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Intervista a Ambrogio Sparagna

Segnalato dalla Redazione – Da un’intervista di Graziella Di Mambro a Sparagna, che estrapoliamo dall’edizione odierna di Latina Oggi (pag. 6)
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La nostra estate senza la musica live
di Graziella Di Mambro

Ambrogio Sparagna parla della nostra estate senza concerti ma lascia prevalere la speranza. Torneremo a cantare.
Parla del mondo dei tecnici e dei fonici che sono l’anima profonda dei concerti e adesso vivono una grave crisi.
«Il vero problema sarà elaborare il lutto. Non lo possiamo fare. Penso ai pianti rituali delle nostre nonne»
«Andare in televisione? Purtroppo non è la stessa emozione»

Cosa resterà di noi, dei concerti, delle sagre e delle feste patronali? Si può immaginare l’estate in Italia senza eventi di piazza, al mare, nei piccoli borghi che, talvolta, vivono solo ad agosto?
Risponde Ambrogio Sparagna, un artista che ha portato la musica popolare in giro per il mondo passando sempre dalla provincia in cui è nato.
«Il punto è che ci mancheranno le feste, il nostro folclore, i cori, la musica nelle piazze, ma credo che soprattutto ci mancherà quel rito di liberazione che appartiene alla elaborazione di un lutto. Ecco, io credo che stiamo vivendo un lutto, nazionale e personale per molti, e non possiamo urlarlo. Il pianto rituale delle nostre nonne del sud in fondo era questo, un modo per elaborare e passare alla resurrezione. E ciò che ci è negato e ci sarà negato, temo, ancora per molto, almeno fino all’autunno inoltrato, quindi sì avremo un’estate senza le nostre feste».

Possiamo immaginare un modo diverso di fruire della musica per non far passare un’estate nel silenzio?
«Non lo so, forse sì. Potremmo immaginare un percorso per gruppi di spettatori che ‘incontrano’ gli artisti lungo la strada e dopo di loro si susseguono altri gruppi. Ci sono comunque delle cose, degli atteggiamenti che appartengono al nostro rapporto con la musica e con gli eventi che non si potranno sostituire. Pensiamo ai cori, ne ho diretti tanti e li ci sono 100 persone attaccate che si alitano in faccia. Ma un coro è così».

Guardiamo il lato pratico, economico, dello stop agli spettacoli. Un concerto è incentrato su un artista. e molti volti sconosciuti. Che fa questo «mondo» adesso?
«Purtroppo quel mondo è fermo e vive un momento difficilissimo dal punto di vista economico. Ad un concerto standard, penso per esempio a quelli dell’Auditorium, lavorano almeno venti persone, tra fonici, addetti alle luci, la squadra degli scenotecnici. Sono figure indispensabili anche se non direttamente visibili e hanno famiglia, traggono un reddito dai concerti, talvolta anche piuttosto basso eppure sono l’anima autentica degli eventi culturali. Adesso queste persone sono senza lavoro e non sono previsti sostegni per loro, anche il fondo Siae per gli Autori è poca cosa. È un pianeta di uomini, donne, idee che sta soffrendo».

Il web, la tv sono alternative? Gli attori e i registi teatrali hanno chiesto che siano mandati in onda spettacoli.
«Sì, va bene pure, ma non è uno spettacolo dal vivo. È una trasmissione. Io non vedo lo stesso effetto anche se comprendo che bisogna sperimentare modalità nuove fin quando non si possa davvero tornare a stare vicini».

Ci sarà una rinascita?
«Vediamo, speriamo nel Natale, quella nascita potrà essere la nostra rinascita e torneremo ancora a cantare, ad applaudire, a stare vicini. Alla fine di tutto questo saremo una società ferita, ciascuno di noi ne uscirà ferito. Credo peraltro che l’Italia soffra di più perché siamo un Paese basato molto sugli abbracci, le strette di mano, l’affetto esplicito. Ho sentito amici nell’Europa del Nord e loro mi hanno detto che sì, stanno a casa ma che in fondo non è poi così diverso dal tempo ‘normale’. Sono le nostre abitudini mediterranee ad essere stravolte. Noi siamo portati a ballare e cantare insieme, questo è la nostra anima, la nostra musica popolare, che ci rende diversi. Non so come ce la riprenderemo, ma lo faremo».

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