Arte

Una canzone per la domenica (77). Immagina una guerra fatta a occhi chiusi

di Tano Pirrone

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La canzone di questa domenica è Imagine (1971). Non già, come d’uso e d’aspettativa perché è una delle canzoni più famose al mondo, parto di uno dei più diafani angeli venuti (caduti?) su questa bitorzoluta e umida palla senza traiettoria a miracol mostrare; uno dei tanti angeli, che hanno portato la musica a lenire il dolore degli uomini, a costringerli a prendere misura di sé e delle distanze che al mondo li uniscono, a considerare che le fangose umili insensate origini mai potranno farli appartenere al rango di quegli dei che hanno inventato a immagine di se stessi e che hanno presunto con orgoglio demente di raggiungerli e farsi uguali.
No, non è per questo che oggi parliamo di Imagine, l’opera solitaria di John Lennon, un quarto di un quartetto che ha contribuito a piegare la storia in quattro e chi c’era c’era nel quartino destinato a proseguire; non ne parliamo perché è considerata dalla critica di tutto il mondo la canzone numero uno, la bellezza semplice e assoluta, la sfera, la luce trasparente che le albe dei nostri sogni hanno alle volte, non sempre – e non tutte le albe di tutti – l’assoluta insensata verità di un taglio nella tela del tanghèro Fontana: Lucio taglia la tela e ne esce il mistero, cioè la vita, il mistero nostro e delle nostre vite, il buco che non si sa da dove parte e non si sa dove porta.
Che lusso le parole! Le trovi per caso, arrivano inaspettate e sono, spesso, quelle che riconosci come giuste anche se non le sapevi, nessuno mai le aveva dette e nessuno mai le aveva pensate almeno in quel senso, soprattutto mai erano state tue in qualche modo e ora tu le partorisci per vestire il concetto nudo senza forme senza colori senza contorni. Che magìa! La stessa che quell’angelo caduto ha portato, chissà se e quanto consapevole, chissà se e quanto imbarazzato, timido, incolpevole.

Qui di seguito il videoclip della canzone da YouTube, con John e Yoko Ono (nella versione completa in YouTube si possono leggere anche il testo e le note di composizione come espresse da Lennon stesso: “About Imagine”)

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Nonostante tutto, il motivo per cui ne parliamo è altro. Ed ha a che fare col cinema.
– Ma va, direte voi, col cinema!?
Dovevate aspettarvelo. Io scrivo spesso per diletto di cinema o del cinema, e di musica possiedo solo i brividi ben conservati che lungo i tanti anni ho raccolto vivendo. Ogni brivido è una vita e ogni vita è un film. Di che altro volevate che parlassi? Naturalmente ne parlo a modo mio come so pensare e scrivere: in modo irruento, spesso poco comprensibile, ma la scrittura è l’anima messa ad asciugare su un foglio di carta, aspettando che secchi e poi bruci e si disperda infine intrecciata in grigie spirali. Fugit. E col fumo finisce, come tutto, come un giorno finirà anche Imagine. Ma intanto c’è, noi ci siamo e prendiamo dallo scaffale superaffollato questo titolo e lo usiamo come esca, vermetto ben nutrito per le bouches ouvertes di pescioletti voraci.

John Winston Ono Lennon era nato – notoriamente – a Liverpool nell’ottobre del 1940. 20 anni dopo sbocciano i Beatles ed è l’anno zero della musica moderna. Da allora alcuni miei conoscenti segnano le date con “b.B.” e “a.B.” (before e after Beatles).

Torniamo a John: la cometa dei Fabulous Four era altissima nel cielo, quello stesso interminato spazio in cui nella stessa infinitesima frazione di eternità era mandata in orbita Lucy in the Sky with Diamonds nel Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band. Correva dunque, l’anno 6 a.B. quando Richard Lester, regista statunitense che aveva già firmato le prime due esperienze cinematografiche dei Beatles (Tutti per uno, A Hard Day’s Night, 1964) – Aiuto!, Help!, 1965), mette in cantiere Come ho vinto la guerra (How I Won the War). Film per Lennon “solo”, sfacciatamente contro la guerra, comunque essa sia, su un plot di Charles Wood da un romanzo di Patrik Ryan e, pare, attingendo a temi e dialoghi dal “suo surreale e amaramente oscuro (e bandito) gioco anti-guerra Dingo”.
Il film è sufficientemente folle per essere amato dagli amanti delle follie (secondo o terzo nome dell’arte), e, come vedremo più avanti, se qualcuno di voi sopravvivrà al surplus adrenalico, darà vita a un’altra bella storia. Non corriamo: vediamo in breve di che farcia era fatto – è fatto! – il film di Lester/Lennon.

