Segnalato da Luisa Guarino e commentato da Sandro Russo
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Penso che ordinerò quanto prima questo libro segnalatomi da Luisa dal Venerdì di Repubblica di questa settimana. In effetti la presentazione è attraente, anche se su alcune parole sono stato a pensare un po’, perché l’occhio non le riconosceva. Ora ve lo dico, così non fate la stessa fatica.
Lo scritto qui sotto propone questa frase: “… capita che “dire” diventi ricr, “tua sorella” sort e e “iscriviti” iscrivt come nella pubblicità in basso…”… Non capivo, perché io (e sul sito) l’avremmo scritta rìcere e sòrete.
Ma la recensione è interessante e il libro (ch’a speranza!) lo sarà anche di più.
Cu’ ’na bbona salute!
S. R.
Correnti del golfo
Manualetto di ortografia napoletana
Il napoletano è una lingua o un dialetto? L’annosa questione, che infiamma molti animi sul Golfo e dintorni, non appassiona molto Nicola De Blasi e Francesco Montuori, i due studiosi autori di Una lingua gentile, saggio su storia e grafia del napoletano appena pubblicato da Cronopio (pp. 204, euro 15).
Se una lingua, spiegano, è un mezzo di comunicazione diffuso su un territorio abbastanza vasto e utilizzabile in tutti gli ambiti, soprattutto quelli istituzionali, allora il napoletano non lo è mai stato, nemmeno quando Napoli era la capitale di un regno vasto e fiorente. Delle grandi lingue ha però la vitalità e la tradizione culturale: in napoletano sono stati e continuano a essere scritti centinaia di romanzi, poesie, opere teatrali, canzoni…
Già, ma come si scrive il napoletano? Anche questa è questione antica, ma più attuale che mai, visto che ai tradizionali testi in dialetto si sono aggiunti slogan pubblicitari, scritte sui, muri, manifesti funebri, post sui social network, messaggini whatsapp.
Il problema è che l’alfabeto italiano non ha i segni per esprimere tutti i suoni del napoletano parlato: basti pensare all’onnipresente vocale indistinta, spesso resa con un profluvio di apostrofi o omessa del tutto; per cui capita che “dire” diventi ricr, “tua sorella” sort e “iscriviti” iscrivt come nella pubblicità in basso, peraltro contestatissima dai puristi.
Per evitare esiti grafici così mostruosi, e spesso poco comprensibili perfino ai madrelingua, gli autori ripercorrono brevemente la storia del napoletano letterario – da Boccaccio a Troisi e oltre – per suggerire regole ortografiche semplici e ispirate a buon senso e leggibilità.
E agli amanti della «biodiversità linguistica» offrono anche un ripasso accelerato di grammatica: ad esempio molti degli stessi napoletani saranno sorpresi nell’accorgersi di usare regolarmente il genere neutro, come gli antichi romani. Sta tutto nella doppia s che distingue ‘o ssaccio (“lo so”) da ‘o saccio (“conosco quell’uomo”).
Anche qui avremmo scritto: Iscrivete e sta’ senza penziere! ‘O 6 giugn’ ci’ammna diverti’
L’articolo dal Venerdì, in formato .pdf: Manualetto di ortografia napoletana
[Michele Gravino, su Venerdì di Repubblica del 24 aprile 2020; pag. 78]
FIGURA
Iscrivt e sta senza pensied Ce giug n ciarnrn diverti.
Tea Ranno
28 Aprile 2020 at 09:14
Grazie, Sandro.
Mi interessa sì. Sia perché tra napoletano e siciliano ci sono molte parole (molti suoni) in comune, sia perché anche il siciliano lo intendo come lingua, pure che non è diffusa in un vasto territorio e non è parlato da innumerevoli persone.
E’ lingua antica e sapiente, che ha tracce di greco, di latino, di arabo, di spagnolo e di normanno, e che risuona in maniera diversa a seconda del pizzo di Sicilia di riferimento. Il mio siciliano niente ha a che fare col pastiche di Camilleri, molto poco col palermitano, o il gallitalico di Randazzo, con la lingua che si parla a Piana degli Albanesi, ma è lingua, sì, e scriverla non è facile…
Patrizia Maccotta
28 Aprile 2020 at 18:58
Sandro… è un po’ come leggere i geroglifici allora!! Alcune parti delle sillabe mancano! O vengono ricreate. Se le lingue traducono lo spirito di un popolo (“chi me lo fa fare?” è un’espressione che non esiste in nessun’altra lingua se non in italiano! Non si riesce a tradurre, se non trasformandola in “perché lo dovrei fare?” che non rende affatto la sfumatura); queste trasformazioni linguistiche traducono la grande fantasia e teatralità dei napoletani.