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La pazzia magnifica e disperata di Laurent

segnalato dalla Redazione

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Da la Repubblica on line di ieri segnaliamo un articolo di Michele Serra sul ragazzino ivoriano trovato morto nel carrello dell’aereo atterrato a Parigi

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Il cielo di Laurent
di Michele Serra

Laurent Barthélémy Ani Guibahi, nato il 5 febbraio 2005 a Yopougon, distretto di Abidjan. Ha un nome e una storia il ragazzino ivoriano trovato morto, assiderato e/o asfissiato, nel vano del carrello di un aereo diretto in Francia. Andava a scuola, aveva una famiglia e una casa.

Il suo gesto contiene, in una sola volta e per una sola e definitiva occasione, la pazzia magnifica e disperata degli adolescenti di tutti i continenti e di tutte le epoche (si è afferrato con destrezza al carrello, una sfida ginnica, come stare in piedi sui treni in corsa, i teenager lo fanno) e la smania irrefrenabile dei migranti, andare via, andare dove si sogna una vita migliore, e farlo a qualunque costo, ovviamente anche a costo della vita: non è forse proprio “la vita”, per chi decide di migrare, la posta in palio?

Pochi metri sopra c’eravamo noi, voglio dire noi che gli aerei possiamo prenderli salendo lungo una scaletta, sedendoci al nostro posto, guardando un film, bevendo qualcosa di caldo o di fresco.
Non ci siamo accorti di niente, né potevamo farlo, negli aerei c’è un dentro dove si sta comodi e si vive benone, a parte un poco di ansia da volo, e un fuori nel quale non è nemmeno pensabile che qualcuno si annidi o si aggrappi. Il fuori è il nulla, il cielo, le nuvole, è una metafisica che non contempla l’idea che qualcosa di fisico, a parte qualche uccello d’alta quota, possa esistere.

Non c’è parola retorica, tanto meno parola razzista o cinica, che possa cambiare di una virgola la storia di un ragazzino morto, come tanti, mentre cercava di saltare il fosso che separa la povertà dal benessere. Ne muoiono tanti, soffocati nei container, annegati in mare, annaspando o sgomitando o gridando. Non dobbiamo sentirci in colpa, non è richiesto, non serve a niente, il senso di colpa è solo l’altra faccia dell’odiosa esultanza espressa sui social quando si può scrivere ghignando “uno di meno”. Però possiamo prendere atto, questo sì, che ogni morto ha un nome, una storia, dei parenti e degli amici, una città o un villaggio in cui è cresciuto, parla una lingua, più spesso almeno due (essere colonizzati concede questo discutibile privilegio rispetto a molti dei nostri indigeni, che parlano a malapena l’italiano).

Basterebbe questo, ecco. Sarebbe già un passo avanti, un progresso psicologico, un migliore approccio alla grande, complicata questione di “tutta quella gente che vuole venire qui”. Sapere che quando muoiono muoiono come noi, esattamente come noi, con lo stesso terrore nel cuore e lo stesso respiro mozzo, se le condizioni sono di morte cruenta.

E questo forse ci aiuta a capire che sono come noi anche quando vivono, parlano, litigano, vanno a scuola. Persone, e nel caso di Laurent Barthélémy Ani Guibahi, così africano e così francese fino dall’anagrafe, persone ancora piccole, proprio come i nostri figli, e scriteriate, come i nostri figli. Non un bambino, che non è protagonista del proprio destino, può solamente sperare che una madre o un padre o un fratello/sorella maggiore lo protegga e lo salvi. Un adolescente è uno che si sente già grande, è uno che crede che possa volare aggrappato a un carrello d’aereo. Li abbiamo fatti in tanti, quei sogni mezzo dementi, molto eccitanti, tipici di quell’età. Li abbiamo fatti anche se non siamo di Abidjan.
Ad Abidjan probabilmente, la smania di volare via è un rischio più facile da correre. Noi che possiamo pagarci un biglietto di aereo, magari cliccando su una app, non la conosciamo più da un pezzo, quella smania.

Siamo doppiamente adulti, per età e per censo. Anche per questo facciamo così fatica a capire come ragionano, come vivono, come viaggiano i popoli bambini. L’età media, in Africa, è la metà della nostra. Non si facciano illusioni, i contabili social dell’uno di meno. Sono infinitamente di più, e molto più giovani.

