.
Finalmente! Possiamo respirare un po’ di aria pulita, dopo essere stati sommersi dalla mefitica pluriennale lievitazione delle pulsioni più egoistiche e riduttive che sono in noi!
Sarà per poco tempo? Sarà un’illusione? Sarà un primo scalino per risalire la china viscida e sdrucciolevole che abbiamo davanti, alta come una montagna? Non lo so.
Come tutti i movimenti spontanei nati dal basso (Il manifesto delle “sardine”) Seimila sardine potrebbe sgonfiarsi non trovando un canale che possa veicolarne i valori. Ne abbiamo visti tanti negli ultimi venti o trenta anni, ma la partecipazione dei singoli o delle masse in una democrazia per poter diventare una voce di trasformazione ha bisogno di seguire percorsi previsti dalla costituzione. E sono questi canali che non fanno la loro parte.
Ciò non toglie che possiamo respirare un po’ di aria sana che ci scuote dai nostri ripiegamenti su quel grumo di sentimenti che alberga in ognuno di noi, perché nessuno è esente dalle pulsioni egoistiche che scatenano aggressività e reattività violenta. Coltivarle, tenerle a bada, giocarci a nascondino è una scelta che ognuno di noi fa, ma la può fare liberamente solo se ha gli strumenti per informarsi e comprendere. Se continuiamo a guardare alla cultura con la spocchia sotto il naso, alla scuola come un passaggio obbligatorio noioso che fa perdere solo tempo, alle informazioni che arrivano dalla rete come tutte ugualmente valide senza indagarne la provenienza, non abbiamo molte speranze di essere liberi di scegliere e saremo i servi incoscienti di chi ci rinchiude nel suo recinto.
L’ultimo trentennio ha distrutto scientemente i valori legati al sapere e credo che non saremmo in grado di avere una nostra Malala. (Lotta senza quartiere di una ragazza che voleva studiare)
E’ sufficiente aver seguito il dibattito sul nostro sito fra Vincenzo Ambrosino e Enzo di Fazio (Vi faccio conoscere il grande Bolkestein) per capire che la semplificazione non aiuta. Ambedue hanno dovuto argomentare le loro convinzioni e i lettori hanno dovuto armarsi di santa pazienza per seguirli. Eh, sì: è faticoso sapere! Se devo prendere una decisione meglio una scorciatoia! E’ su questo che si innesta il populismo, la machiavelliana oclocrazia, di cui parla Augias in Le sorti della democrazia. Una lezione di Storia e il populismo appartiene sia alla destra che alla sinistra quando degenerano.
Ma sapere è anche elaborazione del piacere
Se non sai non puoi nemmeno godere della bellezza della fiaba di Cenerentola narrata da Giambattista Basile, Zezolla, e de La Gatta Cenerentola di Roberto De Simone (I bambini e le favole (6). Cenerentola, la storia nel tempo), del film La doppia vita di Veronica (Una canzone per la domenica) o dell’incontro di due culture culinarie nella cena a quattro mani (Cena a quattro mani con Andrea e Gino: racconto con foto)
Sapere è capacità di elaborazione di una perdita importante per sé e per la comunità.
Riuscire a mettere a fuoco il contesto in cui un’infanzia è stata vissuta nell’amarezza e nella perdita, come ha fatto Bixio (Omaggio a Bixio), rendendola impronta incontestabile di una parte della comunità ponzese significa oltre che riconciliarsi con se stesso, offrire uno strumento di lettura a chi non sa, per capire chi sono i compaesani che vivono un po’ più in là.
Sapere è non solo riconoscere i luoghi, ma saperli ritrovare e riconoscere, attraverso odori, suoni e colori, nel profondo del proprio animo dove sono radicati da quando li abbiamo vissuti. No, non è nostalgia quella di Pasquale Scarpati in Andare e tornare (3), ma è il piacere di dire chi è, e questo lo può fare solo raccontando quelle parti dell’animo che ha portato sempre con sé.
Sapere è anche provare a lanciare la fantasia per trovare soluzioni a problemi come quelli della ex-Ilva di Taranto e Rinaldo Fiore ci prova nel commento al pezzo di Silverio Lamonica, Dalla ex- Samip all’ex Ilva.
Sapere è sempre andare oltre il primo impatto con i fatti.
