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Ettore Scola inizia a dirigere film quasi per caso nel 1964 con Se permettete parliamo di donne. Fino a quel momento Scola è uno dei più affermati sceneggiatori del cinema italiano. Con Risi ha firmato Il Mattatore (1959) Il sorpasso (1962) e I mostri (1963) (tutti e tre i film vedono Gassman protagonista, un caso? No. Ci arriviamo tra qualche riga); con Pietrangeli ha invece scritto Adua e le compagne (1960), Fantasmi a Roma (1962, ancora Gassman tra i protagonisti), La parmigiana (1963). Sceneggerà ancora con Pietrangeli Io la conoscevo bene (del 1965) [(*) Cfr. la scena del volto della Sandrelli rigato di lacrime, idea poi ripresa in C’eravamo tanto amati – link più avanti nel testo].
Il racconto di come è avvenuto il passaggio dietro alla macchina da presa, Scola l’ha raccontato molte volte. «Con Maccari lavoravo al copione di Se permettete parliamo di donne. Mario Cecchi Gori avrebbe prodotto il film e Gassman l’avrebbe interpretato. Accadde che un giorno, mentre eravamo tutti riuniti a leggere alcune sequenze sia Gassman che Gori mi dissero: “Perché non lo dirigi tu?”» (1).
Si avvia così, del tutto casualmente, la carriera di uno dei più autorevoli autori a tutto tondo della storia del cinema. La prima parte della carriera di Scola scorre sull’abbrivio di alcune commedie non memorabili, che tuttavia hanno un ottimo riscontro al botteghino. Tra i titoli citiamo La congiuntura (1964) e L’Arcidiavolo (1966) che vedono Gassman protagonista (2).
Nel 1968 Scola comincia a far intravedere che dietro la macchina da presa non solo si trova bene, ma anche che ha un’idea di cinema precisa e molto personale. Il film che svela il talento registico di Scola è Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?, con Sordi e Manfredi protagonisti.
Il commissario Pepe (1969, con Tognazzi) e Dramma della gelosia, tutti i particolari in cronaca (1970, con Mastroianni, Vitti e un giovane Giannini) sanciscono l’affermazione di Scola regista.
Una delle caratteristiche principali dell’opera di Scola è quella di fare un cinema “di Storia e di storie”.
In questa luce è interessante analizzare alcune delle scelte operate dal regista nella messa in scena.
Alcuni dei film di Scola che più esplicitamente mostrano una cornice storica ben definita sono: C’eravamo tanto amati (1974, Una carrellata vorticosa attraverso trent’anni di storia italiana);
Una giornata particolare (1977, ambientato nei giorni della visita di Hitler a Roma il 6 maggio 1938) [leggi qui];
La terrazza (1980, film dalla struttura complessa, che fotografa un’Italia crepuscolare alle prese con terrorismo e riflusso;
Il mondo nuovo (1982, che evoca la rivoluzione francese, in particolare la notte del 21 giugno 1791, quella in cui la fuga di Luigi XVI e Marie Antoinette fu fermata a Varennes);
La famiglia (1987, ottant’anni di storia patria narrata attraverso i ricordi di un professore universitario).
Fanny Ardant e Philipp Noiret. In La famiglia
In tutti questi film gli avvenimenti della grande Storia accadono fuori dall’orizzonte del nostro visibile. Ad esempio in Una giornata particolare la grande Storia è mostrata attraverso le immagini di repertorio con le quali inizia il film. Oppure attraverso la voce della radio che trasmette la radiocronaca della parata in onore di Hitler. Scola sceglie di confinare nel fuoricampo la rappresentazione della storica giornata della città (riprodotta sul piano sonoro esclusivamente dalla radio), mentre ci mostra in campo quella privata. La distinzione tra “un qui” in campo (Antonietta/Loren e Gabriele/Mastroianni) e “un altrove” (la parata, la voce stentorea dello speaker che la racconta) sempre fuoricampo, serve a Scola per dilatare il senso del conflitto tra le due dimensioni contrapposte, tra pubblico e privato, aperto e chiuso, affollato e deserto, massa e individuo, clamore e silenzio.
