Racconti

Girovagando per la storia (1)

di Pasquale Scarpati

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Girovagando un po’ qua ed un po’ là mi sono imbattuto in due personaggi: Ponzio Erennio e Ponzio Telesino. Ambedue Sanniti: il primo umiliò le legioni romane alle Forche Caudine, il secondo combatté contro gli stessi Romani nella Guerra Sociale, anzi, fino alla fine dei suoi giorni, quando cadde in battaglia a porta Collina, fu uno dei loro più acerrimi nemici.

I Sanniti. Da sempre indomabili e feroci nemici dei feroci Romani.
Bastava che qualcuno muovesse contro Roma: eccoli pronti a schierarsi contro la Città tiberina!
– Contro chi si combatte?
– Contro Roma.
– Eccoci – dicevano. E la “Legio Linteata” si metteva in marcia senza pensarci due volte. Valorosi ed audaci guerrieri che si buttavano nella mischia infliggendo gravi perdite alle legioni romane. Queste ultime, messe in fuga nella battaglia di Lautulae (località nella piana di Fondi), dovettero precipitosamente ritirarsi (anche se Tito Livio e Quinto Fabio Pittore, essendo di parte, come accade sempre e dovunque, cercarono di minimizzare).
Roma si salvò grazie alla strenua difesa di Anxur (Terracina) arroccata sullo sperone di roccia (…ed ebbero talmente paura da tagliare il Pesco Montano, per farci passare la via Appia, soltanto secoli dopo: al tempo di Domiziano!).
Ma nulla i Sanniti poterono contro le strategie dei consoli e del Senato che aizzavano e cercavano appoggi tra i loro nemici.
Dunque una delle famiglie più in vista tra i Sanniti era per l’appunto quella dei Ponzio.

Bisogna dire, innanzitutto, che presso i Romani non esisteva il carcere come lo intendiamo oggi noi. Le detenzione non era lunga né aveva lo scopo di redimere (non era nelle loro idee), serviva soltanto per attendere le decisioni. Esse erano tre: o si era assolti, o si era esiliati con la confisca dei beni oppure si era condannati alla pena capitale.

Poi un’altra precisazione: i Romani avevano tre nomi, il praenomen ( che corrisponde al nostro nome), il nomen (che corrisponde al nome della famiglia a cui si apparteneva) ed il cognomen (che era il soprannome).
Il pre-nome era per lo più lo stesso: Marco, Gaio ecc.
Il nome era quello della famiglia (Gens) a cui si apparteneva: i Giuli, i Claudii, i Fabi, i Corneli, i Flavi, ecc. ( questi “nomen” a loro volta derivavano da vari “accidenti” e cioè da ancestrali connotati che si rapportavano a situazioni agricole o pastorali o da tratti somatici o altro). Poiché a lungo andare, con l’aumento della popolazione si creava una certa confusione a questi primi due nomi si aggiunse un cognomen cioè un soprannome che derivava anch’esso da qualche prerogativa fisica o militare o altro.
Ai personaggi più “eccellenti” si aggiungeva ancora un quarto nomen. Così Quinto Fabio Massimo ebbe il titolo di Temporeggiatore (Cunctator), Lucio Cornelio Scipione fruì anche del nome di Barbato per non dire dell’altro più famoso G. Cornelio Scipione detto l’Africano; fino ad arrivare ad “imperator” (comandante vittorioso) che poi diverrà stabilmente il titolo di tutti i consoli che avevano vinto una battaglia e dei futuri imperatori.

Quindi gli elementi più importanti di “questo schieramento di nomi” sarebbero dovuti essere il praenomen e l’appartenenza alla famiglia (Gens) ma, come spesso è accaduto e come avveniva fino a poco tempo fa, le persone si conoscevano non tanto per i cognomi ma soprattutto per i soprannomi. Così Marco Tullio lo conosciamo come Cicerone e Gaio Giulio lo chiamiamo semplicemente Cesare o Gaio Marcio lo chiamiamo Coriolano (conquistatore della città volsca di Corioli).
Nei paesi, poi, il soprannome era “di casa” anche se spesso stravaganti da sembrare offensivi. Ma nessuno si offendeva. Il buontempone di turno ha detto che questo succedeva perché si era più grossolani e sempliciotti, meno suscettibili e cavillosi!
Si racconta, infatti, che, non molto tempo fa, un “furastiero”, giunto sul posto, cercava una persona. La cercava dicendo il suo cognome. Tutti rispondevano di non sapere. Un tale intuì, tramite il soprannome, chi fosse la persona cercata da quel furastiero. Al che tutti risposero di conoscerla: abitava, infatti, proprio lì, dirimpetto.