Di chi è la colpa? è l’immediata reazione al naufragio de La Signora del vento, (Mareggiata a Gaeta, seri danni alla Signora del vento), (La brutta notte della Signora del vento) ma poi tante sono le riflessioni che ce ne restituiscono la gravità: perdita economica, perdita di un pezzo di ingegneria navale italiana e della sua storia, perdita per i ragazzi del Nautico di Gaeta che non potranno esercitarsi sul campo nel mestiere per cui si stanno preparando, perdita estetica del porto di Gaeta senza il veliero alla fonda o al molo, perdita di un anello che rafforzava i contatti fra la scuola e il mondo esterno… Insomma c’è molto e l’ampiezza del quadro di conoscenze che circonda il veliero naufragato intensifica o meno la reazione di stupore, dispiacere e rabbia che si scatena al primo impatto.
Sapere è anche assaporare il “ritorno” definitivo come vittoria sul mare in tempesta, come fa Silverio Guarino in Il mare: la sua potenza, la sua prepotenza (e la nostra impotenza) o il piacere di andare a ripercorrere una vicenda di seicento anni fa circa per ritrovarvi non tanto l’isola, ma la capacità umana di affrontare l’imprevisto con le proprie conoscenze, come fa Franco De Luca in La battaglia di Ponza del 1435. Un racconto documentato (1), (2), (3)
Sapere è anche avere contezza che la scoperta di una nuova specie di lucertola non è cosa da poco se viene confermata, perché non è una delle tante che ci sono sull’isola, ma è un unicum: le altre possono riprodursi tra loro, la lucertola di Lataste no perché è una specie a parte. (Due milioni di anni … e non dimostrarli).
Sapere è anche avere la consapevolezza che alcune conoscenze che riguardano la propria comunità vanno conservate se si vuole avere un quadro ampio in cui rintracciare le radici di comportamenti e abitudini presenti.
Ma sapere significa anche capire che se si ha un potere, questo va sempre condiviso o reso trasparente per evitare ritorsioni e strumentalizzazioni. (Quattro amici al bar), (L’amore, l’odio e la paura. La toponomastica secondo me).
Conoscere non è sapere e sapere non significa fare cultura: il sapere produce cultura se ha la capacità di trasformare gli individui partendo dalla consapevolezza di sé. Forse leggendo in questa ottica la vicenda della toponomastica riusciamo a scindere la strumentalizzazione dalla critica costruttiva. E sarebbe un altro passo di tipo culturale.
Non possiamo che chiudere con La lettera aperta sulle concessioni demaniali, scritta da Vincenzo Ambrosino agli amministratori comunali di Ponza.
Sapere è anche assumersi la propria parte di responsabilità.
In una democrazia ogni individuo è portatore di diritti e doveri che è tenuto ad esercitare e il richiamo ai doveri che gli amministratori hanno verso i cittadini è un diritto che va esercitato sempre, sia per non lasciarsi calpestare sia perché non possiamo abituarci a demandare agli altri tutto, anche il pensiero.
Forse è questo il messaggio che vogliono mandarci le Seimila sardine: chi si è arrogato il diritto di farci sentire sempre in guerra, di farci sentire defraudati, di farci sentire invasi? Chi si è arrogato il diritto di pensare al posto nostro?
Per troppo tempo vi abbiamo lasciato fare: ecco, senza il controllo rischiamo di trovarci a pensare come non avremmo voluto arrivando perfino a sentire necessaria e ad approvare la presenza di un capo che risolva tutti i nostri problemi con tanti saluti alla nostra democrazia.
Le Seimila sardine vogliono provare a frenare questa deriva e a cambiare il senso di marcia.
Speriamo che ce la facciano!
vincenzo
24 Novembre 2019 at 10:30
Ti ringrazio cara Rosanna con questa tua epicrisi hai aperto per fortuna una nuova settimana di dibattito.
Per esempio: “le sardine sono apartitiche?” “Quali sono i veri valori di sinistra e quali sono i valori di questi giovani” “Il PD è un partito di Sinistra?” “Qual è il nuovo campo di battaglia per una vera lotta di classe?”.
Ma oggi vorrei che spiegassi meglio questa tua: “Ma sapere significa anche capire che se si ha un potere, questo va sempre condiviso o reso trasparente per evitare ritorsioni e strumentalizzazioni. (Quattro amici al bar), (L’amore, l’odio e la paura. La toponomastica secondo me).
Conoscere non è sapere e sapere non significa fare cultura: il sapere produce cultura se ha la capacità di trasformare gli individui partendo dalla consapevolezza di sé. Forse leggendo in questa ottica la vicenda della toponomastica riusciamo a scindere la strumentalizzazione dalla critica costruttiva. E sarebbe un altro passo di tipo culturale.”
