alla celebrazione dell’anniversario dell’affondamento del piroscafo Santa Lucia
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Oggi sono in rappresentanza sia dell’Amministrazione del Comune di Ponza e del suo sindaco Franco Ferraiuolo – che si scusa per la sua assenza, ma presente emotivamente a questa commemorazione – sia della Comunità dell’Arcipelago delle Isole Ponziane. Ma al di là degli aspetti puramente istituzionali, sono un isolano come voi a cui appartiene la storia trascorsa anche se non direttamente vissuta.
Sono già passati 77 anni dalle ore 10:00 di quel 24 luglio del 1943 quando il piroscafo Santa Lucia, che collegava le isole di Ponza e Ventotene alla Terraferma, venne affondato dagli aerosiluranti del 47° stormo della Royal Air Force.
Il numero delle vittime fu imprecisato, di cui 65 identificate
La commemorazione di oggi è una delle tante storie della follia della guerra e della stupidità umana che, per evitare che possa essere ripetuta anche se in modalità diversa, è necessario che si continui a celebrarla.
Un doveroso ringraziamento va quindi a Mirella Romano, la presidente del “Comitato Famiglie delle Vittime del Piroscafo Santa Lucia”, figlia di una delle vittime di questa tragedia, che con impegno e passione, continua imperterrita alla ricostruzione di questa orrenda storia.
Le guerre nascono dall’affondamento morale delle coscienze, così come la chiusura dei cuori al richiamo di aiuto, si blindano ancora di più quando la cultura vigente e le loro politiche rappresentative, sono alimentate dalla perdita di valori e di umanità. Se la guerra con le sue tragedie offende il genere umano, non di meno è l’indifferenza o la mancanza di aiuto a chi cerca sulle nostre sponde la speranza della propria esistenza.
In entrambi i casi, sia che si tratti della tragedia del Santa Lucia che di quella dei migranti, il mare diventa simbolo della coscienza dolente e della vergogna dell’umanità.
Le commemorazioni, come queste ed altre, non devono fermarsi alla sola retorica, ma farci riflettere su situazioni attuali e future che, anche se diverse da quelle già accadute, rischiano di farci scivolare verso l’indifferenza, così come sta accadendo difronte ai continui respingimenti di coloro che, ritenuti da taluni figli di un Dio minore, sfociano poi in troppi naufragi, pur essendo anche loro figli della nostra stessa umanità
Bisogna curarsi dall’indifferenza prima che questa diventi il dolore nascosto della nostra anima e nello stesso tempo la causa di un mondo pericoloso non solo per le azioni malvagie degli altri, ma anche per il nostro silenzio – mi sia consentito dire non innocente – a denunciare e ad agire.
A tale stato di cose a volte solo la poesia, grazie alla reazione emotiva che scatena, riesce a trovare un rimedio per combattere l’indifferenza e la paura di reagire al comportamento sociale dell’esclusione degli altri pur di avere il proprio benessere materiale; spesso superfluo nonché inutile, quando ad esso non c’è il suo corrispondente benessere interiore.
La poesia con i suoi versi riesce, per chi ha la sensibilità a percepire, sia a ricomporre l’esistenza spezzata delle morti immature, che la storia delle morti non raccontate. In questo disperato tentativo di restituire dignità ai corpi sommersi, essa – la poesia – cerca di combattere l’indifferenza che Erri De Luca definisce “un torto contro il creato” perché essere indifferenti significa calpestare la morte.
Ed è proprio dalla poesia, quale elemento spirituale che eleva i nostri sentimenti, che voglio prendere spunto per terminare questo mio intervento, e precisamente da alcuni versi della poetessa Annamaria Giannini che in una delle sue poesie sulla morte dei naufraghi recita
[…] Queste morti ci chiedono di urlare
salvare altre vite, perché non sono
morti solo per il fuoco divampato
o l’onda del mare che li ha inghiottiti.
Sono morti anche perché siamo indifferenti alla morte,
sono morti per scuotere le nostre coscienze.
Grazie dell’attenzione