Attualità

Storytelling, o l’importanza di saperla raccontare

di Sandro Vitiello

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La settimana scorsa ero a Milano alla presentazione del master in comunicazione nel campo del food & beverage organizzato dalla facoltà di filosofia dell’università “Vita e Salute” del San Raffaele.

Siamo alla quarta edizione e il professor Massimo Donà – figura di riferimento del progetto – ne è giustamente fiero.

I risultati ci sono: il Corriere della Sera partecipa a pieno titolo al progetto con i curatori della sua pagina di cucina, e importanti aziende legate al cibo, al vino e alle bevande sono partner fortemente coinvolti.
Ma a che serve un master chiamato “Filosofia del cibo e del vino”?

Serve ad imparare a raccontarla bene, serve a trasmettere a chi legge,  guarda un video o una foto, l’idea forte che può esserci dietro ad un piatto, ad una bottiglia di vino o a una di acqua minerale.

Perché si sceglie di andare in un ristorante, bere un vino di Sicilia o comperare quel salume particolare?
Perché, oltre alla bontà del prodotto c’è qualcuno che ti ha fatto venire la voglia di fare trecento chilometri per andare a cena a casa di dio, perché un determinato territorio è stato raccontato così bene che non si può non andare a visitarlo, perché tutta l’area dalla quale sgorga una certa acqua minerale è stata acquistata da chi la imbottiglia e commercializza e sulla terra ci ha piantato olivi, noccioleti e ci ha fatto piazzare decine di alveari. Senza usare pesticidi, ovviamente.
L’acqua non diventerà più buona ma neanche più cattiva.
E mentre si racconta di una bottiglia di acqua si evocano suggestioni che ti fanno pensare a quanto di più buono ci possa essere intorno a quel prodotto.

Quel master, come diceva Anna Frenda – food editor del Corriere della Sera – ti dà una cassetta degli attrezzi: ti insegna come entrare in simbiosi con l’azienda o l’attività che si vuole raccontare.

Ti aiuta a costruire quelle atmosfere che arricchiranno un messaggio. E’ un concetto che si applica ormai a quasi tutte le forme di comunicazione.
Ha poca importanza se si tratta di cibo, di auto o di progetti sociali e politici. Se non c’è quel qualcosa di speciale dentro alla narrazione di un prodotto questo farà poca strada. Qui non si parla di raccontare bugie, di falsificare la realtà.
Si cerca di sottolineare alcune caratteristiche del prodotto che vanno a toccare le corde della sensibilità che ognuno di noi si porta dentro.

Possiamo raccontare il vino di Ponza, ad esempio, elencando le caratteristiche organolettiche, gli abbinamenti ideali con i piatti e chiuderla lì. Oppure possiamo iniziare dicendo che Ponza è un’isola vulcanica dove si può percepire la forza delle eruzioni che l’hanno plasmata guardando le scogliere che la circondano.
Dentro ad una bottiglia di vino della nostra isola c’è un po’ di quel tempo lontano perché i sali della terra, il calore del suolo, l’esposizione al sole, al vento e alla salsedine comunque contribuiscono a farne un prodotto speciale.

Alla base di ogni progetto economico o di altro genere ci deve essere comunque un prodotto di qualità, ma ci deve essere qualcuno che lo sappia raccontare.
Oggi che la comunicazione vive anche attraverso i social network la sfida si complica ma ci porta a confrontare con un orizzonte senza limiti. Sono opportunità e bisogna saperle cogliere.

P.S. – In linguaggio tecnico tutto questo si chiama storytelling management oppure più semplicemente Storytelling

 

 

 

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