Archivio

Memoriale di Giuseppe Cesarano (1)

di Francesco De Luca

 

Franco De Luca ci presenta questo interessante Memoriale di Giuseppe Cesarano, medico chirurgo condotto a Ponza negli anni  fine ‘800, trovato fra le carte del padre Cesare.
Ne ha fatto una piccola pubblicazione che, in cinque parti, propone ai lettori di Ponzaracconta. Di Cesarano – informa Franco – non ha trovato né in Corvisieri né in altri le date di nascita e di morte. La ricerca è tuttora in corso e, ovviamente, sono graditi documenti chiarificatori da parte di chi, leggendo queste pagine, sia stimolato a rintracciarli e, se rinvenuti, a metterli a disposizione dell’autore o di questa Redazione. Sempre Franco si è riservato di inviarci, appena possibile, la foto della targa che, in onore del medico, si trova posta a Giancos.
La Redazione

Parte Prima

P r e f a z i o n e:
Ho trovato, per puro caso, fra le “scartoffie” di mio padre (Cesare De Luca, nato e morto a Ponza, 1894-1979) questo Memoriale di Giuseppe Cesarano.
Dalla lettura si evincono notizie interessanti per la conoscenza della storia ponzese, piacevoli storielle, e soprattutto si apprende la vicenda umana e professionale di un uomo che merita ricordo perenne presso i Ponzesi.
Chi ha scritto questo Memoriale?
Le firme che qui riporto, e che chiudono il documento

Vincenzo Califano
Onorato Giovanni
Cassese Andrea – Consigliere comunale
Biagio Rispoli
Davide Onorato – Presidente della Congrega
Thermes Adolfo – Direttore Didattico
Ciliberti Federico – Assessore
F. Autieri – Segretario del Comune
Andrea Vitiello – Capitano marittimo
Giuseppe Farese – Ufficiale di Segreteria
Tricoli Antonio – Ufficiale di Segreteria
Tessitore Luigi – Guardia municipale
Gaspare Parisi – usciere
Biagio Farese – Farmacista Ufficiale Postale
Migliaccio Silverio – architetto, consigliere
Parisi Luigi

sono, verosimilmente, quelle di coloro che gli sono stati contemporanei e che hanno fornito testimonianze di prima mano. Non sono coloro che hanno stilato il Memoriale. Perché? Perché il testo talvolta ha come narrante un singolo e talvolta ha un soggetto al plurale. Inoltre, si riportano fatti accaduti nel 1800, ma si fa riferimento a personalità ponzesi – don Luigi Dies – presente sull’isola dal 1937. Una concomitanza impossibile!
Ne ho dedotto che lo scritto è la somma di più documenti. Presumibilmente. Non ne ho certezza, per cui la ricerca è aperta.

In Memoria del dott. GIUSEPPE CESARANO
Cavaliere della Corona d’ Italia – Medaglia d’ Argento ai Benemeriti della Salute Pubblica.

