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Cronache da Ponza al tempo del Covid-19 (9). Qui Lombardia

di Sandro Vitiello

 

Solo per oggi sarebbe più corretto chiamare questa quotidiana rubrica “Cronache dei ponzesi al tempo del Covid-19”.
Ho dato il cambio a Martina ed Enzo, solo per un giorno, per raccontarvi quello che succede nel cuore della crisi.
Scrivo dalla Lombardia – regione che da sola conteggia più della metà delle persone colpite dal virus – per parlarvi della nostra vita quotidiana.
E’ da due settimane che siamo chiusi in casa, costantemente.

[1]

Niente passeggiate con il cane visto che non ce l’abbiamo, niente camminate nel viale, niente di niente.
Non si esce di casa e basta.
Ogni tre o quattro giorni si va a fare la spesa, uno solo della famiglia.
Davanti al supermarket c’è una fila lunga e ordinata di persone, a distanza adeguata, che vengono fatte entrare a piccoli scaglioni. Dentro gran parte delle corsie sono off limits.
Si possono comperare solo generi alimentari e prodotti per la pulizia e l’igiene.
La farina è diventata introvabile; siamo diventati tutti pastai e pasticcieri.
I piatti pronti non se li fila più nessuno.
Bisogna fare veloci e non attardarsi. Niente chiacchiere con amici e conoscenti.
Non ci sono altre occasioni per evadere.

Al massimo si può seguire con lo sguardo il volo libero di un airone bianco che quasi tutti i giorni viene a salutarci.

[2]

Dal medico si può andare solo se ce n’è veramente bisogno.
Qui è cambiato tutto.
La mamma di un’amica è caduta in casa ed è stata portata via con l’ambulanza.
Arrivata in ospedale è stata separata dagli accompagnatori, che l’hanno rivista 48 ore dopo, quando è stata dimessa.
Quello che più si percepisce come anomalo in queste giornate agli arresti domiciliari è il silenzio.
Ho creduto per tanto tempo di avere gli acufeni; mi accorgo che non erano le mie orecchie malate, ma era un rumore di sottofondo che accompagnava la nostra vita costantemente.
C’è un incredibile silenzio nelle nostre giornate.

Tranne qualche notte quando sentiamo troppe ambulanze in lontananza.

Forse sono le stesse di sempre ma adesso ce ne accorgiamo.
Viviamo in una dimensione sospesa dove chi può lavorare da casa è fortunato.
Mia moglie -insegnante- passa le mattine a fare lezione con i suoi ragazzi.
Lei che fino al Natale passato non aveva neanche lo smartphone perché forse era un’invenzione diabolica, oggi padroneggia skype con tranquillità e, in modalità riunione, spiega, interroga e chiacchiera con gli alunni.

Mia figlia da lunedì è a casa e anche lei si dà da fare con i lavori che ha portato via dall’ufficio.
Io cucino, alla ponzese.

[3]

Comunque in casa arrivano gli echi di quello che succede intorno a noi.
Il comune in cui viviamo ha messo in piedi un servizio con whatsapp che costantemente ci tiene aggiornati sui servizi e sulle criticità. E sulla conta dei malati.
Questa zona a nord di Milano, parte bassa della provincia di Monza e Brianza, è stata colpita relativamente.
Ci sono pochi casi, se paragonati al resto della regione.
Ma viviamo con il fiato sospeso. Bergamo e la sua provincia sono a qualche decina di chilometri da noi.
Lì è un disastro. E’ di ieri sera l’immagine dei camion dell’esercito che sono entrati in città per caricare le troppe bare che non riescono ad essere smaltite dal forno crematorio della città.
Un’immagine che mette i brividi. Sono numeri da paura.

[4]

E’ da diversi giorni che aerei militari stanno trasferendo in altre parti d’Italia pazienti gravi che non trovano assistenza negli ospedali della zona.
I medici di famiglia stanno pagando un prezzo enorme. Sono loro che si avvicinano ai pazienti la prima volta, per capire se possono essere ammalati.
Uno su cinque è diventato positivo al virus.
Chi lavora nei luoghi della malattia ha cambiato completamente le sue abitudini.
Oltre a dover applicare regole rigidissime prima di iniziare a lavorare e dopo aver finito, tanti operatori della sanità hanno deciso di isolarsi dalla famiglia e dagli affetti per non portare a casa la malattia.
Proteggere i propri genitori anziani o i propri figli.
E poi ci sono quelli che devono andare a lavorare come prima perché l’azienda deve rimanere aperta.
Gente che nei luoghi di lavoro rispetta tutte le regole per non prendersi la malattia, ma che deve comunque arrivarci con i mezzi pubblici dove non sempre va come dovrebbe.
La metropolitana milanese nelle ore di punta è troppo affollata.
Hai voglia a urlare dietro ai pochi che vanno a spasso, se poi non si affrontano queste criticità.
I giorni che verranno ci diranno se questi sacrifici che stiamo facendo stanno dando i risultati sperati, perché se questo non avviene bisognerà stringere ancora di più.
Senza pietà.

Aggiornamenti ponzesi
La Regione Lazio ha ordinato l’installazione di una struttura sanitaria operativa sulla banchina di Formia per controllare quanti partono per Ponza o Ventotene.
Richiesta con forza dalle Amministrazioni comunali delle due isole, la Regione ha provveduto.
Il sindaco di Ponza ha firmato un’ordinanza che vieta di andare a spasso o di correre lungo le strade dell’isola, a meno che non si abbia una malattia certificata.
L’assessore Michele Nocerino ha distribuito 400 mascherine davanti al suo negozio.

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