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Il richiamo all’Alzheimer in un capolavoro degli anni ’60

 Segnalato da Tano Pirrone

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Sul numero di questa settimana di D – Repubblica – ebdomadario raffinato e per nulla sciocchino – ci sono due articoli almeno che vanno riletti e “parlati”. In ultima pagina c’è la rubrica fissa di Umberto Galimberti, che si avventura stavolta sulla contraddizione primaria fra il Nostro Io e la Nostra Specie, eternamente in conflitto d’interesse. Da cui la nostra infelicità.

Un altro articolo interessante soprattutto per il soggetto che viene preso in esame è quello di Federico Rampini che esamina un libro a noi fantascientifici d’antan tanto ci piacque e che spesso abbiamo riletto. Ora riposa ben custodito in una scatola di cartone perfettamente etichettata, su in soffitta al sicuro da umidità e da polvere. Invecchia pacificamente insieme con i resti di quella che fu una grande collezione di Urania. Sopravvivono 102 capolavori accuratamente scelti e sottratti dalla vendita che feci esattamente quarant’anni fa, pagandomi con il ricavato tutto il trasloco da Palermo a Roma.

La fronte alta di Rampini non è solo una prerogativa estetica, ma rivela una capacità cranica notevole e quindi un cervello adeguato. Per noi abituati ormai a microcefali è sbalordimento e trance, rispetto e misura della propria dimensione: beviamo le parole come acqua di fonte al termine della traversata del deserto.
Dice Rampini: «In un capolavoro proibito degli anni ’60, l’eco del dramma dell’Alzheimer. Spesso la diagnosi arriva quando il paziente è ancora lucido, e lo condanna a prevedere il declino. Ma di una vita non tutto scompare».

Nel corpo dell’articolo Rampini ripercorre tutta la storia narrata da Daniel Keyes (prima come racconto, poi come articolato romanzo), sfiora tabù ineffabili della società americana del tempo e lega la triste fine ad una realtà oggi viva e che tocca tante persone: la malattia dell’Alzheimer. Auspica in chiusura che si possa trovare quanto prima un altro modo per «accompagnare, ascoltare, capire gli anziani che stanno perdendo qualcosa di sé. Ricordando, come Charlie nelle lettere finali, che non tutto è scomparso di un’esperienza di vita, anche quando non ci sono più i ricordi, i pensieri giusti, le parole per dirlo».

L’articolo di Federico Rampini su Flowers per Algernoon in file .pdf:

F. Rampini. L’opinione. D – la Repubblica 5 sett. 2020

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