Cittadini di Ponza,
è un piccolo salto indietro – e vorrei dire nel buio – che necessariamente qui Vi invito a fare, di quasi un secolo fa, nel 1877.
La nostra cara Isola viveva sotto l’oppressione di un triste privilegio, rimontante oltre i tempi di Roma, forse a motivo dei torpidi mezzi di comunicazione e più sicuramente per effetto del dolce riposo delle sue insenature che al condannato all’esilio alleviavano la sofferenza della coercizione rinnovando in lui il mito di Circe ammaliatrice, certo gli è che, durante lungo giro di secoli, Ponza si è sentita legata alla immagine della pirateria alternata a quella della prigionia, ond’era fuggita dagli uomini come la gabbia d’oro del passerotto.
Che c’è di vero nella esistenza piratesca giovanile di Baldassarre Cossa (Gian Cossa, poi Giovanni XXIII, cui la Treccani dedica una cospicua voce come Giovanni XXIII, l’antipapa – NdR) che per favorire Ludovico d’Angiò contro Ladislao di Napoli, faceva di Ponza il centro logistico delle sue imprese? Prende nome da lui la spiaggia che diciamo Giancossa?
A dire del Colletta (1), il Borbone dové ripopolarla trasferendovi della brava gente di Torre del Greco in lotta con la disoccupazione e le eruzioni vesuviane. E fu benigno con noi perché, a rinsanguare altre isole, provvedeva coi rifiuti delle prigioni e le razzie operate nei bassifondi di Napoli. Poi si ricordò egli che nel suo reame pullulavano i ribelli politici e, poiché si trattava di brava gente, intellettuali, carbonari e professionisti, il Re deprecato, che pare prediligesse Ponza, li confinò sull’isola nostra, anticipandone la strage di Sapri.
Il 13 febbraio poi del 1861, mentre l’eroe di Lissa (2) (che Dio abbia in gloria) bombardava le mura di Gaeta, qui si rifugiarono gli ultimi avanzi dell’esercito borbonico sfuggiti all’assedio e qui li abbandonò il costituito regno d’Italia, felici quei vittoriosi piemontesi di saperli raccolti in volontario esilio, sopra uno scoglio che nella fretta della vittoria ritennero – bontà loro infinita – inospitale.
In tali condizioni restò lungo tempo l’Isola nostra incantatrice che, pur ospitando successivamente le residue energie vitali dei penitenziarii di tutto il regno, ne molceva l’animo sì, che i truci coatti (terrore della Polizia) ritornando al loro paese d’origine a pena scontata, non osavano portare di noi, della nostra gente e della nostra Isola un ricordo di orrore. Gli operosi e integerrimi cittadini, come dalla numerosa prole esigevano il rispetto del Voi maestatico, così davano al relegato il diuturno esempio di laboriosità e sacrificio e, quasi compresi di una superba e mistica missione educativo-redentrice loro affidata dal destino, coltivavano animo integerrimo, adamantina coscienza e correttezza di sentire, virtù che dovevano anzitutto distinguerli da chi al loro fianco scontava una pena. Qui, più che altrove forse, si assiste tuttora all’istituto biblico del pater familias, dinanzi al quale conviene inchinarci con ogni manifestazione di rispetto. A tante oneste doti di animo dobbiamo il cambiamento avvenuto in una insana situazione che irrigidiva la Capitale e più precisamente gli ambienti del Ministero degli Interni, unico interessato a mantenere immutato e perfezionare anzi con poca spesa e preoccupazione lo stato di isolamento che colpiva, nel domicilio forzoso, anche migliaia di onesti cittadini, mentre bollava il nome dell’Isola nostra col marchio della paura, se non dell’infamia, come fossimo noi i colpevoli dell’altrui condotta. Molti cittadini di Ponza preferirono fuggire questo stato di cose e trasportarono altrove, sulle coste più ospitali d’Italia e di Sardegna e a gruppi ben numerosi nelle città dell’America lontana, la somma delle loro più elette virtù fisiche e morali, rimaste incorrotte attraverso le generazioni.

Le comunicazioni con le prossime terre della penisola erano mantenute e rese difficili ad arte e col pretesto dell’economia, più che per deficienza di mezzi. Una specie di carcassa traballante, a due ruote, d’una società miserabile, si arrischiava coraggiosamente pel mare infido e, nelle giornate di bel tempo, impiegava dieci ore a percorrere le settanta miglia che dividono Ponza da Napoli. Ma quando il tempo era cattivo (e qui soffiava per lunghi mesi il così detto Garigliano che una volta metteva sgomento) era più salutevole non affrontare il mare infido e irato, che tuttavia spingeva quasi di poppa, ed era preferibile rimanersene nel quieto seno napoletano dov’era la famiglia con la pizza fatidica, la carrozzella traballante e gl’immancabili “purpetielle ‘e scoglie”. A notte alta, un telegramma trasmesso dall’una all’altra isola con segnali luminosi – se non c’era foschia – avvertiva che la posta sarebbe giunta col migliorare del tempo, ma noi vecchi ricordiamo anche tre settimane continue di isolamento completo. Non si partiva, non si arrivava, non si leggevano i giornali e quando questi arrivavano, tutto era vecchio ormai, la carta e le notizie, ma per noi tutto era nuovo, come per il marinaio che arriva in porto dopo mesi di navigazione alla cappa sui mari equatoriali.

In tali condizioni, l’unico Medico dell’Isola preferì lasciarci alla mercè di Dio, senza pietà o commiserazione, ed allora un Comitato di volenterosi, Salomone in testa – commissario – si mise alla ricerca di un Sanitario che, alle virtù del samaritano, accoppiasse, quella del sacrificio e del pauroso romitaggio, oltre che le relative responsabilità. Con l’aiuto di una spedizioniere, il benemerito Cesare De Luca, la Commissione, o il Comitato che dir si voglia, girò Napoli in lungo e in largo, nelle Farmacie, negli Spedali, nei vicolo tortuosi della vecchia Città, nelle Cliniche. A sentir parlare di Ponza – che oggi il rev.mo Parroco don Luigi Maria Dies, cittadino di elezione, ama ed esalta col fervore divino e competenza profonda, nella sua “Tempesta” Shakespeare ha coperto di paurose immagini e di più tenebrosi spettri, la gente girava il tacco ben a ragione terrorizzata: “La colonia penale – diceva impaurita – i coatti liberi, i forzati… in mezzo al mare, lontano dal consorzio umano… in capo al mondo, senza spedale, senza risorse! Fossi matto io – dicevano i medici interrogati – E c’è l’ostetrico? C’è il chirurgo? C’è la sala operatoria? Finché si sta bene! Ma un caso grave dove lo si porta?”