Il regista definendo il film “anti-anti-guerra” volle insistere sul fatto che i film contro la guerra si limitavano a contrastare i “cattivi” crimini di guerra con altre guerre combattute per “buone” cause, quindi il suo intento fu di andare oltre, per mostrare come la guerra in ogni caso è fondamentalmente contro l’umanità. Insomma il suo volle essere un film veramente pacifista, inusuale per l’epoca.
Sebbene ambientato nella Seconda guerra mondiale, il film fu fortemente e comprensibilmente influenzato dalla contemporanea Guerra del Vietnam tanto che, a un certo punto, come spezzando le barriere temporali, vi si riferisce direttamente. Le riprese sono state eseguite parte in Sassonia (all’interno di aree militari utilizzate per l’addestramento delle truppe) e parte ad Almería, Andalusia, location seriale di film – non solo western – che tutti conoscono, anche chi crede di no: Lawrence of Arabia, per esempio, e Star Wars II; Indiana Jones e l’ultima crociata e Isla minima e Parla con lei e tantissimi altri. A noi, nell’anno in cui abbiamo celebrato il 30° anniversario della morte di Sergio Leone, importa sapere che lì in Almería, Andalusia, Spagna furono girati C’era una volta il West, Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più e Il buono, il brutto, il cattivo. Devo continuare?

Da YouTube il trailer del film (si trova solo in inglese):

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Il secondo film legato ad Imagine tramite Come ho vinto la guerra è: La vita è facile con gli occhi chiusi (Vivir es fácil con los ojos cerrados), regia di David Trueba (2013).
Perché?

Eccomi, faccio subito il mio dovere raccontandovi a parole mie come il terzo lato del triangolo si lega agli altri due e si fonde – speriamo – in un discorso sulla musica, sull’amore, sulla guerra e le tante altre minchiate che l’Antropocène contemporaneo continua a seminare, sempre a spese del popolo gozzuto e con sempre meno speranze per quelli che stanno in fila.
La storia del film s’ispira ad una storia vera (ma nulla è più vero di un falso, convenitene): di Juan Carrión Gañán, un professore di inglese che nel 1966 si recò in viaggio ad Almería. In quel periodo John Lennon si trovava nella città andalusa per partecipare appunto al film Come ho vinto la guerra. L’alter ego di Juan nel film, Antonio (l’attore Javier Cámara), insegna inglese in una scuola gestita da religiosi. Antonio ama i Beatles e per far fronte a un interesse abbastanza contenuto da parte degli studenti nei confronti della lingua di Albione, dà loro in pasto, per tradurle in spagnolo, le canzoni del quartetto di Liverpool. Qui avviene l’aggancio; come con le navicelle spaziali: Antonio prof appassionato viene a sapere che John Lennon è ad Almería per girare il film di Lester. Non è certo di aver ben tradotto alcuni versi di canzoni trasmesse per radio – non da emittente spagnola, ché in Spagna c’è ancora, più fascio che mai, il Caudillo (che in regime autoritario vuol dire capo assoluto, uomo della Provvidenza, supremo detentore del potere, e che ormai è rimasto attaccato a Franco, Caudillo tout court) – ma da Radio Lussemburgo. Vuole parlarne direttamente con Lennon. A tal fine organizza un viaggio in macchina, che diventa un’occasione d’incontri che cambieranno la vita di alcuni: prima, una ragazza scappata dall’Istituto in cui era stata rinchiusa, Belen, che, per giunta, è incinta; poi Juanjo, sedicenne scappato da un padre poliziotto, rigido educatore.

