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È ’nu cunto… (2). Aveva 80 anni

di Francesco De Luca
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Uscii dall’ospedale con la sensazione vaga che mia madre stesse morendo. Saputo del suo ricovero al Dono Svizzero presi un giorno d’assenza e mi recai a Formia. Aveva avuto un malore alla pancia o allo stomaco, insomma al ventre, con febbre alta e dolori. Mio fratello, presso cui dimorava a Formia, decise di ricoverarla. Il giorno dopo lasciai Ponza e l’andai a trovare. Il dottore mi confessò che sospettava qualcosa di brutto. I malori erano causati da qualcosa di indefinito… forse un tumore. Erano in corso gli accertamenti ma… c’era da aspettarsi tutto.

Mia madre aveva 80 anni. Mesi prima, a dicembre, avevamo festeggiato i suoi 80 anni. A casa mia a Ponza. e lì, con la fetta di torta in mano e il bicchiere di spumante sul tavolo, facemmo i conti degli anni e… giungemmo alla conclusione che aveva terminato il settantanovesimo anno e s’era inoltrata nell’ottantesimo. Ne aveva compiuto dunque 79 e non 80. Io ribadivo questo fatto perché ci aveva sospinti tutti alla festa col motivo che raggiungeva gli 80 anni e lei, serafica, difendeva il suo punto di vista: “Sono negli 80 che altro volete ?”

Viso regolare, occhi chiari, un’espressione serena, mia madre era stata una bella ragazza. La foto che la ritrae da giovane mostra una bellezza che io, in verità, non ho mai visto. Ricordo mia madre con una figura dignitosa, capelli mossi raccolti dietro la nuca. Mi ripeto perché ricordi eclatanti di mia madre non ne ho. L’ho vista sempre amorevole, presente ma mai esultante, radiosa, giovanile. Mai. Una madre come era uso nelle foto in bianco e nero: seria, serena, amabile.
– Perché sei venuto? – mi disse, vedendomi.
– Come… – balbettai – stai così…
Non ho niente, qualcosa mi ha fatto male.
Ma come? – dissi – Hai avuto anche perdite di sangue… devi riguardarti, e qui in ospedale ti faranno tutto quello che è necessario.
Come stanno i figli?
– Bene – risposi.
– Loro crescono e noi ce ne andiamo… come è giusto che sia.

Era pallida e con evidenti segni di stanchezza. Quella che deriva dalla vita che s’allontana. E’ una sensazione che oggi ad una certa età riesco a cogliere meglio e che allora, nella pienezza della vita, avvertii soltanto.

Mia madre stava morendo.

Le stavo accanto ma non chiedeva nulla, non era curiosa né di sapere né di dire. Io cercavo di interagire nei modi dovuti con le infermiere, mi mostrai attento alla circostanza presente e nel contempo la guardavo come avevo sempre guardato mia madre: indomita e immortale.

Così appare ogni madre ai figli e anche a me è sempre apparsa priva di fragilità. Perché la poca vita insieme non mi aveva dato modo di conoscerla a fondo. Ho lasciato casa all’età di dieci anni e non l’ho vista mai ammalata, mai in difficoltà.

Uscendo dall’ospedale ebbi come un’ immagine fulminea. Chiaro mi apparve il passato e il presente. Quella donna che mi aveva sempre avvolto d’amore solo guardandomi e di cui percepivo la forza dell’abbraccio, senza gesti ostentati, adesso col suo silenzio mi stava dando l’ultimo saluto.

La settimana seguente ritornai. Le condizioni peggiorarono e si stava pensando di operarla. Lei aveva lasciato nelle mani degli altri il suo vivere. Nelle mani dei figli e delle nuore.

Ci salutammo ma non ci parlammo. Nemmeno con gli occhi riuscimmo a scambiarci sentimenti. Avrei voluto farlo. I figli sono in debito d’ amore con la madre. In me questo debito è grande. Perché ho condiviso con lei non le aspirazioni bensì soltanto il legame d’affetto. Ho sempre sentito la sicurezza del suo amore e non credo d’averla ripagata in egual misura.

Ritornai a Ponza col cuore gonfio di dolore. Mia madre morì subito dopo.

Sono poche le frasi che ricordo di lei. – A te ti abbiamo fatto studiare perciò tieni considerazione per tuo fratello. Sentenziando come: chi più sa più deve comprendere. Dimostrando come l’amore non si misura con pesi uguali.
E quel giorno, nella festa di quei mancati 80 anni disse: – la vita è un sogno.

Cresciuta in un minuscolo paese del viterbese, seguì la sorella, andata a Roma a lavorare come donna di pulizia. Incontrò un maresciallo di Marina, bello di viso e di uniforme, e lo seguì su una isoletta.

Un sogno, diceva. Non so quanto luminoso, quanto appagante. Ma forse non erano queste le qualità che ella perseguiva. Due figli, preoccupazioni e felicità, e accoglimento di quel che la vita dona.

E’ un racconto questo. Gli appigli nella realtà sono verosimili non veri. La storia vuole tenere intatto il suo valore metaforico.

A Ponza la sera scende presto perché la solitudine sociale accelera il senso di isolamento. I racconti trovano ricetto e colmano il cuore di sentimenti. Si spera combattano contro le ombre invernali, e infiammino gli animi di familiarità e di amicizia.

Immagine di copertina: Klimt. The three ages of woman.2. 1905

 

[È ’nu cunto… (2) – Continua]