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L’interdipendenza

di Pasquale Scarpati

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Fino a poco tempo fa, la vita scorreva “simple et tranquille” come diceva Paul Verlaine in una sua poesia. Lui, dal carcere, avvertiva quel piacevole “rumeur” che veniva dalla “ville”. L’andirivieni e la frenesia anche caotica del quotidiano di ieri, ci sembra, ora che guardiamo il mondo da una finestra con le sbarre, un… piacevole rumore. Eh già! Ma a me non piace essere costretto a vedere il mondo con gli occhi degli altri. Preferisco osservarlo con i mei, perché è come se toccassi una persona o una cosa dal vivo e non in modo virtuale. La guardi ma, toccandola, scopri tutte le pieghe, anche quelle più nascoste.

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Le strade vuote sembrano non dirmi nulla: rari passanti, rare automobili. Ma questa che sembra una desolazione, non lo è perché io vedo lo stesso: finalmente mi vedo e vedo gli altri. Vedo l’umanità smarrita davanti a un cataclisma. Nessuno si aspettava una cosa che sembrava appartenesse ai secoli passati o lontano da noi. Non siamo preparati né siamo stati preparati perché la vita correva per l’appunto. La nostra vita procedeva come una barca che, avanzando molto velocemente, “ballava” sulle vispe onde di un fresco maestrale. Essa andava avanti circondata da mille spruzzi che trasportati dal vento marino bagnavano il corpo e i capelli mentre rigavano il viso. A bordo c’era chi sgranava gli occhi e chi cambiava colore per la paura, chi si mostrava coraggioso, chi rimaneva imperturbabile, chi nel continuo movimento si dava da fare, ma c’era anche chi rideva o peggio ancora se la rideva ed era talmente imprudente che rischiava di far capovolgere la barca stessa. Si cercava, pertanto, di mantenere l’equilibrio aggrappandosi ai bordi della barca e pur stando seduti sulle panche si cercava di non sobbalzare troppo, perché il sedere poteva far male.
Comunque la barca andava avanti e alla fine guadagnava il porto dove il mare calmo rilassava e la stanchezza sembrava già un ricordo. Per questo quando sorgeva il nuovo giorno si ricominciava.

Ora, invece, siamo incappati in un fortunale; onde che provengono da tutte le parti, onde anomale. Nelle vicinanze passano poi barche che producono onde che ci sballottano di qua e di là: non hanno direzione. Se ci avviciniamo alla costa, la risacca potrebbe produrre danni maggiori. Ma non sono nembi o barconi o navi da crociera quelle che ci fanno sballottolare e ci fanno perdere la rotta: è un esserino piccolo minuscolo che ha messo in crisi “l’invincibile ” maga Magoo. Si procede a vista ma il timoniere deve avere la mano salda nel tenere dritta la barra del timone, e anche l’equipaggio deve stare al suo posto con le mansioni che gli sono state affidate.

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Onnipotenti e invincibili, ci troviamo all’improvviso, smarriti. Ondeggiamo come i continui moduli e le continue disposizioni che ci vengono date. Cataclismi, inquinamenti, terrorismo, guerre vicine e lontane, disparità tra i popoli, scivolavano sulla nostra pelle mentre gironzolavamo tra luci sfavillanti, tra un aperitivo e uno sguardo al pallone.

Oggi le luci restano sfavillanti ma mute e il pallone non ha più senso. I popoli sembrano raccolti in un abbraccio anche se qualcuno, come sempre, vuole sentirsi al di sopra e al di fuori del contesto.

Mai più avremmo pensato di assistere, rapportati ai tempi, alle situazioni manzoniane! Mai più avremmo pensato di assistere alla disperazione impotente, proiettata sullo schermo del mondo. Sì, perché, mentre prima ognuno piangeva le proprie lacrime, ora il pianto è divenuto corale. E tutto ciò che c’era prima è già divenuto come un impalpabile ricordo, come se fossero inezie. Riaffiorano, come vecchi relitti, riti apotropaici che sembravano seppelliti, riaffiorano congetture e congiure, riaffiora lo smarrimento.
Il futuro, infatti, checché se ne dica, sembra nebuloso mentre, a sua volta, incerto è il presente. Quello che è certo però è che si proseguirà con altro spirito e con altra voglia e si affronteranno altri inevitabili problemi: ma questo fa parte del mondo stesso.

