Charly con uno schema su un foglio e una matita, e Algernoon in una gabbietta con le sbarre, si sfidano a trovare la via: per arrivare alla X che marca il traguardo, Charly; per trovare il formaggio Algernoon. Vince sempre Algernoon.

Nel libro (e nel film) c’è la descrizione del successo dell’esperimento su Charly, che diventa progressivamente più intelligente, così come cominciano a sparire gli errori sul suo diario.
Finché non arriva a diventare più intelligente.. molto più intelligente degli altri… E riuscire a prevedere come andrà a finire.
Il racconto si chiude circolarmente con la stessa scrittura disarticolata dell’inizio.

Ho amato molto il racconto; un po’ meno il romanzo che secondo me diluiva troppo l’idea iniziale. Il film fu una via di mezzo, nella mia scala di gradimento, per quel che ricordo.

Cosa ricordavo del film
Allargato e in parte modificato rispetto al racconto originale, per l’inserimento di una storia d’amore tra Charly diventato intelligente e la bella insegnante, del film ricordavo benissimo alcune scene: la scena della macchina per fare il pane; le barchette nell’acqua (che erano anche sui manifesti affissi per le strade, che staccai nottetempo per  appenderli nella mia camera alla Casa dello Studente!). I colori autunnali del bosco. Lei che lo guarda andare sull’altalena, nel finale (…strano, ricordavo che piangeva)…

Quando Charly ha già fatto l’operazione, nella panetteria dove fa il garzone lo trattano ancora come un idiota: gli spiegano sommariamente, ridacchiando e dandosi di gomito, la funzione di una complessa macchina semiautomatica per fare il pane e lui, passo dopo passo, esegue tutte le operazioni, tra lo stupore crescente dei compagni. Il momento esaltante è quando Charly riesce a far funzionare la macchina effettuando tutte le operazioni necessarie, sotto gli occhi sbalorditi di tutti.
Mi sono molto ritrovato nell’episodio della panetteria; anche a me piace stupire partendo dalla sottovalutazione, piuttosto che deludere dopo un bluff iniziale.

Altri aspetti del film ne denunciano gli anni: la lentezza; il mondo della ricerca scientifica reso in modo manierato; la storia d’amore infarcita di troppe corsette mano-per-mano e spensieratezze da montagne russe, ad illustrare la felicità degli innamorati. La colonna sonora – anche se del mitico Ravi Shankar – fuori posto e a tratti fastidiosa. Gli esperimenti di split screen e di immagini multiple, lasciati indietro dall’evoluzione del mezzo cinematografico.

Ad una lettura più approfondita – anche senza avere, al tempo, pensato all’Alzheimer – emerge il focus del film (e del libro): il rapporto che ha la società con i disabili, ma più in generale con i “diversi”. Il senso di indifferenza che colpisce – a volte gravemente, senza il minimo scrupolo – chi è affetto da gravi forme di diversità. Charly Gordon, sia che ci appaia come ritardato o, post-operazione, in qualità di “genio miracolato”, sarà sempre oggetto della miscredenza e cattiveria altrui: la società non ha il dono di saper accettare le persone per quello che in realtà sono.

Nel finale, il sogno è finito, la speranza definitivamente uccisa, e l’universo intero che si era aperto dinanzi agli occhi di Charly sta implodendo, risucchiando crudelmente ogni ideale e senso di nuovi mondi / nuove realtà da esplorare.

Anche la fine della storia d’amore, ho trovato molto bella.
Ci sono loro due e lei dice:
– Quando mi dirai di andare io andrò via
– Vai –
dice lui un attimo dopo
Le emozioni che passano sul volto di lei, fino a che si alza, cerca delle parole che non trova, e va via.

Peccato che il film non abbia riportato la consapevolezza di Charly di qualcosa di meraviglioso che lui aveva vissuto e di cui serbava un ricordo confuso, nelle pagine del suo diario (Raporto sui Progresi):
P.P.S. Peffavore se avte la possibilita di mettere qual che fiore sula tomba di algernoo nel cortile diddietro

E adesso la sorpresa.
Se non ve l’ho rovinato con le mie improvvide anticipazioni – ma volevo parlare anche del racconto -, qui si può vedere il film (di cui sono scaduti i diritti): visionabile per intero su YouTube:
I due mondi di Charly – prodotto e diretto da Ralph Nelson (1968). Sceneggiatura di Stirling Silliphant. Con Cliff Robertson, che nella parte di Charlie Gordon vinse nel 1968 l’Oscar al miglior attore protagonista, e Claire Bloom.

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YouTube player

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Nella seconda parte scriverò ancora della malattia mentale e di alcuni modi in cui è stata trattata al cinema (limitandomi all’Alzheimer)

 

[La malattia mentale al cinema (prima parte) – Continua qui]

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