Che vuoi dire? Ti rivolgi alla Commissione e dici loro di rivedere quello che hanno fatto perché “pur sapendo, non hanno prodotto cultura, perché non sono partiti dalla consapevolezza del sé? Il sé di chi? Dei cittadini ponzesi o dei membri della Commissione?
Ma praticamente come vedi il lavoro fatto dalla commissione per la toponomastica?
Rosanna Conte
24 Novembre 2019 at 16:07
Caro Vincenzo molte sono le tue domande e tutte richiedono risposte articolate che non sarebbe il caso di sviscerare in una risposta ad un commento, ma ce lo concediamo
Non ho letto le risultanze della Commissione, quindi non entro nel merito, ma solo nella procedura, e come premessa voglio sottolineare che quando diciamo che a Ponza manca la cultura politica con la partecipazione attiva, diciamo anche che fra gli impegni degli amministratori progressisti c’è quello di incidere sui comportamenti per sviluppare un più ampio senso di cittadinanza.
Se vogliamo fare cultura, cioè trasformare i comportamenti, non possiamo fermarci a comunicare il nostro sapere, dobbiamo anche indicare i valori comportamentali che quel sapere implica. E l’indicazione, più che a parole, va data col comportamento personale. Cioè è inutile che io, tu , la commissione o chiunque altro predichi il sacro verbo se poi praticamente non riusciamo a far capire dov’è il cambiamento col nostro modo di operare quotidianamente: veniamo strumentalizzati da chi ha altri valori, specie i decisionisti che non pretendono di voler fare i democratici, come parolai .
In questo la Commissione ha un po’ zoppicato perché non ha fatto tutti gli incontri utili a sondare le opinioni e i sentimenti della cittadinanza. Ma questa è una scelta che nulla ha a che vedere con la legalità del suo operato.
L’errore della Commissione è stato, piuttosto, quello di non aver comunicato con le dovute motivazioni le scelte prima dell’attacco degli avversari. E’ un gioco politico, se ben vedi: chi attacca per primo delimita il terreno di scontro e se non si è molto scafati non si riesce ad uscirne rimanendo al tappeto.
Ed è questo il problema della politica odierna, priva di voci concrete, che per imporsi abbaia in continuazione a stordire menti e sentimenti.
Le sardine, a ben guardare si inseriscono in queste pieghe. Non è chiaro dove andranno, ma per ora ci sono e dicono che esistono persone che non vogliono abbaiare alla luna. E danno fastidio. Se vuoi sapere se sono di destra o di sinistra ascolta quelli che li attaccano, perché già è incominciato il martellamento: non sono apolitici!. Bella scoperta: nessuno è apolitico anche quello che non sa niente di politica fa politica perché col suo disinteresse e la sua apatia favorisce il potente di turno.
Sono le proposte e le modalità di azione che possono dare indicazioni, ma per ora non ci sono perché non era loro intenzione arrivare a tanto. Dovranno elaborarle e allora si vedrà la vera anima dal movimento.
vincenzo
24 Novembre 2019 at 16:32
La commissione toponomastica non ha sbagliato perché non ha saputo comunicare ma perché non ha interpretato nel giusto modo il regolamento: non cambiare i nomi alle strade ma dare un nome alle strade che non l’hanno. Quindi non ha ragione chi attacca per primo ma chi applica i regolamenti in base allo spirito del regolamento: migliorare la vita civile dei cittadini non complicandogliela ulteriormente come è avvento. Per quanto riguarda “le sardine” io ti posso dire, per adesso, che “sono meglio delle alici” per abboccare alle politiche globaliste.
Biagio Vitiello
24 Novembre 2019 at 18:19
Il panorama politico si è arricchito stamane di una nuova specie zoologica italica: i Pinguini. Ma qui, su questo scoglio, non ci sono né sardine e né pinguini, ma solo rotunni .
La filosofia del rotunni, come sappiamo tutti, è determinata dal fatto che qui mancano molte cose essenziali in tutti i settori del vivere civile. Ma una cosa che non si riesce a capire, è che manca la coesione. Così “non vincoli, ma sparpagliati”, ognuno si attrezza come meglio crede, salvo poi – cosa comune a tutti noi indigeni – lamentarsi quando i propri interessi sono colpiti, o messi a repentaglio.
Ma a quelli che non vivono di turismo e pesca chi ci pensa? Forse non esistono? O vengono ignorati perché si crede che non contano nulla?
Firmato: uno dei tanti rotunni ponzesi, che spera un giorno di diventare… Balena bianca