https://www.mymovies.it/film/2014/vivereefacileadocchichiusi/

Non ricordo se nel film Antonio riesce a parlare con Lennon, nella realtà sembra proprio di sì: dal disco successivo i Beatles imposero che i testi delle canzoni fossero sempre inclusi nell’album. Trueba segue i tre nella loro escursione ad Almería e ricostruisce con rispetto e tenerezza le situazioni, mettendo in luce tre solitudini, in persone di sesso, età e condizione diversa. Ci riesce benissimo, permettendoci di avere una storia da raccontare, una storia messa insieme con l’impasto di tre storie diverse, ma che alla fine ha un unico sapore: tentare nuove strade quando una cappa asfissiante (in questo caso la dittatura franchista) toglie aria e senso alla vita. E questo il film lo sottolinea utilizzando per il titolo il primo verso di “Strawberry Fields Forever”: Living is easy with eyes closed – La vita è facile con gli occhi chiusi!
Era molto meglio non vedere (o, peggio ancora, fingere di non vedere) gli schiaffi dati agli allievi a scuola o le cariche della polizia al minimo tentativo di manifestazione popolare, fare cioè quello che avevano dovuto fare anche i venerati Beatles quando avevano suonato dinanzi al Caudillo Francisco Franco.
Senza mai perdere il senso della misura, senza mai gridare, ma con un solido senso della dignità e con una semplicità che ne connota le azioni, il professor Antonio offre una lezione di civismo e di civiltà ai due ragazzi non limitandosi però solo a insegnare ma anche offrendo loro la sua disponibilità all’ascolto. Rivelando solo alla fine il segreto di quale sia il soprannome che i suoi allievi hanno affibbiato a un docente che ha insegnato loro che qualche volta nella vita è necessario chiedere “Help!”.


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Appendice (Cfr. Commento di Sandro Russo)

Su YouTube una clip dal film Yesterday di Danny Boyle: John Lennon (Robert Carlyle) consiglia Jack (Himesh Patel) di agire per riconquistare il suo amore e affrontare la menzogna (…notare il nome della barca rovesciata, sulla spiaggia dove i due parlano).

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1 Comment

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  1. Sandro Russo

    5 Gennaio 2020 at 14:15

    Non voglio parlare dei film dei- o su i Beatles, ma solo di uno, recentissimo e particolare.
    Si intitola Yesterday (2019) ed è il film più recente di Danny Boyle, regista inglese (1956) quasi di culto, autore tra gli altri di Trainspotting (1996), The Millionaire (Slumdog Millionaire …un film da 8 Oscar (!) del 2008), Steve Jobs (2015)… e altri .
    Yesterday, dal titolo di una delle più famose canzoni dei Beatles, mette in scena una storia fantastica (ucronia) sul tema “Come sarebbe stato il mondo se i Beatles non fossero mai esistiti”.

    Durante un inspiegabile e improvviso black-out che interessa tutto il pianeta uno spiantato e sconosciuto cantautore anglo-indiano viene investito in modo lieve da un autobus. Al risveglio scopre con estrema sorpresa di essere l’unico al mondo a sapere dell’esistenza dei Beatles e delle loro canzoni (e non solo… dal mondo sono anche scomparse la Coca Cola, le sigarette…). Dopo varie peripezie, decide di sfruttare commercialmente questa peculiarità, diventando in brevissimo tempo una star mondiale. In un cameo del film, Jack viene a conoscenza dell’indirizzo di John Lennon (che in questa realtà non è morto come sappiamo, sparato dallo sconosciuto Chapman, nel 1980, a soli 40 anni), ma è ancora in vita, ormai 78enne, e ha vissuto lontano dai riflettori.
    Jack chiede a Lennon se ha condotto una vita di successo, al che l’uomo gli risponde che ha vissuto felicemente e con la donna che amava. Lennon consiglia a Jack di rivelare sempre i propri sentimenti a chi ama e di dire sempre la verità, per poter avere una vita felice.

    Su YouTube una clip dal film Yesterday: l’incontro di Jack (Himesh Patel) con John Lennon (Robert Carlyle).

    Il filmato nell’articolo di base

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