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Avevo quasi dimenticato Le vent nous portera, e la terribile vicenda umana che inevitabilmente si collega al brano e al suo autore. Non è un caso: l’oblio, che comunque appartiene alla storia dell’uomo, copre più velocemente ciò che preferiamo dimenticare.
E di questa estate, così fuori dalla normalità, cosa resterà? E, soprattutto, cosa ci riserverà, dove ci trasporterà il vento?
Oggi, in una delle mie rare uscite estive per motivi di necessità, ho incrociato due signore con la maglietta “Ponza Covid free” che non si capisce se è un augurio, un brand, o semplicemente il poter dire io c’ero.
Quello che invece si percepisce, è che, dopo un avvio incerto e ritardato, stiamo arrivando al giro di boa in uno stato di sospensione opposto ma complementare al lungo lockdown invernale e primaverile.
E’ una realtà alterata infatti quella che stiamo vivendo: Ponza mai così piena in questa stagione, nonostante prezzi spesso più alti del solito, in barba alla crisi. Nonostante i tentativi a volte persino goffi, oltre che malevoli, di creare un caso giornalistico che al momento non c’è. Nonostante la evidente discrasia tra le attività lavorative generalmente molto attente a rispettare i dettami su distanziamento e mascherine, e la inevitabile promiscuità di persone negli spazi pubblici. Di questo trattiamo in Si parla di… avvisi e in Ponza sulle pagine di Repubblica.
Siamo stretti tra la necessità di far muovere l’economia e riprendere le relazioni sociali, lasciandosi alle spalle le scorie di un inverno troppo lungo, e la paura che impalpabile aleggia su tutto e tutti.
Un aspetto che non è stato evidenziato è il filo sottile che lega chi viene in vacanza e chi di vacanze altrui vive. La voglia di riprendere la propria vita in mano, con la consapevolezza che ciò è possibile solo se vale per tutti. O dentro o fuori, non c’è alternativa.
E’ stato detto spesso, da più fonti, che questa esperienza ci ha incattiviti, anzichè creare solidarietà. E’ vero, ma è vero anche il contrario. Mi capita spesso di percepire da parte dei nostri ospiti il piacere di vedere posti bellissimi, ma anche quello di aiutare a far ripartire un’economia fragile come la nostra. E questa è una cosa buona: non a caso le cronache malate di polemiche ed interessi di parte non ne parlano.
E tra le cose che reputo buone, c’è la testimonianza di Lamento d’amore. Lettera aperta in cui l’autore Corrado Guida non solo manifesta l’affetto che lo lega alla nostra isola, ma anche, a buon titolo, il dolore di subire la confusione estiva (che è diversa dall’animazione) e l’apatia con cui sopportiamo la mancanza di indirizzo, di programmazione.
Sono passati circa 300 anni dalla colonizzazione di Ponza, ed ancora la nostra comunità non riesce ad esprimere un senso comune, il diritto inalienabile di essere parte attiva di uno sviluppo condiviso e a lungo termine che tenga conto della salvaguardia territoriale e umana dell’amato scoglio. Potremo cominciare con l’eliminare, una volta per tutte, quello steccato invisibile ma potente, tra chi è ponzese residente, ponzese stagionale, o ponzese d’adozione. Il “sovranismo” non paga mai: in questo caso è totalmente deleterio e ci rende sempre più deboli e perdenti di fronte a speculazioni incontrollate.
Per questo apprezzo la condivisione che esprime Biagio Vitiello nel suo Si parla di…. Tranne che per l’appunto iniziale in cui Biagio ripropone il logoro teorema del lavorare poco e incassare molto. Non credo che la maggioranza dei ponzesi si riconoscono in questo pensiero: il lavorare poco è solo frutto, appunto, dell’incapacità di una programmazione reale. E’ una sconfitta, non una scelta, imposta da quei pochi che veramente ne traggono vantaggio. E la riprova sta nel fatto che incassare molto non appartiene alla stragrande maggioranza dei ponzesi, che non a caso hanno vissuto e vivono nel terrore di una estate monca perchè non avrebbero le risorse economiche per sopportarlo. Destagionalizzazione, economia circolare: sono concetti di cui parliamo spesso sulle nostre pagine, che cominciano a trovare una propria identità sociale e culturale. E’ una rivoluzione timida, lenta, come tutti i cambiamenti veri, ma imprescindibile per la Ponza del futuro.
