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L’orgasmo del fascismo (2). Le case chiuse

di Fabio Lambertucci

 .

A Ponza era attivo un postribolo di Stato, un “casino”, al tempo del confino?
Parrebbe proprio di sì stando alla lettura del verbale di consegna della carta di permanenza al confinato politico socialista Sandro Pertini (futuro presidente della Camera dei deputati e della Repubblica Italiana).
Nella sua biografia Sei condanne, due evasioni (Mondadori, 1982) viene riportato il seguente verbale: “L’anno 1935 (A. XIV) il giorno 10 del mese di dicembre in Ponza nella direzione della colonia di confino, davanti a noi dott. Coviello Francesco direttore della colonia è presente il nominato Pertini Alessandro fu Alberto e di Muzio Maria nato il 29-5-1896 a Stella S. Giovanni (prov. di Savona) di condizione avvocato, il quale con ordinanza della commissione provinciale di Genova è stato assegnato al confino di polizia per la durata di anni 5 […].
Prescrizioni: […] 5. Non frequentare postriboli, osterie o altri esercizi pubblici”.
La proibizione ai confinati di frequentarlo doveva essere, per il fascismo, una pena accessoria in quanto ai casini ci andavano tutti, uomini di destra, centro e sinistra. Sicuramente quello di Ponza non era un bordello di lusso o di categoria superiore come quelli delle grandi città ma un esercizio di basso profilo con il puzzo violento di lisoformio e l’umidità dei muri.

Scrive la giornalista Giuliana Giani in un articolo su Storia Illustrata del luglio 1987 intitolato “Il mercato dell’amore”: “Tra le preoccupazioni del duce dell’impero quella delle “marchette di stato” non era certo predominante. Mussolini si interessò alle maisons solo allo scopo di impedire che servissero da luoghi di incontro per oppositori e frondisti. Fu così che poliziotti dell’Ovra (la polizia politica segreta fascista, ndr) travestiti da clienti vennero spediti a dare un’occhiata ai postriboli di lusso della penisola a caccia di sovvertitori del regime.
Ma a parte qualche giro di vite, i bordelli continuarono a prosperare”.

Neppure nel Dopoguerra vi furono uomini politici intenzionati a chiuderli, anzi.
Fu invece una coraggiosa donna politica (confinata in Sardegna e poi partigiana), la senatrice socialista Lina Merlin (1887-1979), a volerlo fare e a riuscirci nel 1958, aiutata nelle sue inchieste sulla prostituzione dalla giornalista Carla Voltolina (1921-2005), moglie dal 1946 di Sandro Pertini.

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Nel 1955 la Merlin, per dare manforte alle sue tesi, pubblicò con Carla Barberis le “Lettere dalle case chiuse”, testimonianze delle miserevoli condizioni di vita e lavoro delle prostitute.
Nel 2013 da questo libro è stata tratta la miniserie televisiva Altri tempi  in due puntate (trasmessa il 13 e 14 ottobre 2013 su Rai 1) di Marco Turco con Vittoria Puccini, Stefania Rocca e Benedetta Buccellato nel ruolo di Lina Merlin.

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Scena dalla miniserie tv Altri tempi (2013) di Marco Turco

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Stefania Rocca nel ruolo della prostituta “Duchessa” in Altri tempi

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Vittoria Puccini nel ruolo della prostituta “Marilù” in Altri tempi

Spiega lo storico sociale Sandro Bellassai, dell’Università di Bologna, nel suo saggio La legge del desiderio. Il progetto Merlin e l’Italia degli anni Cinquanta (Carocci editore, 2006):
Il disegno della senatrice era rivoluzionario e femminista perché per la prima volta faceva riflettere sulla condizione delle prostitute che, a quell’epoca, erano considerate cittadine di serie B. Queste poverine non potevano aprire attività commerciali, non potevano sposare militari e rappresentanti delle forze dell’ordine. Addirittura quando fu dato il voto alle donne, nel febbraio del ’45, furono espressamente escluse”.

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Il pensiero fisso dell’appassionata senatrice era fare una legge libera-prostitute, che le riabilitasse agli occhi dell’opinione pubblica e le sottraesse all’umiliazione dei controlli sanitari periodici. Senza dimenticare le motivazioni più squisitamente politiche che, pure, ebbero il loro peso nella decisione del Parlamento di chiudere i bordelli. Dopo aver scacciato il fascismo, infatti, l’Italia aveva tutto l’interesse di rinnegare i suoi simboli e quelle “cattedrali” dell’italica virilità, considerate un pezzo (ingombrante) d’antiquariato, rientravano pienamente nella categoria.   

