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Una canzone per la domenica (81). Sanremo forever

proposta da Franco Zecca

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Il Festival di Sanremo va a cominciare – inizia martedì 4 e termina sabato 8 febbraio – e a noi da buoni radical-chic non importa più di tanto; ma a modo nostro, con un bel ritardo e qualche ruga in più, lo vogliamo ricordare così…
La Redazione

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Lo spunto per la canzone della domenica, questa volta mi è stato dato da una riflessione che ho fatto dopo che la mia nipotina, in un momento di confidenze e coccole, mi ha fatto notare che sulla mia fronte c’erano tante pieghe ed invece non ce n’erano sulla sua… ed io con parole semplici, le ho fatto capire in maniera scolastica perché le avevo ed ho terminato il dialogo con la frase “sono il segno del tempo che passa”. Una frase un po’ scontata ma che ha saputo farla sorridere ed è andata via da me soddisfatta.

A questo punto mi è subito venuta in mente una canzone poco conosciuta, ma che sicuramente a molti della mia età farà piacere risentire.

Da YouTube: Come passa il tempo:
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Non voglio cercare significati troppo profondi nelle parole del testo, né tantomeno dare una spiegazione intellettuale o politica della sua composizione. E neanche sono un romanticone o un nostalgico rievocatore di tempi ormai andati.

Ho solo avuto voglia di riportare nella mia mente ed in quella di chi l’ascolterà, un po’ di ricordi di gioventù, ricordati da quei segni del tempo sulla fronte.

La canzone è eseguita da Maurizio Vandelli dell’Equipe 84, insieme ai Dik Dik e i Camaleonti, in una interpretazione molto evocativa degli anni ’60-’70.
Fu presentata al festival di Sanremo nel 1993 (*) ma non ottenne grandi consensi; in seguito però ebbe un buon successo commerciale.

(*) Quello del 1993 è il primo Festival di Pippo Baudo nelle vesti di mattatore assoluto. Al suo fianco, Lorella Cuccarini. Il Dopofestival è condotto da Alba Parietti.
I verdetti della serata finale rispettano i pronostici: tra le proteste del pubblico dell’Ariston, che avrebbe voluto Renato Zero vincitore, trionfa Enrico Ruggeri con Mistero. Al secondo posto Cristiano De André Dietro la porta, davanti a Gli amori diversi di Rossana Casale e Grazia Di Michele. Tra i giovani si afferma un’emozionatissima Laura Pausini davanti a Gerardina Trovato e a Nek [dal sito web “Sorrisi e canzoni tv”]

Come passa il tempo
(di Beppe Dati – Bigazzi – Riccardo Del Turco)

Abbiamo tutti un sogno una fotografia
Una canzone prigioniera in un juke box
Che ci ha lasciato un segno un po’ di nostalgia
In quell’estate al mare intorno ad un falò
E c’era una chitarra che non smetteva mai
Era così la nostra isola di Wight
Abbiamo tutti dentro una periferia
Una ragazza un plaid una domenica
Noi che avevamo sempre voglia di andar via
Noi che eravamo pazzi dell’America
E tutto era più bello o ci sembrava a noi
Ma come passa il tempo da vent’anni in poi
Come passa il tempo
Come si butta via
Io che non sono un Santo
E ho sbagliato tanto in vita mia
Come passa il tempo
Che non ripassa mai
Va come una seicento
E quei ragazzi dentro siamo noi
Come passa il tempo
Abbiamo tutti un albero che non c’è più
E tutti almeno un verso di una poesia
Un cinema all’aperto ed un maglione blu
Prestato ad un amore che è volato via
Ci credevamo eterni ci credevamo eroi
Ma il tempo se ne frega e passa su di noi
Come passa il tempo
Sulla felicità
Noi non abbiamo vinto
Ma viviamo e il sogno va più in là
Come passa il tempo
Va dove tutto va
Va e ci sembra lento
Ieri era tanto tempo fa
Tanto tempo fa

[2]

E poi… per quelle fortunate coincidenze che ogni tanto accadono, mentre con Franco programmavamo il pezzo, è venuto fuori – su la Repubblica, proprio venerdì scorso – questo articolo per la rubrica “La prima cosa bella”, di Gabriele Romagnoli. sulla stessa lunghezza d’onda.
Potevamo omettere di riportarlo?
S. R.

La prima cosa bella di venerdì 31 gennaio 2020 è la canzone che non vince Sanremo [3].
Ma che avrebbe dovuto. Ho smesso di guardare il festival da piccolo e non per snobismo. E’ che ogni volta c’era una canzone che mi sembrava diversa, memorabile, unica e invece vinceva una lagna. Penso a “Jesahel” dei Delirium, a “4 marzo 1943” di Lucio Dalla, a “Vado al massimo” di Vasco Rossi. Tutte occasioni sprecate. Adesso mi accorgo che provano a fare i giovani premiando Gabbani o Mahmood. Li ascolto e li trovo contemporanei, intelligenti e forse furbi, ma una grande canzone è un’altra cosa.

Si potrebbe perfino fare un gioco per creare la classifica della “Più bella canzone che non ha mai vinto Sanremo”. La mia è una scelta secca. L’anno era il 1997. L’interprete: Patty Pravo. Si intitolava: “E dimmi che non vuoi morire,  che già spaventava quelli dei fiori. Musica di Gaetano Curreri e Roberto Ferri. Testo di Vasco Rossi. Introduzione di piano e via, non c’è già più storia. Sassofono dietro l’angolo.

Ultimo appello di qualcuno (donna o uomo non conta, unisex) sul precipizio di un disamore: “La cambio io la vita che, che mi ha deluso più di te”. E quel gesto regalmente dismissivo del polso mentre canta: “Tutti quanti sono degli eroi quando vogliono qualcosa, beh, lo chiedono lo sai, a chi può sentirli”.  Che cosa hanno sentito in giuria? Vinsero i Jalisse.

 

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