Ambiente e Natura

Cronache da Ponza al tempo del Covid-19. (2)

a cura di Martina Carannante e Enzo Di Giovanni

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Ogni giorno ha la sua parola d’ordine: quella di ieri è “pandemia”. Solo l’Antartide è fuori dal contagio, ci dicono diligentemente, tra tutte le terre del pianeta, ma supponiamo lo sia per il banalissimo motivo di essere terra disabitata.
Pandemia significa pure altro: che l’Italia, e prima la Cina, non sono fuori del mondo, colpevoli di nefandezze tali da meritarsi il castigo divino.
Penso agli abbracci tanto criticati delle scorse settimane. Vi ricordate? Gli abbracci e la solidarietà alla comunità cinese, contrapposti a pochi, fortunatamente, ma barbari, violenti atti di razzismo verso chi era colpevole di avere gli occhi a mandorla.
Non esistono untori e frontiere, Wuhan è qui: quegli abbracci tornano indietro, sotto forma di medici e mascherine che servono a noi, adesso. Perché nel mondo senza frontiere le cose si capovolgono.
Già, le mascherine! E’ un’altra parola d’ordine, questa volta più “local”, come si usa dire adesso.
Molti si chiedevano, nei giorni scorsi, in pieno preallarme, come, dove e perché bisognasse procurarsele.
Forse il segno più evidente della pandemia è proprio questo: dopo averle invocate, prenotate in farmacia, fatte artigianalmente in casa, finalmente le vediamo. Le hanno i commessi dei negozi, come soldati in prima linea; le hanno il personale dei traghetti, le forze dell’ordine che verificano la veridicità delle autocertificazioni all’imbarco da Formia. C’è ancora chi se ne vergogna, e lo dice candidamente su Facebook. Perché non è facile ammettere, a se stessi prima che agli altri, che questo nemico invisibile c’è sul serio, non è uno scherzo o un cult movie di serie b.

Su una cosa però siamo tutti d’accordo: che dobbiamo togliere “cibo” al coronavirus. E ridurre gli spostamenti è la terapia migliore.
C’è ancora confusione sul senso e i limiti dell’ultimo decreto: qualcuno teme che le autocertificazioni di chi si muove possano non garantire la salute di chi “resta a casa”. E se questa cosa spaventa quelli della “terraferma”, cosa dovremmo dire noi isolani?
Un breve video che girava in rete mostrava l’altro giorno lo sbarco del Quirino, con una voce in sottofondo che rumoreggiava sulla mancanza di controlli allo sbarco, sulla distanza minima tra chi sbarcava: perché c’è una terra di nessuno, una zona di frontiera rappresentata dalla passerella del traghetto, dove chi sbarca deve sottostare all’esame di chi attende. Perché è lì, in quel breve unico spazio di contatto col “mondo di terra”, che si può rendere manifesta la paura del contagio. Psicologica, prima che fisica.
Perché il nemico non si vede, ma si vede benissimo il luogo da dove può penetrare, in un’isola.

Al di fuori del punto nevralgico, la vita a Ponza scorre tranquilla; solita fila alla farmacia (saranno arrivate le prime mascherine?), solita gente al bar, le ditte edili al lavoro. In effetti il secondo giorno di quarantena è iniziato in maniera abbastanza normale.
E in questa normalità apparente, abbiamo scelto l’eroe del giorno: Franco “il tunisino”, anche se ci sembra di ricordare che sia marocchino, ha aperto a Giancos la sua bancarella settimanale, avanguardia solitaria senza paura, a cui ci aggrappiamo riconoscenti.
Ma cosa cè di normale, in questi giorni?
Provate a leggere gli orari dei prossimi giorni sul sito della Laziomar e capirete, se mai ce ne fosse bisogno, che la normalità è diventata un lusso, tra corse che saltano e mezzi che si alternano…
Abbiamo provato a leggere, inutilmente, poi abbiamo capito che c’è scritto, tra le righe: “Ma addò cacchio iate, statev’ a’ casa vosta!”.
Tra i paradossi del coronavirus, c’è pure questo: dopo aver invocato per anni un servizio migliore, adesso ci dà fastidio persino che esista, questo benedetto collegamento…

Ma… finalmente è chiaro, anche ai più riottosi.
Il gioco delle parti, dell’adattamento, è finito.
La pandemia è nello sguardo, nella posa del premier Giuseppe Conte che ci annuncia a reti unificate l’ultima stretta.
“Ma quali autocertificazioni, distanze minime, mascherina sì/mascherina no, caccia agli untori, imbecilli immortalati a dire sciocchezze tra un’apericena e un party di compleanno…”
… Signori, si chiude, ma veramente tutto. Lo spettacolo non va avanti, stavolta. Nelle prossime settimane vivremo chiusi in casa, dando libero sfogo alle nostre psicosi.
L’ultima immagine che offriamo allora è veramente questa: la foto che abbiamo rubato a Franco e al suo mercato “triste e solitario”, che non è bella, manco si vede Franco…

Eppure ci piace quel mercato, perché ci piace il giorno in cui potremo tornare a comprare un orologio scadente, una pila, mollette per capelli.
Quelle cose futili, insomma, talmente futili che non possiamo farne a meno.
Caro Franco “il ponzese”, abbi fede, resisti in quella piazza desolatamente vuota, tra un po’ verremo tutti a comprare qualsiasi cosa, come mai prima, non perché ci serva, ma per sentirci dire col tuo solito sorriso: “Buongiorno, tutto a posto?!”
Parola.

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