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In ricordo di Ezio Bosso, il pianista che ha incantato e commosso tutti

a cura della Redazione 

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Due giorni fa è morto Ezio Bosso, lo straordinario artista che ha saputo incantare tutti per la sua musica, ma anche per la dignità con cui aveva affrontato e raccontato la sua malattia. Non potevamo dimenticarci di  questo straordinario pianista, direttore d’orchestra e compositore cui tutti abbiamo voluto bene per la capacità che ha avuto di farci vedere come il dolore sa farsi bellezza e la sofferenza arte.
Nel suo breve tratto di vita  si è nutrito di musica. “La musica è una necessità: è come respirare” amava dire. E ancora “La musica è come la vita, si può fare in un solo modo: insieme».
A cercare di immaginarlo oggi che non c’è più, viene immediatamente alla mente il vorticoso movimento delle sue mani che hanno fatto parte ancor di più del suo modo di comunicare da quando gli venne proibito, nel 2019, di suonare il pianoforte per l’avanzare della malattia.
Aggrappandoci a questa visione, per ricordare Ezio Bosso, riprendiamo da la Repubblica di ieri sabato, 16 maggio, il bell’articolo di Gabriele Romagnoli che qui di seguito riportiamo.

Il talento purissimo di dipingere le note con le mani
di Gabriele Romagnoli

Nel mondo come rappresentazione Ezio Bosso suonava la musica della volontà. Il talento purissimo era lo spartito, l’esecuzione veniva affidata alla sua straripante interpretazione della vita.
L’ultima volta l’ho visto all’Auditorium di Roma, a dicembre, per un concerto di Natale dedicato a Beethoven. Non suonava più il pianoforte, dirigeva. È entrato facendo esplodere il sorriso, le braccia come ali.
Ho scritto “dirigeva”, ma non è accurato. Poteva essere indicato sul programma di sala, ma non è questo che faceva. Giocava con l’orchestra, entrava nella musica. Era come un pittore che non usa il pennello ma direttamente le mani, uno scrittore in trance che riempie le pagine e solo alla fine scopre come.
Roger Federer non è il tennis, come sostengono, ma è nel tennis. Ezio Bosso era nella musica. E ti ci trascinava dentro. La sera in cui andavi ad ascoltarlo potevi aver conosciuto il dolore o incontrato l’amore: lui inscriveva tutto quel che eri e ti era accaduto nella musica che suonava o faceva suonare. Se avevi la gentilezza di osservare, le sue mani ferite disegnavano continuamente cerchi: comprendevano, in ogni possibile senso. Dentro c’era tutto. Non potevi certo essere tu a spiegare a uno come lui la sofferenza, la bellezza, la morte, la rinascita. Le aveva già incontrate tutte. E tutte aveva trasformato in musica.

Nel 2013, tre anni prima che apparisse a Sanremo, qualcuno che lo conosceva mi suggerì di fargli raccontare la sua storia.
Nato in una Torino di barriera, era rintanato a Bologna a curarsi, poco noto e poco edito in Italia, più apprezzato all’estero. Il mondo non gli bastava.
Come gli aveva detto Philip Glass: “C’è troppa vita dentro di te per limitarti a un solo strumento”. Troppa, perché potesse fermarlo il tumore. A lungo costretto a esistere letteralmente nell’ombra, aveva tenuto a Londra “concerti fantasma” e si preparava al primo rientro dall’oscurità. Da lì in poi, fu soltanto luce. Ogni tanto qualcuno provava a spegnerla, premendo l’interruttore del cinismo, ma era solo un brusìo in sala, azzittito dal desiderio della platea. A un suo concerto il pubblico non chiudeva gli occhi, non si lasciava trasportare altrove, voleva restare lì, per guardare e non perdersi un gesto.

Un Maestro non spiega, indica: il destino delle note, i meriti degli orchestrali. Ezio Bosso aveva un cenno per tutte e per tutti. Di ciascuna accarezzava il passaggio, per ognuno chiamava l’applauso. Usciva, esultando. Si definiva “solitario, ma non solo” e per capire che cosa intendesse occorre aver sfogliato non vocabolari, ma possibili destini, in notti interrotte, dentro camere separate. Aveva ideato un progetto partecipato dal titolo And the things that remain, “E le cose che restano”, invitando a spedirgli i reperti di una vita trascorsa. Aveva raccolto, oggetti, fotografie, frasi. Alla fine, per sé, aveva scelto una catena di note “perché sono una catena di vita, si trasmettono, mutano, ci seguono”.

Ha composto, anzitempo, la musica di questo tempo confinato: The 12th room, la dodicesima stanza, piano solo. Un susseguirsi di pareti dentro cui la vita rimbalza. Se hai avuto un passato splendente puoi uscirne con la memoria; se confidi nel futuro con la fantasia. Se hai solo il presente puoi farti portare dalle parole di uno scrittore o dalla musica di un compositore.

Sonata numero 1, in sol minore: Ezio Bosso ci entra con un adagio doloroso, conclude con un allegro molto. È stato il suo percorso: come Benjamin Button (*) se n’è andato bambino, ridendo fra le lacrime.

Da la Repubblica di sabato 16 maggio 2020:

Proponiamo, ora, con una commovente e vibrante  introduzione dell’autore, il notissimo pezzo, Following a Bird, che Ezio Bosso presentò al Festival di Sanremo del 2016. Quell’apparizione rese Ezio Bosso famoso in tutto il mondo nonostante fosse da tanti già conosciuto ed apprezzato.

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2 Comments

2 Comments

  1. Silverio Guarino

    17 Maggio 2020 at 20:58

    “Muore giovane chi è caro agli dei”. Menandro

  2. Rinaldo Fiore

    20 Maggio 2020 at 22:21

    Ezio Bosso, un musicista, un compositore… No, una persona nata tra di noi per farci conoscere i suoi pensieri, la sua vita.
    Usava le sue doti per farci conoscere “l’essenza”, quello che la sua anima buona aveva dentro. Comincia a pesarmi la sua mancanza, puro dolore per non essere più insieme: quel suo sorriso e i gesti delle mani, la voce strozzata dalle sue difficoltà, le mani sembravano disegnare le figure degli storni nel cielo di Roma… Dovrò cambiare pagina, canale per non soffrire…

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