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È ’nu cunto… (3). I cameroni

di Francesco De Luca

 

Mi raccomando  – esordì il padre quel mattino davanti a due figli – non andate in quei ‘cameroni’. Ieri pomeriggio vi ho cercato. Mamma voleva uno di voi per mandare della roba a zia Marianna. Macché… non vi ho trovato da nessuna parte. Sono sicuro che stavate giocando nei ‘cameroni ’… e lì non ci dovete andare”.

Cosa avevano questi ‘cameroni’ di così pericoloso? Proprio di pericoloso niente, ma erano ambienti aperti all’abuso di tutti, privi di porte, con calcinacci e materiale vario. Ambienti da non frequentare. E perciò frequentatissimi da chi si voleva sottrarre alla vista dei genitori e di chi poteva rimbrottare. Una pacchia per gli adolescenti, per i bambini luoghi di paure e di sfide. Parlo dei maschietti perché alle femminucce erano proibiti come il veleno.

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Ponza anni ’50 – in primo piano la zona dei cameroni
(dal blog “Frammenti di Ponza”)

E infatti ci si andava a giocare a nascondino. Tutta la gioventù maschile del Porto è passata sotto le ‘forche caudine’ dei  ‘cameroni’. I giovani vi andavano con spavalderia per fumarci di nascosto, gli adolescenti per ritrovarsi a giocare a carte, i fanciulli vi andavano con la paura di incontrare chi sa quale mostro.
Gli ambienti grandi,  vuoti e deserti amplificavano ogni rumore e i gridi diventavano scoppi di fucile.
Superato il primo impatto esitante, fra quelle camere, camerette, saloni, corridoi, ci si nascondeva con facilità.
Tre ingressi: due su via Roma (o salita Musella – come si diceva), e uno dalla parte di via Parata.
Ecciaaa…” – risuonava il grido di chi s’era trovato il nascondiglio e avvertiva che poteva iniziarsi il ritrovamento.
La cosa però non si coniugava al singolare perché la torma dei ragazzi era copiosa. Una ventina si nascondevano e minimo due, costretti a cercarli. Costretti da chi? Dalla conta maledetta, che a caso assegnava i ruoli. Chi sopra a nascondersi e chi sotto a cercare. Del gioco faceva parte tutto.

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Ecciaaa…” e la gara cominciava. I mastini in cerca delle prede.
I  ‘cameroni ’ erano  luogo adatto per organizzare sorprese, istruire agguati,  sfuggire, mascherare fughe, essere catturati. Tutto lì. Si entrava da una parte, insospettiva un rumore, si lasciava il nascondiglio e ci si acquattava dietro un muro. Uno scalpiccìo allertava, un sibìlo e una corsa breve e rapida, si finiva in rete. “Ecciaaa…”, ma ormai si era stati stanati… la posta non era più in gioco.
Che ora s’è fatta… già le sei (le diciotto)!… Mannaggia… bisogna ancora fare i compiti…”.
Un saluto rapido alla masnada.

Negli anni ’50 e ’60 ’a uagliunera’  (1) vantava un folto numero di partecipanti. Tanti e tutti desiderosi di esprimere la vitalità che era sì nei giovani corpi, ma anche nello spirito del tempo. L’isola si dava da fare per dismettere l’aria lugubre di ‘luogo di confino’,  i Ponzesi smaniavano nel pescare, nel rinnovare le barche da pesca, nel migliorare le case, nel guardare la vita con speranza.
La speranza era riposta nella gioventù, e in essa la comunità puntava. Chi affrontava gli studi in continente, chi si imbarcava per lunghi tragitti e periodi, chi si dava a cercare nel mare nuove modalità di pesca.

I ‘cameroni ’ erano il residuo di un mondo passato, quello del confino politico in opposizione alla dittatura fascista. I locali furono infatti aggrediti dallo spirito democratico e trasformati. Alcuni divennero scuole. Scuola Elementare nei locali alti. In seguito i locali bassi divennero Scuola Media.

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I cameroni al tempo dei confinati
(foto d’epoca)

Su un impianto edilizio innalzato dai Borbone il  ‘fascismo’  ampliò i locali ricavandone dormitori, cucine, spazio d’aria, e salette varie. Lì trovarono dimora gli antifascisti che non potevano permettersi alloggi privati, e i prigionieri politici da varia natura.
La dicitura ‘cameroni ’ fu coniata dal popolo ponzese che reputava grandi gli alloggi di quel complesso in riferimento alle loro abitazioni grandi quanto la necessità chiedeva, senza nessun cedimento al lusso e al superfluo.

