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Momenti pestiferi

di Nazzareno Tomassini

Attraverso Patrizia Maccotta, nostra comune amica, e per il tramite di Tano Pirrone che lo conosce personalmente, riceviamo e pubblichiamo quanto scrive Nazzareno Tomassini, un italiano che vive a Bourges, economista alla Coop quando viveva a Roma. Lo ha pubblicato di recente per il giornale della sua Associazione Italia-Francia.
Gli diamo il benvenuto su Ponzaracconta.
Sandro Russo

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Nel 2011 uscì un film di Steven Soderbergh, dal titolo “Contagion”, che non ebbe grande successo; riuscì infatti a guadagnare quel tanto che bastava per pareggiare i conti. Oggi è ricercato su Google in mezzo mondo ed è uno dei dieci film più visti sul piccolo schermo, insieme a Parasite, Joker e ll était une fois à Hollywood. Potete facilmente immaginare perché.
Del resto, lo scenarista Scott Burns era partito da alcune constatazioni non prive di senso. “Nel corso degli ultimi vent’anni abbiamo assistito ad una crescita significativa delle malattie emergenti – aveva allora affermato – a seguito di diversi fattori: gli spostamenti di popolazioni che entrano in contatto con nuove specie animali; i cambiamenti climatici che provocano migrazioni di insetti portatori di virus; l’ampliamento dei trasporti di merci in tutto il mondo”.

Pare che allora alcuni esperti avessero commentato al riguardo dicendo che “la questione non è di sapere se una pandemia potrà svilupparsi o no, ma quando lo farà”.
“A quanto pare, ci siamo – ha concluso Samuel Blumenfeld nel trattare l’argomento su un recente supplemento settimanale di Le Mondema dovremmo rassicurarci del fatto che il coronavirus non ha la pericolosità del male immaginato da Soderbergh”. Quest’ultima affermazione può certamente provocare sorpresa e suscitare disaccordo.

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Con tutte le notizie che ci arrivano dai giornali e dalla televisione e coerentemente con le severe disposizioni prese dalle autorità nazionali e regionali, l’immagine che ci stiamo facendo di questa pandemia non è per niente rassicurante.
Soltanto se facciamo riferimento ad un passato lontano, di cui però abbiamo deboli ricordi, allora è possibile in qualche modo ridimensionare quella che in fondo non è altro che paura. Perché è vero che anche un solo morto dentro casa sarebbe comunque un dramma. E oggi in Italia, il paese europeo al momento più colpito dal Covid 19, le persone contagiate hanno superato le 35 mila unità e quelle decedute sono più di 3 mila, cifre comunque tutte molto preoccupanti.

Ebbene, un secolo fa l’influenza “spagnola” (così chiamata perché all’inizio ne avevano parlato solo i giornali spagnoli) era arrivata a contagiare 500 milioni di persone in tutto il mondo e i morti erano stati 50 milioni (qualcuno dice anche 100!), di cui 600 mila nella sola Italia, allora prevalentemente giovani adulti.
Se si pensa che quattro anni prima, nel 1916, dieci mesi di battaglia continua a Verdun tra l’esercito tedesco e quello francese avevano fatto circa 400mila morti, più 300 mila tra dispersi e feriti, si può ben immaginare in che stato fosse ridotta alla fine l’economia europea.
Ancora nel secolo precedente vi erano state poi ben sette pandemie di colera; la terza, quella del 1854, aveva provocato in Francia 143 mila decessi.

Curiosamente, gli italiani ricordano di più l’epidemia del 1630, perché descritta da Alessandro Manzoni nel suo testo letterario, d’obbligo per tutti quelli che continuavano a studiare anche dopo i 14 anni. Ed è una coincidenza di non poco conto il fatto che anche allora si sviluppò prepotentemente lungo tutta la pianura Padana da Milano a Bologna, con diramazioni fino a Venezia e Firenze, anche allora comunque l’area più ricca e trafficata della penisola. Non ci sono stime ufficiali, ma si legge che i morti arrivarono al milione e molte città, come il capoluogo lombardo, arrivarono a perdere tra il 50 ed il 60% della propria popolazione.

Tornando ancora indietro nel tempo, non si può non ricordare quella che passò alla storia come la “peste nera”. Si legge che venne anch’essa dalla Cina, ma fu soprattutto in Europa che provocò i danni maggiori. Durò dal 1346 al 1352 e morirono tra i 20 ed i 25 milioni di abitanti, circa un terzo della popolazione europea. Ma allora erano altri tempi, direte voi.
In effetti, ancora un secolo fa la medicina era ancora ai suoi albori, le attrezzature sanitarie non erano al massimo e soprattutto la tendenza della popolazione era quella di nascondersi, di non accettare le regole oppure ancora quella di lasciarsi prendere dal panico ed andare alla deriva senza nessun controllo.

Oggi per contro dovremmo essere in grado di affrontare l’epidemia più razionalmente, ad esempio contrapponendo il coraggio alla paura.

Ha scritto recentemente su La Repubblica Gianrico Carofiglio (autore italiano di diversi libri di successo) che “il coraggio è una dote del carattere, ma anche dell’intelligenza: esso consiste fra l’altro nella capacità di entrare in un rapporto razionale ed equilibrato con il pericolo e il rischio, gestendoli nei limiti in cui questo è possibile”.
Partendo da questo concetto, Carofiglio si rifà ad un termine creato dal poeta inglese John Keats: la “capacità negativa”, da contrapporre all’atteggiamento di chi affronta i problemi alla ricerca di soluzioni immediate, nel tentativo di piegare la realtà al proprio bisogno di certezze.
Secondo Keats – scrive Carofiglio – “vi è capacità negativa quando un uomo è capace di stare nell’incertezza, nel dubbio, senza l’impazienza di correre dietro i fatti perché incapace di rimanere appagato da una mezza conoscenza. Accettando invece l’incertezza, l’errore, il dubbio, è possibile osservare più in profondità, cogliere le sfumature e i dettagli, porre nuove domande, anche paradossali, e dunque allargare i confini della conoscenza e della consapevolezza. In conclusione risolvere i problemi”.
In altri termini, si può anche dire che “bisogna usare la paura come uno strumento di lavoro per cambiare le cose e non lasciare che diventi invece una forza incontrollabile e distruttrice”.

Per concludere, è opportuno ricordare che di questa capacità negativa ci sarà sempre bisogno anche in futuro, anche quando avremo debellato il Covid 19. L’arrivo di questo virus ci ha fatto dimenticare che esiste ancora la SIDA (Sindrome d’immunodeficienza acquisita), con cui convivono oggi circa 150 mila francesi, mentre nei paesi poveri e sottosviluppati la tubercolosi fa ancora molte vittime (1,5 milioni nel 2014, secondo le stime dell’OMS).

N.T. – 19/03/2020

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In copertina e nell’articolo: immagini di Bourges (France), città è situata lungo l’Yèvre, a pochi chilometri dal centro esatto della Francia, nella regione storica del Berry