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Scene divertenti “under the sea”. Con il commento di Adriano Madonna

Proposto dalla Redazione

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Ci era molto piaciuto questo video ed abbiamo chiesto al nostro biologo marino di riferimento di commentarlo da par suo.
Vedete il video (sei minuti scarsi) e poi leggete il suo scritto.
Altri commenti sono naturalmente benvenuti.
La Redazione

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Un’escursione sul fondo del mare, sia se si svolgerà alle esigue profondità dell’immediato sotto costa sia se sarà un’escursione subacquea profonda con l’autorespiratore, ci proietterà in ogni caso in una dimensione per certi versi sempre nuova.
Pesci, molluschi, crostacei e tutti gli altri phyla animali e vegetali hanno una lunga storia da raccontare, la storia della vita, che, a quanto pare, ha avuto origine proprio dall’ambiente acquatico e poi, da qui, c’è stata la conquista delle terre emerse, prima da parte degli organismi vegetali e poi da quelli animali.

Molti organismi marini presentano davvero forme che ricordano animali primitivi. Osserviamo, ad esempio, un polpo con occhio attento e critico: non sembra, forse, l’abitante di un altro pianeta? È formato essenzialmente da testa e piedi (i tentacoli, che sono otto), infatti non possiede un corpo intermedio. Cuore, stomaco, fegato e tutto il resto sono contenuti in quella sacca globosa che prende il nome di mantello e che certe volte sembra trascinarsi dietro come il sacco di Babbo Natale.

Qualunque cosa si faccia sul fondo del mare, ci sono buonissime probabilità che un polpo ci stia osservando. Questo “schivo signore” è un abitudinario del suo territorio, che tiene costantemente sotto controllo, e quando elegge dimora sotto uno scoglio, tende a “tenersi l’appartamento” vita natural durante, a meno che, a un certo punto, non lo giudichi un rifugio poco sicuro oppure ne venga scacciato dagli eventi.

Quello straordinario processo evolutivo che ha interessato il polpo dai tempi dei tempi ne ha sviluppato molte caratteristiche, avvicinandolo in maniera sorprendente al “mondo degli esseri pensanti”, tant’è che il nostro amico a otto tentacoli riesce a stabilire con una certa facilità quali siano le intenzioni dei vari intrusi che nel corso della sua esistenza si trova davanti. Non è difficile, infatti, convincere un polpo a giocare, proprio perché, grazie al suo acume, si rende conto che i modi e i gesti di chi gli sta davanti dimostrano intenzioni pacifiche e non sono certo paragonabili a quelli che avrebbe un pescatore subacqueo intenzionato a portarsi a casa un buon bottino. Il suo apparato cerebrale, dunque, è molto sofisticato, al punto da riuscire a elaborare la differenza tra “presenza amica” e “presenza nemica” con due tipi di reazioni opposte: la percezione della minaccia provoca l’effetto fuga o l’intanamento profondo; la certezza di trovarsi al cospetto di un intruso con buone intenzioni a volte lo induce a restare immobile, senza ritirarsi in tana, spesso addirittura a socializzare, magari allungando un paio di tentacoli per saggiare e, quindi, conoscere meglio chi gli sta davanti. Questa esperienza è molto comune e numerosi subacquei possono raccontarla. Non è poi così difficile, infatti, accarezzare un polpo oppure entrare talmente nelle sue grazie da arrivare a vedercelo passeggiare su un braccio.

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E allora viene spontaneo chiedersi che tipo di cervello abbia il polpo per giungere a tali livelli di elaborazione e di comportamento.
Il polpo non ha un cervello come quello umano e degli altri vertebrati, bensì un insieme di gangli, considerando che un ganglio è un “nodo” costituito da un certo numero di cellule cerebrali, dette neuroni.

I neuroni hanno la caratteristica di reagire a stimoli interni ed esterni in modo da produrre delle risposte. Nella scala zoologica, passando dalle specie più primitive a quelle più evolute, si può riscontrare un adattamento sempre migliore della risposta all’entità dello stimolo e una specializzazione sempre più progredita degli organi deputati alla ricezione dello stimolo e di quelli che producono la risposta.

Il cervello del polpo è fortemente sviluppato e grande: c’è, infatti, un ottimo rapporto tra la sua massa e quella corporea dell’animale. I neuroni sono circa cinquecento milioni e vanno a costituire un grosso gruppo di gangli, fusi insieme e localizzati attorno all’esofago. I gangli sono organizzati in tratti nervosi e lobi altamente specializzati che formano regioni funzionali separate: i lobi che si trovano sotto l’esofago coordinano l’attività motoria e posturale, ordinando l’uso dei tentacoli durante la deambulazione; i lobi ottici coordinano la vista, quindi le informazioni percepite dagli occhi. Le zone dorsali del cervello, invece, sono centri di apprendimento e di memoria ed è dimostrato che i polpi hanno una forte memoria, così come una grande facilità di imparare ad imitare per semplice osservazione.