Finalmente una sera Cesare De Luca, dalla fluente barba bipartita a scopettoni, s’incontrò con un giovane medico proveniente dal servizio di condotta nell’Alta Italia, da Scansano, in quel di Grosseto, donde era fuggito perché l’ultimo dei quattro figli, sopravvissuto alla permanenza lassù, aveva contratto la malaria, a contatto della maremma. Gli altri tre il giovane medico li aveva perduti a Berbenno, in quel di Sondrio, in piena vallata dell’Adda, affondata sotto i 3678 metri del ghiacciaio del Disgrazia. Quivi aveva egli fatta la sua prima esperienza di medico condotto, per più di tre anni, fra gente buona che però parlava un dialetto ladino che nulla ha in comune con l’italiano e dove, nei rapporti con l’infermo doveva intervenire la figliuola del farmacista, in qualità di interprete e non sempre fedele, perché anch’essa poco pratica del gentile idioma. Più facile era per lei il tedesco.
E qui conviene riportare qualche elemento di giudizio delle popolazioni abbandonate.

Encomio e conferma per un quinquennio.

MUNICIPO di BERBENNO, provincia e Mandamento di Sondrio, lì 20 maggio 1872
All’onorevole sig. CESARANO Giuseppe
Questo Consiglio Comunale, nella sua ordinaria tornata primavera, mediante verbale di deliberazione 1° maggio and. ecc, facendosi interprete di questa popolazione, votava alla unanimità sensi di fiducia, stima ed affetto per gli straordinari servigi da V.S. prestati a questi Comunisti (3) durante il serpeggiare di epidemiche malattie, nonché per le belle prove date, tanto nelle cure mediche che nelle operazioni chirurgiche, ecc. A tale uopo votavaLe una gratificazione, ecc. dando incarico a questa Giunta di stipulare seco lei un contratto formale di condotta medica per un quinquennio. E’ lieto lo scrivente di comunicarLe una lode così ben meritata, e caro gli è di manifestarLe i sentimenti della più sentita stima e considerazione distinta.
Il Sindaco: Fto: Negri

Elogio, prostrazione e rincrescimento per le dimissioni presentate.

COMUNE di SCANSANO
Da me infrascritto Sindaco del Comune di SCANSANO (provincia di Grosseto) per la pura verità si CERTIFICA
che l’ ecc.mo sig. dott. Giuseppe CESARANO, ecc. fin dai primi giorni dell’anno 1875 ha disimpegnato in Montorgiali, importante frazione di questo Comune, l’Ufficio di Medico Chirurgo Condotto e che non solo in detta frazione, ma anche in altre parti del territorio comunale, ha dato sempre saggio di non comune abilità nell’arte salutare e di premuroso zelo nell’esercizio delle sue funzioni.
Si CERTIFICA inoltre che in vista appunto di tale riconosciuta abilità e zelo, gli abitanti di detto Castello di Montorgiali richiesero circa un anno addietro un aumento di stipendio a vantaggio del suddetto Sanitario ed il Consiglio Comunale lo concesse.
Come pure si ATTESTA che gli abitanti di Pancole, ecc. hanno più e più volte richiesto che venisse il sullodato sig. dr. Cesarano incaricato interinalmente del Servizio Sanitario nella stessa Frazione, e sempre sonosi mostrati soddisfatti dell’opera sua; ed infine che generalmente in questo stesso Comune il prenominato sig. dr. CESARANO gode estimazione di buono e onesto cittadino e di abilissimo esercente l’arte salutare per cui spiace a tutti che egli, per volontaria dimissione, sia adesso in procinto di abbandonare l’attuale impiego, ecc.

 

Note: 1 – Pietro Colletta, storico, 1775 – 183; 2 – Carlo Pellion di Persano, 1806 -1883, ammiraglio della flotta italiana nella battaglia di Lissa; 3 – abitanti del Comune.