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Nella vita “normale” di prima, anche se caotica, nessuno pensava a come siamo collegati gli uni agli altri. Andare nei negozi, scegliere la merce, sostare per decidere quale prodotto comprare, mangiare un panino fuori di casa, spostarsi per un pic nic o per un altro motivo anche di svago, ci sembrava “naturale”, normale. Il Covid invece ci ha fatto riflettere tra l’altro sulla nostra assoluta interdipendenza.
Analizziamo di quante cose abbiamo bisogno: tutte necessarie. Negli anni del primo dopoguerra, per forza di cose, non si avevano molte esigenze rispetto a quelle di oggi. In una casa ad esempio vi erano poche lampadine con la luce fioca. Se, per caso, mancava “la corrente” si aveva a portata di mano una candela se non un lume a petrolio. L’acqua, raccolta dai pozzi in piccoli secchi piangenti, era riscaldata sul focolare e una “bagnarola” ci accoglieva accovacciati. Se non c’era sapone, bastava sciacquarsi con un po’ d’acqua messa in una bacinella. Questa, poi, veniva conservata e utilizzata quando si andava in bagno dove, come ho già detto, non esisteva carta igienica. In caso di necessità vi erano i vicini di casa o i parenti che accorrevano, ognuno adoperandosi in vario modo.

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Come quando si usa un attrezzo meccanico ma non si pensa da quante parti esso sia composto, tutte strettamente necessarie per il suo buon funzionamento, o come quando usiamo la natura senza pensare alla sua interdipendenza, così noi fino a poco tempo fa abbiamo usato tutto e/o ci siamo usati, senza pensare. O per meglio dire pensavamo che tutto fosse soggetto al nostro comando. Ciò che ci spaventa infatti è anche la sensazione di aver perso il comando o per meglio dire di non avere più per le mani le leve dei comandi. Crediamo di recuperarle, ma non sappiamo quale di loro funzionerà ancora; quali siano andate del tutto perdute e quali recupereremo, in parte o del tutto, dopo averle riparate.

Avevate mai pensato alle nostra interdipendenza? Se ad esempio a casa nostra dovesse mancare per un corto circuito l’energia elettrica saremmo smarriti: niente acqua calda, niente computer, niente TV, niente ferro da stiro, insomma niente di niente. Come si fa? Abbiamo immediatamente bisogno dell’elettricista che però, dato il momento, potrebbe essere divenuto quasi irreperibile. Così dicasi dell’idraulico o di chi ci deve aggiustare la cucina o l’automobile. Così dicasi della varechina e dei saponi, per non parlare dei generi alimentari.

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Constatare che ognuno di noi ha bisogno dell’altro ci dovrebbe far riflettere sulla nostra fragilità e sulla nostra vulnerabilità. Potrebbe indurci a scoprire altri valori da tempo messi nel dimenticatoio.
Ad esempio il valore della concretezza rispetto alla forma. Il senso della famiglia fatto di affetti e di dialogo. Il senso del lavoro inteso come valore morale da attuare nel migliore dei modi possibili senza sotterfugi e senza scappatoie. Il senso di una spesa pubblica e privata oculata. Il senso dell’autocontrollo e quello del controllo efficiente da parte degli organi preposti. Il senso di badare al sodo, senza fronzoli. Il senso di un effettivo discernimento e soprattutto lungimiranza nel definire le azioni future e portarle a termine. Ci fa scoprire, speriamo, il vero senso della natura e il nostro rapporto nei suoi confronti.

Se infatti si vuole vincere una guerra non basta il gran numero di uomini che pure si adoperano sul campo con abnegazione in mezzo a mille difficoltà (sono i veri eroi), ma ci vogliono soprattutto i mezzi perché non si può andare in Russia con gli scarponi chiodati e con pochi camion o battere i carri armati inglesi con le bottiglie molotov né entrare in guerra con mezzi inadeguati. Se n’esce sconfitti, oppure vittoriosi ma a costo di enormi sacrifici. E i mezzi si acquisiscono, per quanto è possibile e a volte con coraggio, in anticipo perché poi potrebbe essere troppo tardi: la cosiddetta e sempre valida lungimiranza…

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E come quando non ci è dato sapere se la nostra attenzione o la nostra vigilanza ha fatto desistere un malintenzionato o un borseggiatore, perché lui ama cogliere i distratti e gli impreparati, così sarebbe bene che questa triste esperienza ci facesse essere, nel futuro, più accorti e vigili sotto tutti i punti di vista; perché basta un attimo per ferirsi, ma ci vuole tempo per rimarginare la dolorosa ferita.

Ma alla fine e comunque dobbiamo guardare, sia pur attraverso le sbarre, “le ciel” il quale “est, par dessus le toit, si bleu, si calme!”.
Pasquale lo spera.