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Epicrisi d’inverno (261)

di Enzo Di Giovanni
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Viviamo come sospesi, sul filo della memoria. Non è solo uno stato emozionale, ma una ricerca incessante di una identità che ha necessità di essere continuamente rinnovata. E’, credo, un segno distintivo dei nostri tempi, più che di altri.
Le ragioni, note, sono molteplici: la più immediata è un mondo che va veloce, in cui ad ogni scoperta corrisponde una dimenticanza. Sappiamo in partenza che ogni oggetto tecnologicamente avanzato nasce per andare in soffitta dopo pochi mesi; non c’è il tempo per immagazzinare all’interno del nostro DNA le informazioni sufficienti affinché i saperi diventino tradizioni, etica, cultura.
La tecnologia stessa, poi, è per definizione essenzialmente immateriale. E sappiamo, purtroppo, che non è una mera questione di “oggetti”: l’incidenza di hardware e software sui costumi, sui linguaggi e sulle relazioni sociali ed umane è sempre più forte. Ed è un’incidenza, manco a dirlo, essenzialmente negativa: si parla poco e male, e si comunica all’interno di ambienti strutturati con regole spesso invisibili ma ferree, da cui non si può transigere.
Soprattutto, abbiamo perso l’abitudine di stare con gli altri, di guardarci in faccia, di fare cose insieme.
Quando parliamo di spopolamento, credo che in realtà parliamo dell’incapacità di vivere in una comunità, nel senso più nobile del termine.
Perché se è vero che un’isola che si spopola è l’icona, il simbolo più efficace per esprimere il disagio e la sofferenza di un mondo che si estingue, è altrettanto vero che a questo depauperamento non corrisponde una rinascita, un altrove.

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L’appartenenza ad un gruppo etnico, culturale, sociale, politico, non appartiene ai nostri tempi, o per meglio dire, la non-appartenenza è un segno del mondo contemporaneo.
Non è un problema di Ponza: in un mondo in cui si globalizzano il pensiero ed i costumi, in cui le distanze si annullano, è sempre più difficile creare una comunità. Non si parte da un luogo per costruire altrove una nuova appartenenza, si parte e basta.
Fanno sorridere, si fa per dire, quei sovranisti di casa nostra che si lamentano dell’invasione etnica dei migranti economici che vengono per distruggere le nostre tradizioni. Le tradizioni le abbiamo distrutte quando abbiamo anteposto la comodità della vita facile, edonistica, al vivere in maniera collettiva. E’ rassicurante sentirsi tutti uguali, mangiare in tutto il mondo le stesse cose, ascoltare la stessa musica, parlare lo stesso linguaggio. Rassicurante, ma spersonalizzante: lo spopolamento nasce da qua. Perché prima che essere un fenomeno “fisico”, nasce come distacco sociale. A quel punto, vivere a Ponza, a Formia o a Londra, diventa solo un fatto incidentale: perché quando non si sente di appartenere ad una comunità, si è già lontani. Pensavo a cose così, nello sfogliare i pezzi di questa settimana.
E pensavo che su Ponzaracconta parliamo di memoria che sfugge come segno distintivo dei nostri tempi, in cui lo spopolamento è solo un effetto.

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Come ci testimonia Gabriella Nardacci in Cari amici vicini e lontani… [4]: “perché il tempo scorre talmente veloce che ci sembra di non riuscire a vivere. Ed allora l’augurio per l’anno nuovo passa attraverso il desiderio di impiegare meglio il nostro tempo, trasmettendo passioni ed emozioni, il piacere di condividerle”.

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E come trasmette lo spirito dello scritto di Tano Pirrone: Napoli Napoli di lava, porcellana e musica [6], e la difficoltà nel riuscire a valorizzare la bellezza di un tempo passato e renderlo reale.

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Ma cos’è la realtà? Come suggerisce Vincenzo Ambrosino in Omaggio agli amici del Nuovo Teatro Ponzese [8] “la realtà non esiste, esiste la finzione, la rappresentazione della realtà. Tanto più preziosa e perciò reale, e di questo ringraziamo gli amici del Nuovo Teatro Ponzese, quando la comunità è fragile”.
O anche, perché curiosamente a volte i concetti si rincorrono, potremmo dire che nulla è più vero di un falso, come suggerisce Tano Pirrone in: Una canzone per la domenica (77). Immagina una guerra fatta a occhi chiusi. [9]

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Parlando di necessità identitaria, ecco che su Ponzaracconta persino una guida turistica offre spunti, per così dire, sociologici.
A pensarci bene, la cosa non dovrebbe sorprenderci, una guida è la rappresentazione non di una realtà, ma delle diverse realtà di un luogo. Guida storica di Casamicciola Terme. Oggi presentazione e simposio [11]presenta “paesaggi, personaggi, attività”: insomma l’anima del posto che un turismo consapevole dovrebbe ricercare nello scegliere di visitare una località. Una sorta di carta d’identità, un termometro per misurarne la salute.

