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Di un saggio su Venezia. Di Stefano Testa

segnalato dalla Redazione

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Pubblichiamo sempre le interessanti pagine di Stefano Testa – avvocato e scrittore con l’hobby del giornalismo – quando compaiono nella penultima pagina di Latina Oggi, il giornale da cui estraiamo la quotidiana Rassegna Cartacea.
Come abbiamo fatto ieri con l’articolo di Antonio Pennacchi [1], anche oggi riprendiamo la pagina su Venezia del ‘500 e la proponiamo come articolo a se stante (file .pdf a fondo pagina).

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Il saggio
Quant’era bella Venezia
di Stefano Testa

Quando la Serenissima era considerata il vero centro del mondo
Curiosità e aneddoti: Alessandro Marzo Magno ci racconta i fasti e il declino

Sono in pieno svolgimento in tutta Italia le manifestazioni che fanno da contorno alla celebrazione del Carnevale.
Tra le città più interessate da tale evento c’è ovviamente Venezia. Le origini del carnevale veneziano sono antichissime.
Le prime tracce risalgono al 1094, tuttavia venne dichiarato ufficialmente “festa pubblica” solo nel 1296. Con il trascorrere del tempo, nella città lagunare, prese sempre più piede l’usanza di indossare nei giorni del carnevale maschere e costumi. Tale tradizione determinò la nascita di una nuova categoria di artigiani, chiamati “mascarieri”, i quali, nel 1436, vennero addirittura riconosciuti come esercenti un mestiere; che in alcuni casi, col tempo, si è trasformato in vera e propria arte.
Il carnevale veneziano, per come lo conosciamo noi, iniziò ad affermarsi verso il 1300. I mascheramenti, tuttavia, agevolarono ben presto la commissione di reati ed il compimento di azioni libertine ed indecenti. Tale deriva morale suggerì ai governanti dell’epoca dapprima di vietare l’uso di travestimenti durante le ore notturne, e, nel 1458, di proibire l’ingresso in maschera nei luoghi di culto.

Ma com’era la Venezia di quel tempo? Come si viveva nella città lagunare a cavallo tra la fine del Medioevo e l’inizio del Rinascimento?
Ce lo svela, in un interessante saggio da poco pubblicato da Laterza e intitolato “La splendida Venezia 1499 – 1509” (266 pagine), Alessandro Marzo Magno. La lettura ci accompagna dentro i fasti della splendida Serenissima, la quale, in appena un decennio, da “grande potenza europea” quale era, si ridimensionò fortemente da un punto di vista militare e politico, iniziando il suo inesorabile declino. Dal 1510 in poi, infatti, come spiega l’autore, Venezia «sarà indotta a sostituire la forza con l’ostentazione, la potenza con la ricchezza, il ferro con l’oro… non sarà più potente, bensì splendente… non potrà più intimorire con il clangore delle armi, ma riuscirà a meravigliare con il tintinnare delle monete».

Marzo Magno si sofferma con notevole accuratezza nell’analisi di quel decennio, periodo nel quale si verificarono avvenimenti di grande importanza, e inoltre ricorda fatti e misfatti di personaggi più o meno famosi che consentirono alla città lagunare di raggiungere il suo apogeo. L’autore racconta ad esempio che, nel dicembre del 1499, venne stampato, dall’editore Aldo Manuzio, il romanzo allegorico intitolato “Hypnerotomachia Poliphili”, che è ritenuto il libro più bello del Rinascimento. Più di qualcuno lo ha addirittura definito “il libro più bello del mondo”, tanto è vero che, nel 2010, la casa d’aste londinese Christie’s ne ha venduto una copia per ben 335.000 euro! Il prezioso volume è famoso non solo perché contiene incisioni xilografiche raffinatissime, ma anche perché risulta essere stato scritto con dei caratteri che poi ispireranno la creazione di alcuni dei più famosi ed utilizzati “font” di stampa, quali il “Garamond” ed il “Times new Roman”.
A quel visionario imprenditore (che era nato a Bassiano, in provincia di Latina), noi tutti siamo debitori anche di una geniale invenzione che cambiò per sempre la storia dell’editoria. Nel 1501, sempre a Venezia, egli pubblicò infatti il primo “libro tascabile”.

