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L’isola che abbiamo dimenticato: la Galite (10)di Biagio Vitiello per la nona puntata, leggi qui dal libro L’ile de la Galite di Achille Vitiello La seconda guerra mondiale
Nel 1939, in seguito alla dichiarazione di guerra, tutti gli uomini arruolabili partono e la pesca praticamente, si ferma fino al 1945. È un periodo molto duro per i galitesi. Da Biserta non vi sono più approvvigionamenti. Gli italiani, anche loro, non hanno granché da mangiare e non esitano ad autoinvitarsi presso gli abitanti. Istallano batterie antiaeree un po’ dappertutto. Gli ufficiali alloggiano negli uffici amministrativi francesi. Gli italiani pensano che i galitesi siano a loro favore, ma essi rimangono fieramente francesi, tranne qualcuno che – come accade dappertutto – collabora con loro. Una nave da guerra italiana si ormeggia in rada con a bordo dei palombari, assieme a motovedette veloci (mas, n. d. t.). Tutte le notti [gli italiani] partono con questi mas per fare sabotaggi ed attentati nei porti algerini. Un giorno, al largo della rada, passano due aerei. Credendo che si tratti di aerei tedeschi o italiani, questi non se ne preoccupano affatto; dopo qualche decina di minuti, gli aerei rispuntano da nord sorvolando raso-terra le case del villaggio: sono gli inglesi che bombardano le navi da guerra italiane. Una di esse, denominata Ceffaro (ossia “cefalo”, un tipo di pesce) cola a picco sul posto. Gli italiani tentano di salvare tutto ciò che possono: munizioni, armi, motosiluranti e ogni sorta di materiale che ammassano sulla spiaggia. Poi l’imbarcazione viene recuperata e rimorchiata alla volta dell’Italia. Intanto gli italiani fanno credere ai galitesi, che loro ed i tedeschi vincono su tutti i fronti e che presto una gran parte del mondo sarà fascista. Un galitese, Jaques D’Arco, detto Churchill, fa amicizia con un ufficiale italiano, addetto alle trasmissioni. In cambio d’uno spuntino, [l’ufficiale] gli confida le notizie reali della guerra. È così che una sera Jaques D’Arco arriva da mio nonno e annuncia trionfalmente che gli alleati sono sbarcati nell’Africa del Nord e che i tedeschi e gli italiani arretrano dappertutto. In effetti, un po’ di tempo dopo, gli italiani ricevono l’ordine di evacuare La Galita. Gli italiani non osano affatto cercare i galitesi sulle montagne, temono che siano armati, ma non è proprio il caso. Dopo alcuni giorni di preparativi, sono pronti a partire con le barche da pesca. Sono tutte preparate agli ormeggi, ma arriva una nave da guerra italiana, li imbarca tutti e lasciano sul posto tutto ciò che non fa parte dei loro effetti personali. Un solo galitese parte con loro. Ritornerà qualche anno più tardi e, grazie a mio nonno Achille Vitiello, le autorità francesi chiuderanno gli occhi su di lui e su tutte le altre cose accadute durante l’occupazione italiana. I galitesi recuperano le armi, le coperte, i teli da tenda. Le barche da pesca, lasciate alla deriva, vengono recuperate a nuoto dagli uomini, ad eccezione di una o due che finiscono in frantumi sugli scogli. Quando la guerra riprende, tutti gli uomini partono. Due galitesi vengono fatti prigionieri in Germania: Antonio D’Arco, detto poi ‘u Giamanese (il tedesco) e Antonio Vitiello, detto Ninì. Rientreranno tutti sani e salvi. Con l’armistizio la pesca non riprende, del resto in questo momento manca il carburante. Alcuni pescatori che hanno ancora le barche, manomettono i motori per iniziare con la benzina, passando poi all’alcool. Le vele latine e le barche a remi riprendono servizio e la vita riprende il suo corso. Il 1945 è la migliore annata di pesca all’aragosta! I maestri.
Il dopoguerra.
(3) Dei velieri della famiglia Feola, des mareyeurs (tra i sindaci?) di Ponza. [L’ile de la Galite (decima puntata) – Continua] 1 commento per L’isola che abbiamo dimenticato: la Galite (10)Devi essere collegato per poter inserire un commento. |
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Trovo molto opportuna la pubblicazione di questo capitolo della Storia di La Galite: l’occupazione fascista dell’isola, durante la II guerra mondiale e la successiva LIBERAZIONE, proprio oggi, 25 aprile, data in cui noi italiani celebriamo appunto la FESTA DELLA LIBERAZIONE dal nazifascismo.
Stando a quanto ci riferisce Achille, le truppe di occupazione italiane non lasciarono un buon ricordo, anzi spesso si “autoinvitavano” a pranzo e a cena dai pazienti galitesi, perché venivano tenuti “a stecchetto” dal regime fascista, imbarcatosi in una guerra assurda. Tralasciando le suole di cartone degli scarponi dei fanti, mandati al macello in Russia in mezzo alla neve.
Infine, nella ingloriosa ritirata che fanno? Mandano alla deriva le barche da pesca di coloro che li avevano pazientemente sopportati e sfamati. “Se questo è un italiano…” parafrasando alla rovescia il grande scrittore italiano Levi, che tanto ebbe a soffrire durante quell’odioso regime.
Ma, credeteci, cari nostri fratelli galitesi, quelli non si comportarono da Italiani, bensì da “fascio-italioti” e compatiteli.