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Era il massimo della trasgressione che potevamo raggiungere: fare la guerra con le pistole ad acqua.
Per San Silverio era l’occasione che si ripeteva ogni anno. Le bancarelle, prodighe di giocattoli, ci riproponevano l’acquisto delle pistole ad acqua.
Di plastica (la mia era gialla), trasparente, che ti consentiva di controllare il livello dell’acqua: e in questo modo si potevano programmare i vari attacchi ad acqua.
Sì, perché l’acqua era il nostro esplosivo con il quale colpivamo i nostri nemici.
Si formavano vere e proprie bande che si andavano rincorrendo per il Corso Pisacane e in piazza sotto il Comune, dove veniva preparato il palco.
Era sotto il palco il luogo dove si verificavano gli attacchi peggiori; il palco era costituito da panche di legno che poggiavano su fusti (?) (così me li ricordo) che erano dei veri e propri nascondigli per noi guerrieri ad acqua.
E così, mentre sul palco di pomeriggio e di sera si esibiva la banda musicale di turno con cantanti di musica lirica (era lì che si imparavano le arie più famose delle opere), noi eravamo lì sotto, intenti a bagnarci e a schizzarci con tutte le nostre forze.
Le pistole ad acqua non valevano un granché per cui spesso si otturavano, creando grande imbarazzo a chi voleva sparare, in quanto si trovava improvvisamente vittima dell’avversario che aveva invece l’arma ancora ben funzionante.
Ma il ricordo delle pistole ad acqua si collega proprio con quest’ultima, l’acqua.
Sì, perché allora a Ponza c’erano tante fontanelle che rappresentavano per noi “pistoleri” la fonte continua di ricarica delle nostre armi.
Per i piccoli futuri “saraghi ‘i puort” c’erano diverse fontanelle: una a Via Roma; una alla Parata (davanti alla Musella); una in Corso Pisacane (davanti alla puteca De Luca); due “abbasce Mamozio”: cinque luoghi dove si andava a ricaricare le nostre pistole. Un traffico continuo.
Non si faceva in tempo a caricare che bisognava ricaricare per il nuovo attacco.
Le nostre camicie e le nostre magliette, così come i nostri volti, le braccia e le gambe e i pantaloncini, si tramutavano in gocciolanti trofei.
Ma né vincitori né vinti, poiché i nostri genitori si arrabbiavano costantemente con tutti, minacciando punizioni severe.
San Silverio ci proteggeva e ci permetteva di usufruire di una costante “immunità di festa”.
Tutti i combattenti si accomiatavano dal duello minacciando rivincite per l’anno successivo. Sempre per San Silverio. Con altre bancarelle e altre pistole ad acqua.
Poi siamo diventati grandi, le fontanelle le avrebbero chiuse tutte, non solo quelle del porto. Niente più acqua, niente più battaglie, niente più pistole ad acqua.
Il “De brevitate vitae” l’avevamo già messo da parte.
Sandro Russo
13 Giugno 2020 at 17:04
Benvenuto questo scritto di Silverio Guarino – di soli due anni più giovane di me, eppure non ricordo di aver mai giocato con le pistole ad acqua – sui giochi dei ragazzini nella Ponza del tempo che fu.
Argomento raccontato a fondo agli inizi del sito, e in termini anche molto coloriti.
Ricordo i contributi di Lino Catello Pagano:
’A ’uèrr d’i cuppetiéll’ e
’I pazzièll’ ’i criature
…con le irresistibile scivolate su una discesa della Panoramica, eccezionalmente con la neve… “sopra le foglie più grandi d’i zamperevìte (semprevivi, agavi), legate ai piedi con lo spago, in sostituzione degli sci… Riuscivamo appena a gridare: Comme stongh’ ienn’? – che già eravamo distesi a faccia in giù nella neve”.
Quando “bastava un fazzoletto per iniziare a giocare a tocca e piglia, oppure alla ’uerra francese; e poi, vuoi mettere le carrette fatte da noi, con i cuscinetti a sfera e le cassette delle patate modificate e rafforzate?
E che dire d’i chirchie ’i bbiciclette?
Poi ci sono state
’I pazzièll’ ’i criature… e altro di Pasquale Scarpati: in tre puntate (1) (2) (3)
Ne ha scritto – A proposito di vecchi giochi – perfino Tonino Ambrosino:
“…mi ricordo sempre con gioia tanti dei nostri giochi (anche se le regole nella maggior parte dei casi sono svanite… con l’età).
– Tien’ tien’ cavall tuost’…
– ’A prima luna monta…
– I primm’ duie…
– Tix tox funtanell…
– Pazzia’ a nasconn’…
– ’A pozz…
– Sottammur’…
– ’U palm’…
Che ne rimane?
Si è persa “la cultura” che stava dietro a quei giochi? Si è perso il gioco o sono cambiati i bambini? Si sono esaurite la loro fantasia e inventività nei giochi con gli altri?
Sicuramente l’aggregazione di quei tempi è sparita, disintegrata la comunità che dava sicurezza ai genitori e libertà ai bambini stessi, cambiate tutte “le regole del gioco”. Appunto; in soli cinquant’anni.
E indietro non si torna.
Solo condividere con gli altri questi ricordi ci conferma nell’idea che non ce li siamo sognati!