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Epicrisi 254. Le Sardine sanno

di Rosanna Conte
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Finalmente! Possiamo respirare un po’ di  aria pulita, dopo essere stati sommersi dalla mefitica pluriennale lievitazione delle pulsioni più egoistiche e riduttive che sono in noi!
Sarà per poco tempo? Sarà un’illusione? Sarà un primo scalino per risalire la china viscida e sdrucciolevole che abbiamo davanti, alta come una montagna? Non lo so.

Come tutti i movimenti spontanei nati dal basso (Il manifesto delle “sardine”) [2] Seimila sardine potrebbe sgonfiarsi non trovando un canale che possa veicolarne i valori. Ne abbiamo visti tanti negli ultimi venti o trenta anni, ma la partecipazione dei singoli o delle masse in una democrazia per poter diventare una voce di trasformazione ha bisogno di seguire percorsi previsti dalla costituzione. E sono questi canali che non fanno la loro parte.

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Ciò non toglie che possiamo respirare un po’ di aria sana che ci scuote dai nostri ripiegamenti su quel grumo di sentimenti che alberga in ognuno di noi, perché nessuno è esente dalle pulsioni egoistiche che scatenano aggressività e reattività violenta. Coltivarle, tenerle a bada, giocarci a nascondino è una scelta che ognuno di noi fa, ma la può fare liberamente solo se ha gli strumenti per informarsi e comprendere. Se continuiamo a guardare alla cultura con la spocchia sotto il naso, alla scuola come un passaggio obbligatorio noioso che fa perdere solo tempo, alle informazioni che arrivano dalla rete come tutte ugualmente valide senza indagarne la provenienza, non abbiamo molte speranze di essere liberi di scegliere e saremo i servi incoscienti di chi ci rinchiude nel suo recinto.

L’ultimo trentennio ha distrutto scientemente i valori legati al sapere e credo che non saremmo in grado di avere una nostra Malala.  (Lotta senza quartiere di una ragazza che voleva studiare) [4]

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E’ sufficiente aver seguito il dibattito sul nostro sito fra Vincenzo Ambrosino e Enzo di Fazio (Vi faccio conoscere il grande Bolkestein [6]) per capire che la semplificazione non aiuta. Ambedue hanno dovuto argomentare le loro convinzioni e i lettori hanno dovuto armarsi di santa pazienza per seguirli. Eh, sì: è faticoso sapere! Se devo prendere una decisione meglio una scorciatoia! E’ su questo che si innesta il populismo, la machiavelliana oclocrazia, di cui parla Augias in Le sorti della democrazia. Una lezione di Storia [7] e il populismo appartiene sia alla destra che alla sinistra quando degenerano.

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Ma sapere è anche elaborazione del piacere
Se non sai non puoi nemmeno godere della bellezza della fiaba di Cenerentola narrata da Giambattista Basile, Zezolla, e de La Gatta Cenerentola di Roberto De Simone (I bambini e le favole (6). Cenerentola, la storia nel tempo [9]), del film La doppia vita di Veronica (Una canzone per la domenica [10]) o dell’incontro di due culture culinarie nella cena a quattro mani (Cena a quattro mani con Andrea e Gino: racconto con foto [11])

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Sapere è capacità di elaborazione di una  perdita importante  per sé e per la comunità.
Riuscire a mettere a fuoco il contesto in cui un’infanzia è stata vissuta nell’amarezza e nella perdita, come ha fatto Bixio (Omaggio a Bixio [13]), rendendola impronta incontestabile di una parte della comunità ponzese significa oltre che riconciliarsi con se stesso, offrire uno strumento di lettura a chi non sa, per capire chi sono i compaesani che vivono un po’ più in là.

Sapere è non solo riconoscere i luoghi, ma saperli ritrovare e riconoscere, attraverso odori, suoni e colori, nel profondo del proprio animo dove sono radicati da quando li abbiamo vissuti. No, non è nostalgia quella di Pasquale Scarpati in Andare e tornare (3) [14], ma è il piacere di dire chi è, e questo lo può fare solo raccontando quelle parti dell’animo che ha portato sempre con sé.

