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‘Nce crede… è ‘nu cunto (1). Sogno a Zannonedi Francesco De Luca . Non so se pure a voi, ma a me capita che quando mi sdraio supino con le spalle a terra, prima mi viene da sbadigliare di continuo e poi di appisolarmi. Me lo fa ogni volta, ad ogni ora del giorno, sia sull’erba sia sulla rena. E così a Zannone lascio alle spalle il faro, supero la spiaggia ciottolosa con dietro l’alta falesia nerastra e arriviamo alla spiaggia bianca dove degradano clivi verdeggianti di mirto e lentisco. Scendono tutti, mi allontano qualche metro, do fondo al motoscafo e raggiungo la riva. Non c’è sabbia ma una ghiaietta molto fine sulla quale mi distendo. E’ un giorno di luglio. Il mare è talmente piatto che ho preso la decisione con i miei di fare il bagno a Zannone. Faccio contenta anche mia moglie che ha ricordi d’infanzia legati a quell’isolotto, al faro, al padre che, in quanto fanalista (1), vi ha dimorato con la famiglia per lunghi periodi. I figli saggiano la temperatura dell’acqua, la moglie rovista fra i legni e la roba portata dal mare invernale. Io, come ho anticipato, faccio in tempo a guardare il cielo, apro la bocca a sbadiglio, e mi appisolo. Nessun’altra barca, nessun turista. Dalla macchia frulli e suoni di bosco. Il sonno mi abbassa le palpebre. “Cos’è… cosa mi tocca?” Capisco che da lì sono venute e la mia postura fa intendere i pensieri che sto elaborando, tuttavia ancora non ritrovo mia moglie, i miei figli e nemmeno i trilli della macchia alle spalle. Cosa è successo? Forse sto sognando. No… non sto sognando perché le due ragazze raggiungono un masso lì vicino e vi si sdraiano sopra. E sì… si sono proprio sdraiate… senza telo, senza nessuna protezione. Il che porta i miei occhi a guardare bene le cose. Il masso è biancastro e grinzoso per gli spuntoni che coprono tutta la superficie. Come faranno? Non li sentono sul corpo? Quale corpo? Quello lì, quello che ha stregato i miei occhi. Per questo noto che sono longilinee, di carnagione chiara come i capelli che hanno fluenti. Gli occhi li tengono socchiusi altrimenti pure quelli avrei notato. E insomma… mi sembra di aver oltrepassato la buona educazione. Ma… sono a Zannone? Ritorna il dubbio, e presto scompare. La falesia bianca e nera sulla destra (da chi viene da mare ) è quella conosciuta, sul motoscafo nessuna sagoma si muove, quindi debbono essere venute a nuoto. L’onda che mi ha svegliato probabilmente è stata provocata dal motoscafo. La spiaggia era semideserta (c’era soltanto il mio corpo appisolato ). “Franco… Franco…” Acuisco lo sguardo sullo specchio d’acqua. La voce è di mia moglie: “Vieni… qui sotto c’è un polpo”. Mi ritrovo nella dimensione reale. Ho lasciato ogni fantasticheria. Mi butto in acqua puntando su mia moglie. Nell’acqua lì vicino mio figlio gioca con i sfunnele (2). Li tocca ed essi serrano le due valve. Come tante lucette spengono lo scoglio. Mia figlia si immerge e trae dal fondo i gusci levigati dei ricci, per la sua collezione naturalistica. Il polpo è intanato nel suo buco. E’ visibile, ma la sua difesa è da ammirare non da profanare. Ci rinunciamo e ritorniamo a riva. Mi aspetto che i miei reagiscano in qualche modo alla vista di quanto ho lasciato sulla spiaggia ma … non c’è nulla. I frulli della macchia allietano e anzi, dalla falesia in alto lo stridìo del falco rassicura che siamo a Zannone: isolotto delle Ponziane, meno appariscente di Palmarola nelle coste, più ruvido e graffiante, il meno frequentato. Ma… dove sono finite le ragazze? Non sulla spiaggia. Dove? Sul motoscafo si muovono, tirano l’ancora e vanno via. Non so a voi, ma a me capita che se mi stendo col viso al cielo prima sbadiglio e poi inesorabilmente mi addormento.
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