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Siamo ancora a ridosso delle feste natalizie. Ed allora, dopo aver fatto gli auguri di cuore ad Adele Scotti e ai suoi cent’anni [13], ecco la bellissima versione de Il piccolo tamburino [14] proposto da Angela Caputi che consiglio di andar a riguardare: belli sia il testo che la rappresentazione.

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Ed ovviamente La Befana [16], attraverso un testo che ne spiega in maniera accattivante e colta origini ed adattamenti ambientali.
Ma l’inverno è ancora lungo… Lungo, triste e solitario, ed allora può essere di conforto l’eco delle rime nientedimeno che di Shakespeare [17], ultima fatica di Silverio Lamonica, come sempre attento a cercare nel mare infinito del web assonanze con la nostra Ponza. E ci riesce benissimo, perché la musicalità del grande poeta inglese ci dona il conforto della collettività attraverso la ritmica di gesti quotidiani, e perciò rassicuranti, pur nella non-bella stagione.

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E dopo “i granchi a sibilar nell’olio biondo che in padella stanno a bollire”, ci può stare, anzi ci sta proprio bene, la disquisizione culinario-letteraria dei Friarielli proposta da Sandro Russo. Perché su una cosa siamo tutti d’accordo, che si tratti di friarielli, o di… friarielli [19]: in padella ci stanno che è una meraviglia!

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Su un’altra cosa siamo d’accordo: che tra gli enti e la popolazione ci vuole quantomeno più trasparenza. Condivido le osservazioni di Silverio Lamonica e Biagio Vitiello. Nel comunicato stampa L’Ente Parco precisa le finalità del Piano gestionale di controllo del daino [22] si chiarisce ma non si chiarisce l’effettiva dinamica delle azioni da intraprendere. Nè si dà contezza della reale popolazione di mufloni presente a Zannone.

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Spesso la mancanza di trasparenza ed informazione, e l’eccesso di burocrazia in un paese come l’Italia si traduce in immobilismo, come temiamo accada per il Faro della Guardia [24], di cui Enzo Di Fazio ci fornisce accurata e puntuale cronistoria, a partire dalla campagna promossa dal FAI a cui partecipammo con convinzione: noi di Ponza Racconta, ed i ponzesi tutti, in uno dei purtroppo rari momenti di partecipazione popolare.

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Ormai l’abbandono, l’incuria del nostro territorio hanno raggiunto punti di non-ritorno. Non basterà l’ordinaria amministrazione per raggiungere risultati apprezzabili, in balia come siamo di forze più grandi di noi. Occorrerebbe un’energia, una spinta unitaria nell’interesse di tutti che al momento non è dato vedere.

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Termino la rassegna settimanale con un articolo che ci porta in alto, e non è una metafora.
La pazzia magnifica e disperata di Laurent [27]
: i due aggettivi rendono bene il senso della storia, che è nota a tutti, anche se presto verrà cancellata dalla memoria collettiva, narcotizzata da troppe tragedie che scorrono come videoclip di passaggio.
Magnifica perché potentemente folle, folle perché disperata.
Bambini, o piccoli adolescenti, che muoiono in mare abbracciati alla propria mamma, o con la pagella cucita nel giubbotto. O disidratati all’interno di container. O, come Laurent, quindici anni, morto in cielo nel tentativo di rincorrere un sogno. Il sogno non di diventare milionario, o calciatore famoso, o divo di Hollywood, o influencer.
Semplicemente il sogno di vivere: “andare via, andare dove si sogna una vita migliore, e farlo a qualunque costo, ovviamente anche a costo della vita: non è forse proprio “la vita”, per chi decide di migrare, la posta in palio?”
E dice bene Serra: non bisogna avere il senso di colpa. Perché il senso di colpa induce al perdono, e nessuno merita una facile assoluzione: né i tanti benpensanti, né i disgustosi, inumani razzisti da tastiera.