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Tempo. Spirali

di Silveria Aroma
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Quando – da bambina – pensavo a questo anno, il 2020, anno del mio cinquantesimo compleanno, mi immaginavo vecchia come una centenaria, con le dita inanellate di grosse pietre trasparenti e abitatrice di una solitudine benedetta. L’ultimo punto lo avevo colto bene già allora, amo fare una vita piuttosto ritirata; la famiglia, pochi amici cari e quasi niente vita sociale di aperitivi e di locali, preferisco le escursioni nel verde armata di macchina fotografica.

Allora alternavo i miei giochi di fantasia tra l’essere la figlia di un irruento pirata e l’essere una potente strega; a tale scopo pestavo i fiori di nonna Silvia per preparare pozioni magiche mentre lei minacciava di pungermi le mani con l’ago dei materassi se avessi strappato ancora un solo petalo.

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Senza paura di ragni e serpenti ma con un’assoluta avversione alle blatte, mai mi sono vista come una principessa… men che meno come una fanciulla bella e addormentata, un po’ svanita sì, a tratti.

Il pericolo nei giorni dei giochi poteva essere rappresentato dall’incursione dei pirati (e sarei stata pronta a battermi con stivaloni e spada), dal fuoco forse anche per l’effetto prodotto in me da un disastroso incendio di quegli anni… mai, in nessun caso, avrei potuto immaginarmi prigioniera di un nemico invisibile, costretta in casa a guardare almeno tre film al giorno, leggere e mangiare casatiello con la nutella, bramando la possibilità di scattare una foto all’alba, al tramonto, a un ragno, a un volto espressivo, a mani operose… e sentire la mancanza della visita ad un amico (anche ad un nemico a questo punto), di poter giocare con i miei nipoti e non in videochiamata.

Bisogna farsi coraggio e andare avanti sperando in un giorno migliore, magari un giorno color arancio (Il favoloso mondo di Amélie, 2001).

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Lo scritto su Il Mandamento di Ponza [4] curato da Silverio Lamonica mi ha fatto ricordare un delicatissimo, vecchio, foglio trovato nelle carte di famiglia, consegnato a Lucia, la nonna adorata di mia nonna Silvia…

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In quel giorno la mia bis-bisnonna ho voluto immaginarla così.

Lucia chiamò a sé Raffaela, sua figlia. La bambina aveva cinque anni.
La pettinò con cura, raccogliendo i capelli in due trecce brune e lucide. Liberò la bambina dalla morsa delle sue gambe usata per tenerla ferma e dritta, ammonendola di non sporcarsi. Si guardò allo specchio quasi intimorita, le mani con i polpastrelli puntati sugli zigomi nell’atto di scuotere la testa. Si fece coraggio, strinse i suoi capelli in una crocchia ben ferma. Infilando l’ultimo fermaglio cercò di inchiodare anche l’imbarazzo che avvertiva. Dalla cassa tirò fuori le scarpe del matrimonio, le avrebbe indossate solo una volta giunta al porto, il resto del tragitto lo avrebbe percorso scalza.

Era tesa, non sapeva cosa avrebbe dovuto dire né come comportarsi davanti a quegli uomini. Doveva comparire innanzi al Signor Pretore del Mandamento di Ponza come testimone in affari di giustizia penale.
Cosa sapeva lei?

Suo marito Domenico stava ritornando dalla vigna per accompagnarla. Sin dalle prime ore dell’alba si era prospettata come una giornata molto calda quel venticinque luglio 1902.

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Preferisco di gran lunga questi vecchi numeri ai temibili numeri di questi giorni… ma siamo naviganti, allenati alla corsa, allenati alla gara e preparati a cadere e a tutto quello che si impara. Conoscitori della notte senza averne paura (Naviganti, Ivano Fossati).

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