Oggi che i soprannomi sono spariti se non sulla bocca degli anziani, il problema di trovare una persona da parte di chicchessia (anche del postino) non si pone più con la nuova toponomastica… a quanto pare “uno spezzatino”.
Qualcuno ha detto che questo va di moda e l’ha accostata nientemeno che al campionato di calcio dal momento che le partite, che una volta erano disputate soltanto di domenica nel primo pomeriggio e ci facevano stare con l’orecchio incollato alla radio ad ascoltare il programma “tutto il calcio minuto per minuto”, si susseguono per tutta la settimana senza soluzione di continuità. Ma quello, si sa, è un discorso di quelle “certe” regole che governano il Mondo.
Un altro paventa un gran guazzabuglio e lo accosta nientemeno alla divisione dell’Africa fatta a suo tempo “con la riga e con la squadra” allorché dalla sera alla mattina un figlio si trovò separato dai genitori e un altro dormiva con in piedi in uno Stato e con la testa in un altro: il confine passava proprio in mezzo alla sua capanna: ehm… abitazione!
Ma quelle erano ”facezie” di altri tempi. Oggi, grazie anche agli strumenti offerti dalla moderna tecnologia (internet e quant’altro) sicuramente si sarà fatta un’indagine preventiva e/o conoscitiva per sapere (anche proposti in un elenco) i nomi a cui dedicare le strade e quali strade.
Qualcuno ha detto: “Questo spetta alle generazioni future perché ancora non ne siamo addentro a meno che non si tratta di riscuotere tributi o altro”.

Ma dove sono andato a finire? Qual è il mio indirizzo o, per meglio dire, dove mi indirizzo? Urge tornare al porto (altrimenti la corrente o il maestrale mi porta fuori, al largo, come mi/ci accadde da bambino/i o per meglio dire nelle sue vicinanze.

In genere i Romani non usando il carcere come detenzione a breve, medio e lungo termine, tendevano a mandare in esilio coloro che “davano fastidio”. Questo accadeva soltanto tanto tempo fa (sic!) e soprattutto per i maggiorenti delle popolazioni sottomesse a meno che non venissero uccisi in battaglia o fossero rei di alto tradimento o capi riconosciuti delle rivolte.
Ciò faceva comodo per vari motivi: intanto lo Stato incamerava i loro possedimenti senza spendere un soldo; i vincitori poi, risparmiando i capi, davano la sensazione di non infierire contro la popolazione sottomessa ed infine creavano una sponda, una sorta di testa di ponte, con la popolazione sottomessa. Allorché, infatti, i notabili o i loro discendenti avevano capito la lezione ed erano stati adeguatamente catechizzati sulla romanitas, venivano reintegrati in alcuni possedimenti e rispediti tra la loro popolazione.
Ai maggiorenti infine “conveniva”, perché riacquistavano denaro e l’antico prestigio, anche se con il supporto delle armi romane. Cosicché in caso di bisogno o di rivolta i Romani non solo avevano le colonie come avamposti tra popolazioni potenzialmente ostili ma anche degli alleati tra le popolazioni medesime (una sorta di tarlo o di verme del melo).
Così avvenne in moltissime circostanze. Quando, infatti, qualche città cercò di scrollarsi il giogo di Roma, i notabili difficilmente parteciparono alla rivolta. Anzi, sedata la ribellione, furono rimessi al loro posto dai Romani vincitori. I quali, tra l’altro, avevano anche l’abitudine dell’usa e getta come quando si fecero aiutare dalla legio Campana a sedare la rivolta di Reggio, salvo poi condannare alla pena capitale gli stessi Mamertini, rei, a loro dire, di esser stati troppo feroci.
Ma questa è storia di duemila e duecento anni fa circa. Oggi sicuramente non avviene più.

 

[Girovagando per la storia (1) – Continua]

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