E la Ponza del passato?
E’ presente questa settimana con il ricordo di Silverio Guarino su Le grandi traversate a nuoto (2). “Caletta-Grotte azzurre”. Altri tempi, altri spazi, altri ritmi. Ma “altri” non vuol dire che non siano attuali. Il riappropriarsi del territorio significa esattamente questo: ridargli dignità e valorizzazione. Quando i tempi erano lenti, anche andare alle Grotte azzurre era un’escursione.
Per gioco, per sfida, tra i ragazzi.
Per lavoro, quando vi si portavano a remi i primi turisti negli anni sessanta.
Ecco: guardare troppo oltre rischia di non far mettere a fuoco ciò che abbiamo in primo piano.
In tale ottica, un plauso ad iniziative come Escursione al Monte Guardia, al tramonto.
Dire che a Ponza non ci sono cose da fare, è un teorema, un altro: sbagliato. Le cose ci sono, vanno solo ri-scoperte e rese attraenti, per trovare un collante vincente tra passato e futuro.
Il tempo che passa ci viene proposto anche, con la sua tipica espressività, da Franco De Luca col suo gioco – ma non troppo – Vocca rossa… ‘U tiempo passa.
Il tempo passa, eh sì… e muta senso e aspetto delle cose.
Ed il “giochino” accattivante, lanciata l’esca, viene raccolto dal nostro Sandro Russo in Vocca rossa… ’U tiempo passa (2).
E… non resisto: lo raccolgo anch’io, anche se solo a livello concettuale… che non mi trovo una vocca rossa sotto mano.
Il tempo passa, eh sì… e muta senso e aspetto delle cose.
Ma non è necessariamente una disgrazia.
C’è un concetto, anzi una filosofia ben viva in Giappone che si può sintetizzare nell’espressione wabi sabi. Espressione difficilmente traducibile in italiano: potremmo sintetizzarla unendo i concetti di semplicità, e bellezza che nasce dal passare del tempo. Perchè tutto è fugace, destinato a sparire, ma quel tutto ha un momento di perfezione che possiamo rendere eterno, se ne cogliamo l’essenza.
“Raccolgo una foglia morta di momiji, rosso scuro e arricciata ai margini. E’ preziosa, fragile e raggrinzita come il dorso della mano di mia nonna. Nel mio cuore si apre un varco. In questo istante, non mi serve altro. Ho una sensazione di pacato appagamento, sfumato di malinconia per la consapevolezza che questo fugace momento non ritornerà mai più. Questo è il mondo del wabi sabi” (*).
Un gustoso aneddoto del passato ce lo regala un ricordo di Isidoro Feola, Bertuccio e la Luna, che potremmo definire, visti i tempi, come una sorta di teoria complottista d’antan.
E con sottile riferimenti allo spirito ponzese, potremmo considerare le favole di Pasquale Scarpati Nugae (1) e (2), in cui si combinano convenienza e morale, ed il coraggio di saper cogliere l’attimo.
E’ il 20 luglio, e San Silverio esce per la benedizione. E’ stata una festa a metà quest’anno, per colpa del Covid. Ma non per l’animo dei ponzesi: possono cambiare coreografie e partecipazione, ma non il senso profondo di ciò che, con tutti i nostri difetti, ci unisce.
Ed I festeggiamenti di San Silverio in Val Soana ci uniscono ad un’altra comunità nello stesso spirito.
Non sono festeggiamenti, ma una forma forte di vicinanza con la comunità di Ventotene, le cerimonie dell’anniversario dell’affondamento del Santa Lucia.
Sul nostro sito lo celebriamo con 3 articoli:
Il discorso pronunciato da Gennaro Di Fazio a Ventotene, che esalta il valore della ricorrenza ponendo l’accento sulla considerazione che l’indifferenza, la perdita di memoria, offendono il genere umano.
La Lettera dell’Ammiraglio ai ponzesi in occasione dell’anniversario dell’affondamento del Santa Lucia, un saluto commosso dell’Ammiraglio di origine ponzese Salvatore Vitiello.
A Ventotene per l’affondamento del Santa Lucia: cronaca dell’evento di Rosanna Conte.
Infine un saluto e le congratulazioni di Ponza racconta ai nuovi laureati ponzesi: Gennaro Sandolo, Lorenza De Chiara, Mario Marino.
(*) – Beth Kempton – Wabi Sabi