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Scene dal film “Roma” (1972) di Federico Fellini

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Lo stesso Benito Mussolini nelle pagine autobiografiche de La mia vita dal 29 luglio 1883 al 23 novembre 1911, scritta nel 1911-12 e pubblicata solo dopo la sua morte, racconta la sua iniziazione sessuale proprio in un “casino”:
Una domenica ci recammo a Forlì, in una casa innominabile. Quando entrai sentii il sangue affluirmi alla faccia. Non sapevo che dire, che fare. Ma una delle prostitute mi prese sulle ginocchia e cominciò ad eccitarmi con baci e carezze. Era una donna attempata, che perdeva il lardo da tutte le parti. Le feci il sacrificio della mia verginità sessuale. Non mi costò che cinquanta centesimi” (citato in Aurelio Lepre, Mussolini l’italiano. Il Duce nel mito e nella realtà, Mondadori, 1995).

Invece in via dei Fiori Chiari e via dei Fiori Scuri a Milano di “casini” ce ne erano addirittura cinque (è a queste vie milanesi che allude il titolo del film drammatico/grottesco del 1973 Film d’amore e d’anarchia ovvero “Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza…” di Lina Wertmuller con Giancarlo Giannini e la compianta Mariangela Melato (1941-2013), anche se l’azione si svolge a Roma) e lì le tariffe arrivavano alle 200 lire.

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Come racconta la maitresse del Fiori Chiari 17 a Brera Wanda Senigalliesi detta “la Bolognese”, classe 1915, nel libro di memorie del 2010, Wanda l’ultima maitresse a cura del giornalista Claudio Bernieri (Memoranda Edizioni).
Amante del gerarca Italo Balbo (1896-1940), dopo il rifiuto di questi di lasciare la moglie contessina Emanuela Florio (1901-1980), sposata nel ’24 e da cui aveva avuto tre figli, si diede al meretricio. Conobbe nel 1937 la famosa maitresse Fedora Sandelli detta “la Venere tascabile” (vedi il precedente articolo “L’orgasmo del fascismo” [11]) che la ingaggiò nel suo bordello di lusso per gerarchi “Villa Bianca” sull’Appia antica a Roma dove andò a letto anche con Mussolini.
Due anni e mezzo dopo dovette invece esercitare persino in tenda, nel deserto, con i militari impegnati in Libia e Africa Orientale. Tornata in patria girò l’Italia intera ma a Bologna (dove acquistò il suo nome d’arte) lavorò nel “casino” di lusso “Irma” di via dell’Oca.
Infine maitresse a Milano dove la conobbe il giornalista Indro Montanelli (1909-2001) che nel 1958 scrisse, in polemica con la Merlin, un libricino intitolato proprio Addio, Wanda! Rapporto Kensey sulla situazione italiana (Longanesi).

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Scrisse Montanelli: “Un colpo di piccone alle case chiuse fa crollare l’intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli: la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. La famiglia, la famiglia all’italiana, funziona solo finché le figlie sono vergini, cioè finché hanno dinnanzi agli occhi lo spauracchio del lupanare, in caso di “deviazione”. Il giorno in cui ad esse si conceda di “vivere la loro vita” senza timore di finire in quei serragli, l’Italia è destinata a diventare uno di quei Paesi protestanti, dove la condizione di “vergine” non esiste, come non esiste quello di “puttana”, tutte le donne essendo accomunate in un limbo intermedio”.

Nella seguente foto del 1992 vediamo Wanda ormai alcolizzata sopravvivere in miseria nei sotterranei dell’Ufficio Postale della Stazione Centrale di Milano.

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Wanda Senigalliesi a Milano nel 1992 (foto di Piero Raffaelli. “L’Europeo”)

Abbiamo già visto come il Duce, descritto dalla propaganda come tombeur de femme, frequentasse prostitute d’alto bordo. Tuttavia una storia divertente di una sua disavventura proprio con una prostituta viene riportata nel libro di Autori vari Playdux, storia erotica del fascismo (Tattilo Editrice, 1973).

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Una decina di giorni prima del Natale 1938 Mussolini, in compagnia del segretario del PNF Achille Starace e del console generale Francesco Antonelli, arrivò al Terminillo per sciare. Sulle piste vide una donna bionda che lo fissava con insistenza e voluttà e se ne incapricciò. Tornato a Roma il Duce contattò subito il capo della polizia Arturo Bocchini e gli chiese informazioni sulla misteriosa sciatrice. Voleva sapere tutto di lei, vita morte e miracoli. Questo fu il rapporto: “Sposata, separata legalmente. Anni 27. Nativa di Sacile (Udine). Padre ignoto. Madre croata. Due contravvenzioni. Un foglio di via. In possesso di regolare licenza per esercitare la prostituzione. Ultima quindicina a Roma, nel postribolo inteso “Grottino” poiché situato nel vicolo omonimo. Risultanze sanitarie NN”.
Per la cronaca il “Grottino” era un bordello di lusso della Capitale. Si diceva avesse poltrone di pelle, tappeti Bukara, lampadari di Burano e, soprattutto, otto ragazze di alto livello, belle e brave. I clienti per una notte di sesso spendevano anche cinquemila lire.
Mussolini deluso, strappò furiosamente il rapporto e lo gettò nell’immondizia urlando: “Così… E’ una di quelle!”.
Di quelle ne aveva avute fin troppe…