In Il mondo nuovo la narrazione della storia è mostrata attraverso altri racconti, altre memorie, rappresentate dalla lanterna magica che evoca la fuga del Re e la decapitazione. Anche qui non ci sono immagini dei protagonisti intrecciate con quelle dei macro avvenimenti, ma solo evocazione e simulacri di questi ultimi.
Il regista ha precisato più volte che a lui interessa raccontare le piccole storie private della gente comune, mantenendo sullo sfondo la grande Storia. A Scola piace raccontare la storia dell’uomo, di come reagisce nei confronti di fatti che passano sopra la sua testa. Perché nella narrazione di quest’autore ci sono sempre due livelli. “Un piano di sopra”, dove succede di tutto, dove due o tre inquilini (i governanti) litigano, si ammazzano. E “un piano di sotto”, occupato dagli altri, dalle persone comuni che, anche se ignorano o cercano di ignorare quei fatti, ne sono comunque condizionati.
La lezione di regia che possiamo trarre da quest’analisi è che Scola la Storia preferisce raccontarla anziché mostrarla. Senza enfasi. Mettendo in scena personaggi malinconici (il Casanova de Il mondo nuovo), sconfitti (come il Palumbo, magistralmente interpretato da Satta Flores, di C’eravamo tanto amati), disillusi (come il deputato comunista col volto di Gassman o il giornalista con quello di Mastroianni in La terrazza).
Spesso nel cinema di Scola ricorre un altro stilema, quello di mostrare i personaggi rinchiusi in spazi angusti e claustrofobici. Potrebbe essere lo spunto per un’altra avvincente carrellata nel cinema di uno dei più grandi registi del cinema italiano.
Ettore Scola [Trevico (Av), maggio 1931 – Roma, gennaio 2016]
Note
(1) – In «Ettore Scola e io». A cura di Antonio Bertini. Officina edizioni, Roma 1996. Pag. 62.
(2) – Per dire quanto fosse trainante per un film il nome del Mattatore, basta ricordare che lo slogan pubblicitario di questi film era ‘A tutto Gassman’.
N.B. – Tutta la serie “La storia raccontata dai film” – 16 articoli fino ad oggi – di Gianni Sarro può essere richiamata attraverso la funzione “Cerca nel sito” nella colonna di sin., in Frontespizio
La locandina dell’ultimo film di Scola, in ricordo di Fellini, del 2013
Sul sito
- L’amicizia di vecchia data con Fellini, nata al tempo della comune collaborazione al Marc’Aurelio e continuata negli anni, ha permesso a Scola di chiedergli di “rigirare” la famosa scena de La dolce vita a Fontana di Trevi – con i veri Mastroianni e Fellini – per un cameo da inserire in C’eravamo tanto amati: Leggi e guarda qui
- Ci fa anche piacere ricordare che una delle prime citazioni di Scola – proprio all’inizio di questa serie “La storia raccontata dai film” -, é stata Concorrenza sleale, del 2001, focalizzato sui mesi che precedono e seguono l’emanazione delle leggi razziali del 1938.
Lorenza Del Tosto
17 Maggio 2020 at 15:37
Molto interessante l’analisi di Scola in termini di Storia e storie. La Storia raccontata fuoricampo dalle storie private nei suoi film è materia assai gustosa, mai artificiosa, mai semplice espediente e soprattutto è la Storia per come è andata per qualcuno e non quella che scrivono i vincitori. W la storia studiata al cinema!
Bene, aspettiamo la claustrofobia di Scola.
Nazzareno Tomassini
17 Maggio 2020 at 22:32
La storia di Scola non è soltanto la storia del nostro cinema; è anche la nostra storia personale, dei nostri decenni passati in Italia e durante i quali, nonostante i tanti impicci e intoppi, ce la siamo cavata piuttosto bene.
La storia dei cantanti turchi (in riferimento all’altro articolo) è invece la storia di un altro mondo, di un mondo che è restato cattivo e che tale vuole restare; e dove la vita umana vale niente. Ed è sempre più grande, perché non riguarda solo la Turchia. Anche restando soltanto nel bacino mediterraneo, leggiamo quello che succede in Iran o in Egitto (v. la Repubblica di oggi) e di macigni ce ne cadranno addosso un bel po’.