Alla caduta del fascismo, alla chiusura del confino e alla dipartita dei prigionieri i locali subirono l’affronto dell’incuria e anche del disprezzo dei ponzesi. Divennero spazi dove il vento fischiava lugubre, gli scricchiolii sembravano anticipazioni infernali, e il suono si trasformava in rumore.

Biagino quel giorno ebbe uno scontro col padre. Il dissidio prese vita dal fatto che il ragazzo era nell’età in cui trovare accoglienza presso i coetanei alimenta l’autostima e si affronta con più sicurezza la condizione di essere ‘né carne né pesce’ come sentenzia il detto popolare. Adolescente.

Il padre aveva un negozio di alimentari giù la banchina (oggi Di Fazio) e Biagino offrì agli amici uno spuntino. Così… per amicizia e divertimento, e anche per acquistare meriti ai loro occhi.
Era un sempliciotto, oggetto  di scherno degli amici per via di alcune insicurezze che aveva vuoi nella fisicità vuoi nella prontezza di riflessi.

Nell’ora di chiusura avevano fatto bisboccia nel negozio: lui (Biagino ), Francuccio ’a Musella, Antonio Ciacione, Luigi. Amici di scuola, di strada, di chiesa e di baldoria.

Lo seppe il padre, zi’ Ciccillo, e lo redarguì a dovere. La madre, zia Rosa, cercava di rabbonirlo ma, nonostante la sua influenza, Biagino fu strigliato ben bene dal padre.

Il ragazzo lasciò casa. A sera non si ritirò. All’inizio la cosa passò inosservata ma al subentrare della notte ci si incominciò a preoccupare. Zì Ciccillo stava sulle sue mentre la moglie, zia Rosa, non si dava pace. Allertò tutto il vicolo e soprattutto ci si rivolse agli amici, interrogandoli con virulenza. La madre ad Antonio Ciacione gli sbraitava contro, così pure la madre a Luigi. La madre di Francuccio mise il figlio in castigo perenne. Insomma quella notte tutto il vicolo fu in fermento. E pure i Carabinieri furono informati. Il maresciallo, che conosceva tutti, tentava di rassicurare i genitori e intanto diede ordini ai subalterni di chiedere, osservare, mobilitarsi. Macché…il giorno dopo tutti alla ricerca di Biagino.

I ‘cameroni ’  vennero setacciati palmo a palmo e così le grotte della discesa alla Parata, le cisterne romane del  ‘rifugio ’. Niente. Il parroco, don Luigi, nella novena del pomeriggio agitò le coscienze di tutti.
Biagino, fra l’altro, era un elemento di spicco del coro parrocchiale, ma fondamentalmente era una presenza oltre che costante anche gioiosa perché amico di tutti e da tutti voluto bene.

Le ombre della sera stavano scendendo dall’alto del Monte Guardia, don Luigi aveva segnato la benedizione di commiato quando, appoggiato a Luigi entrò in chiesa Biagino. Zoppicava ad un piede. Biagino e Luigi. Gli amici di casa, di scuola, di chiesa e di strada.

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Lo aveva trovato Luigi nei ‘cameroni ’. Ma come… non erano stati setacciati dai carabinieri? Sì, e infatti, nel sentire il passo pesante dei militari, Biagino ammutolì del tutto dalla paura. Dove stava? Stava nel fondo del pozzo.

Andato trafelato e sconvolto nei ‘cameroni’ a trovare sollievo al suo stato d’animo, era caduto nel pozzo. Lui lo conosceva bene quel pozzo, privo ormai d’acqua e di botola di chiusura, ma nell’agitazione non era stato abbastanza attento.

Lì caduto, vi rimase per tutto il tempo a dolersi per una storta alla caviglia. Era andato nei ‘cameroni’ per rimanere solo con sé e covare malanimo contro il padre. Luigi però conosceva bene l’amico. Andò lui nei ‘cameroni’ e lì diede voce all’amico il quale, rassicurato, si fece trovare.

Fu chiamato il medico Martinelli che lo curò e gli mise una fascia protettiva. Zia Rosa, la madre, se lo coccolava e inviava sguardi minacciosi al marito, che non tratteneva la gioia.
Quella sera in sacrestia il parroco fece scendere da casa una ‘guantiera’ di nocchette (2).

Per inciso: la storta gli causò una malformazione che si tenne per tutta la vita. Gli amici, con il  consueto garbo popolare, tollerarono da allora i suoi lanci del pallone, tutti e sempre fuori bersaglio perché  teneva ’u pede stuorto.

1) – insieme di ragazzi;
2)  – dolci caserecci

[È ’nu cunto… (3) – Continua]