Marzo Magno argutamente rileva in proposito che «l’entità dei mutamenti introdotti da Manunzio nell’editoria e in uso ancora oggi – il carattere corsivo, la punteggiatura, gli indici e le note, la numerazione delle pagine – è tale che il primo editore moderno della storia dovrebbe essere citato in ogni capitolo».
Quando realizza quell’innovativo “prototipo” cartaceo, Manunzio «non può sapere che noi, mezzo millennio dopo, avremmo continuato a utilizzare quel formato. Si rende però bene conto, invece, di quello che la novità nelle dimensioni avrebbe apportato come effetto collaterale: la lettura per diletto, ovvero il piacere di leggere… Manunzio ha creato un bisogno. Prima dei tascabili si leggeva per lavoro o per istruirsi, in seguito si legge per appagarsi, e di conseguenza si sviluppa la necessità dei libri come passatempo.
La rivoluzione del tascabile è epocale, visto che noi, a distanza di cinquecento anni, leggiamo per svago, per il piacere di farlo, per trascorrere del tempo serenamente».

Con il geniale editore di origini pontine collaborò fattivamente anche il cardinale Pietro Bembo; il quale, a sua volta, è ritenuto l’inventore della lingua italiana contemporanea. Marzo Magno spiega infatti che è proprio grazie a lui se oggi parliamo l’italiano di Dante, Petrarca e Boccaccio. Egli, anche attraverso la pubblicazione della prima grammatica della lingua italiana, «trasforma il toscano trecentesco nel linguaggio del quale si avvalgono le persone colte per scrivere… Il “volgare” di Bembo ha come effetto collaterale la morte del latino: per un paio di secoli la storia della lingua italiana consiste in una lotta serrata per togliere spazio alla lingua di Cicerone. E da inizio Cinquecento il toscano è pronto per compiere il grande balzo: da varietà tra le altre, diventa la base della lingua comune a chi voglia scrivere libri, compilare leggi, parlare di scienza o arte».

Sempre a Venezia, in quegli anni, «si cominciano a confezionare profumi a base alcolica. In precedenza erano a base grassa, si usavano oli diversi, e non a caso si chiamavano unguenti. L’utilizzo di sostanze alcoliche, nella fattispecie acquavite, consente di passare dall’unguento al profumo (il vocabolario della Crusca registra per la prima volta la parola “profumo” nel 1623, come “pasta” che si fa con sostanze odorose). Il profumo si trasforma così da spalmabile ad aspergibile, e all’uopo risulteranno molto utili i flaconi di vetro soffiati a Murano. Dopodiché i francesi sostituiranno l’acquavite con l’alcol puro, e si attribuiranno la primogenitura della scoperta».

L’opulenta città lagunare, in quel periodo, non era però soltanto la “culla” di grandi uomini e geniali invenzioni, ma anche di grandi “vizi”. Secondo Marin Sanudo, infatti, nel 1509 furono censite ben 11.654 prostitute. Tale numero appare obiettivamente esagerato, ma fa comunque ben comprendere quale fosse l’ampiezza del “fenomeno”. Del resto è in quella Venezia che esisteva il “ponte delle Tette”, dove le meretrici dell’epoca, che «si associarono fra loro nelle “scolete de done”, una sorta di cooperative di lavoratrici del sesso con mezzo millennio di anticipo… esponevano il seno per attirare i clienti», e che venne di fatto creato il primo “quartiere a luci rosse” della storia. s

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Alessandro Marzo Magno

Giornalista e scrittore, è nato a Venezia nel 1962. Inviato nei Balcani durante il conflitto che ha dilaniato l’ex Jugoslavia, ha lavorato per diversi quotidiani ed è stato per dieci anni il responsabile degli esteri del settimanale “Diario”. Ha scritto sedici libri, l’ultimo è “La splendida Venezia – 1499-1509”, pubblicato da Laterza nella collana i Robinson; pagine 266, 20€

 

Stefano Testa. SU VENEZIA. Da LT Oggi del 14 febbr. 2020.pdf [4]