I colori che il polpo è in grado di assumere, mutare, sfumare, addensare ed elaborare in mille modi sono una interessante materia di studio. Tutti abbiamo visto “scomparire” un polpo perché in un attimo è riuscito a mimetizzarsi in maniera perfetta sulla fetta di substrato dove era attaccato, così come molti avranno notato come i suoi colori si scuriscano nel momento in cui aggredisce una preda oppure si confronta con un aggressore (colori di guerra, colori di fuga, “colori d’amore” nel momento dell’atto sessuale, addirittura colori tipici del momento in cui uccide la preda etc.).

La pelle dei cefalopodi è cosparsa di una miriade di minuscoli organi, detti cromatociti o cromatofori, contenenti dei pigmenti colorati. Una corona di muscoli è presente intorno a ogni cromatoforo e, a seconda se i muscoli si contraggono o si dilatano, estendono o concentrano i pigmenti, colorando superfici più grandi o più piccole. Ovviamente, i cromatofori vengono sollecitati da impulsi nervosi e poiché cromatofori contenenti differenti tipi di pigmenti sono regolati da nervi diversi, le variazioni di colore che possono essere ottenute sono ben precise e in numero grandissimo.

Ma il fondo del mare è prodigo di mille altre sorprese. Laggiù la lotta per la sopravvivenza adotta mille strategie per raggiungere la supremazia nelle competizioni per le risorse e una di queste è la competizione per lo spazio, cioè dove “mettersi a sedere”, dove costruire la propria casa, magari una con vista, da cui si possa avere la visuale di un’ampia porzione di fondale, se questo è un provvido terreno di caccia.

Ci sono pesci che si contendono una fetta di fondale evidentemente buono per farci tana, magari sputandosi contro boccate di sabbia. Altri si infilano nelle tane altrui e non le lasciano più, astenendosi addirittura, per giorni e giorni, dall’uscire per andare a procacciarsi il cibo, fino a che lo sfrattato non si sia reso bene conto che il suo appartamento è stato occupato.

La vita che ferve sott’acqua è talmente tanta e frenetica che non è difficile, ad esempio, vedere dei pesci che deambulano sul fondo camminando letteralmente. In queste specie le pinne toraciche hanno assunto la foggia e la funzione di zampe poiché quel pesce si è reso conto che per lui camminare è più agevole che nuotare. Questa esigenza è stata raccolta dal suo DNA che lo ha accontentato modificandogli le pinne in zampe.

Pesci che camminano sul fondo ma anche pesci che si muovono nella colonna d’acqua, dalla superficie al fondo, magari con la scelta di una certa profondità in funzione delle stagioni. Con i cambiamenti di temperatura dell’atmosfera tra estate e inverno, anche il primo strato dell’acqua del mare si raffredda o si riscalda e ciò mette in moto una serie di meccanismi che si concretizzano essenzialmente in moti di correnti ascensionali (upwelling) e discensionali (downwelling) con trasporto di nutrienti dal fondo in superficie e dalla superficie al fondo a seconda delle dinamiche. Si compone, quindi, quel meccanismo conseguenziale che prende il nome di piramide alimentare e che al grido di “la pappa è pronta!” , movimenta milioni di animali. Esistono addirittura lunghi viaggi da un emisfero all’altro in funzione della ‘pappatoria’, ma anche per il desiderio naturale di procreare e assicurare la perpetuazione della specie.

Una escursione sott’acqua significa andare a curiosare in un mondo per certi versi ancora sconosciuto e questa asserzione non è esagerata né è una frase fatta: basti pensare che continuiamo ad attrezzarci per scoprire e magari colonizzare altri pianeti eppure ancora non conosciamo i misteri delle profondità abissali degli oceani.

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Allegato al Commento di Sandro Russo (cfr)

L’amaca – da la Repubblica del 9/6/2020
L’aquila e il suo boia
di Michele Serra

Non sono un animalista, ma ho cognizione della natura (inclusa la sua ferinità) quanta ne basta per dire che una persona che spara a un’aquila reale nel suo nido, mentre cova due uova, come è accaduto pochi giorni fa in Valle Aurina, è una merda.
Può esserlo diventato per infelicità o per pazzia, per colpa o per deviazione, ma lo è. Oggettivamente: lo è.

Tutti i distinguo su quanto grande è il dolore umano, quanto inauditi i torti perpetrati agli uomini, sono ridondanti rispetto a un gesto che contiene, in sé, lo stesso odio per la vita che organizza ogni atto di violenza. La massima parte delle uccisioni degli animali, perfino l’orribile eppure corrente pratica degli allevamenti intensivi, che trattano le bestie come pezzi di ricambio della macchina umana, ha almeno la giustificazione, o l’alibi, del nutrimento.

È il ciclo onnivoro che muove il pianeta, organizzato secondo il dominio umano e le sue forme speculative, spesso ciniche e imprevidenti (per nutrire l’umanità si scassa il pianeta, dunque si scassa l’umanità).

Ma sparare a un animale raro, e nobile, e bellissimo, senza altro movente che lo sparo, è una pura bestemmia contro la natura, contro la vita, dunque contro noi stessi. È il riassunto minimo, eppure perfetto, della distruzione dei Buddha di Bamiyan scempiati per mano talebana, dei templi di Palmira bombardati dall’Isis, è puro odio (e invidia) per la bellezza, per l’altezza, per la magnificenza della vita. Se avete mai visto un’aquila in volo, avete già capito quello che voglio dire.

Michele Serra del 9 giugno 2020. Copia [2]