di Annalisa Gaudenzi
–
Forse ognuno di noi ha avuto un bisnonno, un nonno o chissà un padre che nel Corno d’Africa c’è stato. In tempo di pace o di guerra.
Il mio non ne voleva mai parlare. Quando da bimba gli chiedevo: “Nonno, ma cosa facevate quando eravate lì?”, scuoteva la testa.
Alla sua morte, fui incaricata (unica nipote femmina) di smontare il suo studio. Forse perché molto giovane e dal tocco gentile, in quanto femminile. E neutrale, rispetto a tutti.
Fu un’impresa più dolorosa del previsto. Mettere le mani addosso ad un corpo di memoria, fatto di libri, foto o oggetti è un sacrilegio. Mi sentivo una ladra. Tuttavia ringrazio l’intuizione di mia zia, perché almeno qualcosa in più sul mio adorato nonno, ufficiale degli Alpini, scoprii.
L’Africa l’aveva amato. E generosamente.
Con i due documentari che vi propongo si comprende meglio l’incontro tra Eritrei e Italiani. Ieri e oggi.
Iniziamo con “Asmara piccola Roma” (durata 17′ e 15″) di Giampaolo Montesanto, preciso resoconto dei gioielli di architettura Futurista e Art déco, patrimonio UNESCO, commentati da una bella giornalista asmarina. Non importa se, più che Roma, ricorda Latina (peraltro città dignitosissima). Conta l’espressione della gente, l’orgoglio, l’affetto, la riconoscenza. Senza colore politico, che stonerebbe.
.
.
Il secondo è “La Ferrovia Asmara Massawa” (durata: meno di 12 min.) prodotto da Erietinet News. E si scopre l’ingegno e la caparbietà di un piccolo gruppo di veterani ferrovieri, capaci (a mani nude!) di ricostruire 709 chilometri di strada ferrata. Sì, meritano un grandissimo applauso. E, quando si sente il fischio dell’anziano macchinista sulla locomotiva, non potrete non commuovervi!
A proposito, in Eritrea “asmarino” (ovvero la fusione tra le due etnie, la tradizione eritrea e l’elemento italiano) è sinonimo di eleganza, buon gusto e urbanità. In Italia “romano” non esattamente. Quasi quasi mi trasferisco là!
Buona visione.
.
Sandro Russo
27 Maggio 2020 at 07:44
Ringrazio Annalisa per aver rispolverato le sue memorie familiari e averci proposto questi due bei filmati, sulla presenza italiana nel corno d’Africa. E’ vero che tra amici e parenti ciascuno di noi trova qualcuno che con quel pezzo del grande continente ha avuto a che fare; o col nord-Africa, più in generale.
In Libia, per esempio, c’era stato soldato mio padre nel periodo della seconda guerra mondiale (memorie anche in quel caso accuratamente cancellate e non tramandate ai figli).
Mentre in Somalia (vero corno d’Africa) sono stato personalmente, con un incarico di insegnamento di tre mesi presso l’Università nazionale somala: proprio ai tempi della guerra dell’Ogaden (Somalia contro Etiopia: 1977-78). Per dire che quei volti, quel modo di parlare, li conosco bene.
A volte succedeva, nelle spedizioni epidemiologiche per villaggi sperduti o in boscaglia, di incontrare dignitosi pastori che parlavano italiano, dai tempi in cui gli scambi tra i due paesi erano intensi. E posso confermare, che a differenza degli inglesi, universalmente odiati in tutti i paesi che hanno colonizzato, gli italiani in Africa hanno lasciato un buon ricordo.
Altro motivo di interesse, l’architettura d’epoca che gli italiani hanno lasciato all’Asmara, mirabilmente conservata da quel popolo (ma non altrove).
Sul sito abbiamo incrociato qualche volta questo argomento: sulla presenza coloniale italiana in Egeo, nell’articolo di Lucia Galli, del settembre 2017: “Architetture mediterranee. A Rodi, una perla recuperata“, e per Villa Salem a Salonicco, di Patrizia Maccotta, più di recente.
gianni sarro
27 Maggio 2020 at 12:32
Argomento interessante, trattato con moltà linearità ed efficacia. Non mi stupisce il fatto che certe architetture ricordino più Latina, città fondata col nome di Littoria nel 1932, che non Roma. Un caro saluto.