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Sapere è anche provare a lanciare la fantasia per trovare soluzioni a problemi come quelli della ex-Ilva di Taranto e Rinaldo Fiore ci prova nel commento al pezzo di Silverio Lamonica, Dalla ex- Samip all’ex Ilva. [16]

Sapere è sempre andare oltre il primo impatto con i fatti.
Di chi è la colpa? è l’immediata reazione al naufragio de La Signora del vento, (Mareggiata a Gaeta, seri danni alla Signora del vento [17]), (La brutta notte della Signora del vento [18]) ma poi tante sono le riflessioni che ce ne restituiscono la gravità: perdita economica, perdita di un pezzo di ingegneria navale italiana e della sua storia, perdita per i ragazzi del Nautico di Gaeta che non potranno esercitarsi sul campo nel mestiere per cui si stanno preparando, perdita estetica del porto di Gaeta senza il veliero alla fonda o al molo, perdita di un anello che rafforzava i contatti fra la scuola e il mondo esterno… Insomma c’è molto e l’ampiezza del quadro di conoscenze che circonda il veliero naufragato intensifica o meno la reazione di stupore, dispiacere e rabbia che si scatena al primo impatto.

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Sapere è anche assaporare il “ritorno” definitivo come vittoria sul mare in tempesta, come fa Silverio Guarino in  Il mare: la sua potenza, la sua prepotenza (e la nostra impotenza) [20] o il piacere di andare a ripercorrere una vicenda di seicento anni fa circa per ritrovarvi non tanto l’isola, ma la capacità umana di affrontare l’imprevisto con le proprie conoscenze, come  fa Franco De Luca in La battaglia di Ponza del 1435. Un racconto documentato (1) [21], (2), [22] (3) [23]

Sapere è anche avere contezza che la scoperta di una nuova specie di lucertola non è cosa da poco se viene confermata, perché non è una delle tante che ci sono sull’isola, ma è un unicum: le altre possono riprodursi tra loro, la lucertola di Lataste no perché è una specie a parte. (Due milioni di anni …  e non dimostrarli [24]).

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Sapere è anche avere la consapevolezza che alcune conoscenze che riguardano la propria comunità vanno conservate se si vuole avere un quadro ampio in cui rintracciare le radici di comportamenti e abitudini presenti.

Ma sapere significa anche capire che se si ha un potere, questo va sempre condiviso o reso trasparente per evitare ritorsioni e strumentalizzazioni. (Quattro amici al bar) [26], (L’amore, l’odio e la paura. La toponomastica secondo me). [27]
Conoscere non è sapere e sapere non significa fare cultura: il sapere produce cultura se ha la capacità di trasformare gli individui partendo dalla consapevolezza di sé. Forse leggendo in questa ottica la vicenda della toponomastica riusciamo a scindere la strumentalizzazione dalla critica costruttiva. E sarebbe un altro passo di tipo culturale.

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Non possiamo che chiudere con La lettera aperta sulle concessioni demaniali [29], scritta da Vincenzo Ambrosino agli amministratori comunali di Ponza.

Sapere è anche  assumersi la propria parte di responsabilità.
In una democrazia ogni individuo è portatore di diritti e doveri che è tenuto ad esercitare e il  richiamo ai doveri che gli amministratori hanno verso i cittadini è un diritto che va esercitato sempre, sia per non lasciarsi calpestare sia perché non possiamo abituarci a demandare agli altri tutto, anche il pensiero.

Forse è questo il messaggio che vogliono mandarci le Seimila sardine: chi si è arrogato il diritto di farci sentire sempre in guerra, di farci sentire defraudati, di farci sentire invasi? Chi si è arrogato il diritto di pensare al posto nostro?
Per troppo tempo vi abbiamo lasciato fare: ecco, senza  il controllo rischiamo di trovarci a pensare come non avremmo voluto arrivando perfino a sentire necessaria e ad approvare la presenza di un capo che risolva tutti i nostri problemi con tanti saluti alla nostra democrazia.
Le Seimila sardine vogliono provare a frenare questa deriva e a cambiare il senso di marcia.

Speriamo che ce la facciano!

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