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7 commenti

lilith04
Sono di più, sono molto più giovani, sono intelligenti, desiderosi di imparare, di studiare, di conoscere. Sono dignitosi. Ci conquisteranno con la loro voglia di vivere, i loro sogni che noi abbiamo perso e che abbiamo fatto perdere ai nostri figli. Sei morto nel freddo, nell’aria rarefatta. Ti auguro ora che la Terra ti sia lieve. Paola che crede ancora nei sogni a 62 anni e che insegna ai propri figli che la diversità è ricchezza.

utente32123
Sì, decisamente una pazzia magnifica.
Magnifico è l’aggettivo più appropriato per indicare questo incommensurabile ardimento.
Una magnifica pazzia che appare carica di significati e si ammanta di una nobiltà non riconoscibile nelle scellerate prodezze di altri adolescenti dalla vita spensierata.
Non dovremmo sentirci in colpa? Non saprei. Ma questo gesto, tragicamente eroico, infonde una sensazione di ammirata soggezione che restituisce un valore alla sua morte e rende miserabile il ringhio razzista.

Giovanna
La storia terribile di questo ragazzino mi ha talmente agghiacciato, sin dal primo momento in cui ho letto la breve su un sito francese, immaginare la sua paura, il freddo, l’asfissia, pensare che forse si sia reso conto, all’ultimo momento, della follia del suo gesto senza poter tornare indietro, che non riesco proprio letteralmente a concepire, a immaginare, come qualcuno possa dire “uno di meno”. Ma, ormai, pare che anche le peggiori parole, i sentimenti più mostruosi, siano diventati pietre da scagliare con leggerezza persino contro i bambini…

Neri Tanfucio
Figlio anche mio, fratello anche mio perdonami se puoi, perché ho guardato inerte il ruggito feroce di chi mangia oltre la sazietà, disprezza la fame e non vuol condividere con te anche solo un poco della sua fortuna. Perché non ho saputo lottare con abbastanza forza contro quelli per farti vivere una vita migliore. Figlio anche mio, fratello anche mio, perdonami.

Ser Joh
Il caso di questo ragazzino riporta alla nostra attenzione i drammi che i minori devono subire in tutto il nostro pianeta, con punti focali come la Siria, lo Yemen, le immigrazioni, lo sfruttamento minerario in Africa e in Sud America, ecc. per non parlare della strage che ne fanno le epidemie, la fame e la povertà.
Serra con questo articolo mi ha reso gli occhi lucidi.
“Gli occhi sono la dimora della vergogna” diceva Aristotele.
Tutta l’umanità dovrebbe avere gli occhi lucidi.

Andrea
L’aereo ha impatto materiale e simbolico. Permette e insieme illude di giungere alla libertà, alla felicità. Viaggiamo molto, noi occidentali benestanti, e vorrebbero viaggiare anche gli ultimi, i più poveri, gli esclusi. Ma per tutti è illusione da paese dei balocchi. Il traffico aereo diventerà presto una degli elementi più impattanti per la crisi climatica.
Oltre a questo vi sono effetti destabilizzanti per le comunità che son meta del turismo di massa, tra i quali lo spopolamento dei centri storici delle nostre città, la distruzione di habitat naturali preziosi, e anche l’alimentare, nei più poveri, il pensiero che solo altrove sia possibile vivere degnamente e che la propria terra sia da disprezzare, al netto di alcune, poche, situazioni di vera emergenza (anche se con la crisi climatica potrebbero aumentare, purtroppo).
Abbiamo tutti bisogno di viaggiare di meno, e di rallentare, in tutti i sensi. La felicità sta vicino a dove ti trovi, quasi sempre.

columnist
Articolo bello e commovente. A Serra non sfugge la complessità dell’Africa, continente povero ma bellissimo e affascinante, pieno di umanità, ricco di energie che prima o poi porteranno sviluppo e prosperità.
Non amo i confronti e le classifiche, ma su questa vicenda Serra batte Saviano (così arrogante da non aprire nemmeno un dizionario per scoprire che “dizaine” si traduce “decina” e non “dozzina” come lui ha improvvidamente fatto nell’articolo di due giorni fa)

Da la Repubblica on-line del 10 gennaio 2020

 

Appendice del 13 gennaio 2020 (Cfr. commento di Sandro Russo)

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File .pdf: La storia di Aylan [4]