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Essere donna

di Francesco De Luca

 

Quanta violenza sulle donne. In tutte le latitudini. L’attuale pandemìa poi, costringendo tutti a condividere lo stesso spazio ( la casa ) ha moltiplicato il fenomeno della soggezione della donna. Nei confronti di chi? Del maschio.
E’ doloroso ammetterlo ma così accertano le statistiche. Perché il ruolo egemone dell’uomo sulla donna viene dal lontano passato, da così lontano che è incardinato nelle culture, ancora oggi che le culture le abbiamo sezionate nell’ analisi antropologica, e ne abbiamo viste le debolezze, i vizi, insieme alle grandezze.
Culture occidentali ed orientali, culture monoteiste e politeiste.

L’essere donna comporta una innaturale, irrazionale colpa. Il mostrarsi donna, poi, ancor più, rinfocola gli istinti maschilisti. Li rinfocola perché ne scopre la meschinità sotto la baldanza.

Eppure, se riguardo la mia età infantile l’essere donna non è mai apparso come un dato rilevante. In casa mia l’unica donna era mia madre, e la sua femminilità non si evidenziava, soggiogata com’era dall’essere madre.
Non voglio attribuire qualità alle due categorie: donna – madre, ma è indubbio che l’essere madre sopravanzasse la sua femminilità.

Forse l’immagine è deformata dal fatto che la guardavo come figlio.
Mia madre… veramente ho difficoltà ad evidenziare i tratti della sua femminilità.
Nell’adolescenza questi balzarono evidenti nelle ragazze coetanee. Esse sottolineavano la loro femminilità nel tempo che anche io evidenziavo il mio essere un giovane maschio.
Nessuna competizione, anzi un completamento interessante da esperire giacché erano contemporanee efflorescenze. Con sbalzi sentimentali e corporali.
Le compagnie adolescenziali sono state sobrie, sicure, piacevoli. La femminilità delle ragazze negli anni ’60 –’70 rimane un ricordo vivido e bello.
Nell’età adulta l’universo sociale in cui ero immerso era debordante di donne. Il mondo scolastico vive, parla, si muove quasi interamente al femminile ed io ne ero abbondantemente immerso.
Donne diverse per provenienza, per cultura, inclinazione, con femminilità celate ed esaltate, timide e sfrontate. Nell’apparenza della visibilità mostrata non posso eliminare che la violenza potesse essere presente in talune esperienze private, ma non si sono mai presentate come eclatanti.
Forse la mia visione è deformata dalla mia posizione professionale apicale per cui non tutto veniva spontaneamente a galla, sta di fatto che non ricordo violenze riprovevoli in quel mondo di relazioni al femminile, veramente intasato e differenziato.

Eppure la violenza opera, e lo fa in modo privilegiato nelle stanze della propria casa. Lì dove la mascolinità trova modo di mostrarsi dotata di maggiore forza fisica.
Questo potrebbe essere uno spunto di riflessione: contro la femminilità che si mostra docile, rispettosa, materna quanto basta e individualista quanto basta, si oppone la mascolinità come forza fisica rozza.
Le piccole realtà comunitarie ammortizzano le violenze, non le fanno esplodere, ed è una ragione in più per essere contrari alla globalizzazione. Non solo economica. Ma anche culturale, in quanto appiattimento su modelli e visioni della vita fondate e supportate dalla dominanza.

La vita di paese è più in armonia con la realtà fisica e con quella sociale. Esige maggiore responsabilità e la ripaga con una maggiore ‘identificazione’ col complesso esistenziale d’intorno. Non gratifica a prescindere ma nella misura in cui l’impegno si esercita. L’ essere donna in tale contesto ha meno ruoli a disposizione ma più visibilità. E’ una semplice costatazione, non scientifica, ma supportata dal senso comune. Risolve il problema della violenza sulle donne? No, certamente, ma invita a rivedere i modelli di vita. L’accaparramento di un posto lì dove tutto è possibile, tutto è dovuto, tutto è permesso, non è la formula per costruirvi intorno la società del futuro prossimo venturo.

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