 

[Memoriale di Giuseppe Cesarano (prima parte) – Continua]

3 Comments

3 Comments

  1. silverio lamonica1

    13 Aprile 2020 at 12:34

    Innanzitutto complimenti al carissimo amico Franco per averci fornito questo prezioso documento storico, che riguarda la nostra isola e ne arricchisce la conoscenza.
    Una domanda: i documenti trovati, che risalgono senz’altro agli anni ’40 o ’50 del secolo scorso (dal momento che si cita il parroco Dies) sono manoscritti o dattiloscritti?
    Se sono manoscritti, raffrontandoli con altri documenti certi, si potrebbe risalire all’identità dell’autore (o degli autori).
    Una prima considerazione: l’autore si esprime in un italiano “aulico”, direi “ottocentesco”, del resto teniamo presente che negli anni ’40 (ma anche nella prima metà degli anni ’50) chi “sapeva tenere la penna in mano” spesso indulgeva in espressioni “pompose”. Mi colpisce la similitudine del “marinaio che arriva in porto dopo mesi di navigazione alla cappa sui mari equatoriali”. Quindi si tratta di una persona di un certo livello culturale, basta leggere il riferimento al mito di Circe.
    Altra considerazione: Franco fa riferimento alla targa di Giuseppe Cesarano sul lungomare di Giancos.
    Ebbene la mia ipotesi è questa: durante la prima Amministrazione Sandolo, fu dedicata la piazza della Punta Bianca a Gaetano Vitiello (sindaco), la strada della Parata a Vincenzo De Luca (sindaco) e il lungomare di Giancos a Cesarano Giuseppe.
    Conclusione: Quegli scritti, secondo me, sono le motivazioni per intitolare a Giuseppe Cesarano il lungomare di Giancos. parallelamente, dovrebbero esistere altri scritti analoghi che ricordano i due sindaci citati e il loro operato. E’ solo una mia impressione.

  2. Biagio Vitiello

    13 Aprile 2020 at 16:36

    Ho anche io una copia del libretto dattiloscritto ed una la diedi, tanti anni fa, pure ad Ernesto.
    Conosco bene la storia di Giuseppe Cesarano in quanto aveva in affitto l’abitazione di mio nonno Biagio. Medico a Ponza, consigliava di fare abbondante uso della calce come disinfettante. Ha avuto due figli, di cui uno generale ed un altro ammiraglio di nome Amilcare, conosciuto molto bene dai vecchi fanalisti di Ponza. Mio padre Filippo, in qualità di assessore negli anni ’60, è stato l’artefice dell’intitolazione del lungomare di Giancos a questo medico. Mio padre era molto amico del padre di Franco e questo lo sapeva benissimo Aniello De Luca. Peccato che i nostri padri non ci sono più; chissà quante cose ignoriamo a causa delle loro assenze.

  3. Francesco De Luca

    13 Aprile 2020 at 19:45

    Non so se è gradita qualche nota a margine. Spero riteniate interessanti quelle che presento e che desumo da alcuni passi del documento, che, nella sua stringatezza fa trapelare umori e considerazioni di chi dimorava stabilmente questo scoglio. E considerava quella residenza dileggiata dalla Storia patria perché trascurata da chi aveva l’obbligo di provvedere alla stato civile e, di conseguenza, alla nomea che l’isola ingenerava presso la società.
    Avete notato come l’ Autore ha parole di riconoscenza verso la casa reale Borbone (… il Re – nota mia – “fu benigno con noi – pare prediligesse Ponza), mentre è amaramente ironico verso la monarchia piemontese giacché ritenne l’isola “uno scoglio inospitale”.
    L’ Autore inoltre ha parole d’elogio verso la natura fisica dell’isola e verso gli isolani (operosi e integerrimi cittadini) ai quali attribuisce “con l’esempio diuturno di laboriosità e sacrificio una superba e mistica missione educativo-redentrice” nei confronti dei coatti. I quali, pur avendovi trascorso giorni di pena, portavano, al termine del periodo di carcere, un ricordo favorevole dell’isola.
    Lo Stato italiano e i suoi Ministri romani non avevano mente per le condizioni di Ponza che dimostrava nel suo corpo sociale la noncuranza. “Le sue condizioni di vita erano mantenute e rese difficili ad arte (la sottolineatura è mia) e col pretesto dell’economia, più che per deficienze di mezzi”. Una su tutte: le comunicazioni erano sostenute da una “carcassa traballante a due ruote”, che rendeva la tratta Napoli-Ponza un viaggio critico e, col mare cattivo, infernale.
    I Ponzesi sopportavano questo stato di ‘precaria civiltà’: con i coatti che impaurivano e senza una tutela statale oculata, gli isolani fuggivano dall’isola ed erano disarmati di fronte a chi abbandonava il suo posto di responsabilità cittadina inopinatamente. Come fece il dottore della condotta municipale. Semplicemente scappò dall’isola lasciando la popolazione (quella civile e quella coatta) priva del medico (febbraio 1877).

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top