di Sandro Vitiello
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Nei ricordi della mia infanzia c’era un rito che si ripeteva ogni anno, in occasione della festa dei morti, a casa della mia nonna materna alla Montagnella.
Apollonia – la madre di mia madre – era una donna di fede, molto benvoluta perché, tra le altre cose, aveva la capacità di raccontare come stavano i parenti lontani, cosa c’era da aspettarsi dal futuro e che fine avevano fatto persone di cui si era perso ogni contatto.
Mia nonna con la mente era capace di viaggiare nel tempo e nello spazio e quando tornava portava le informazioni che le famiglie ponzesi andavano cercando.
A volte portava brutte notizie e quelle bisognava farle accettare con la dovuta attenzione.
Ma non siamo qui a raccontare questa parte della vita della moglie di Salvatore Balzano. Voglio invece raccontare un fatto che interessava noi bambini, i nipoti di quella donna.
Il giorno dei morti, una volta tornati dal cimitero, si passava dalla nonna che, quando era sicura che tutti i nipoti erano seduti per terra intorno a lei, apriva una cassapanca dentro la quale c’erano le cose più buone che un bambino di una sessantina di anni fa a Ponza poteva desiderare.
Fichi secchi, mostarde di fichi d’India e altri prodotti dolci della cultura alimentare della nostra gente.
In quella cassa di legno c’era ogni ben di Dio e quella anziana signora lo dispensava con piacere ai suoi nipoti; era quanto aveva provveduto a mettere via nei mesi precedenti.
Questo momento era stato preceduto comunque da un altro piacevole appuntamento.
La notte tra il primo ed il due novembre – la notte dei morti – i bambini lasciavano come al solito le scarpe vicino al letto ma con la speranza di vedersele riempire di dolciumi.
I morti tornavano tra i vivi e lasciavano un segno tangibile del loro passaggio con quei dolci lasciati ai bambini.
In tutte le culture e religioni c’è il culto dei morti.
In qualsiasi latitudine ci sono riti o appuntamenti che permettono di rinnovare il legame con quanti ci hanno preceduto.
In alcune parti del mondo questo fatto è legato anche a manifestazioni che ai nostri occhi potrebbero sembrare poco rispettose del mondo dei morti, ma non c’è niente di blasfemo nella mente di chi le pratica. Ognuno se le vive come meglio crede.
Una ventina di anni fa mi ero fatto promotore, per conto dei commercianti del comune in cui facevo il ristoratore, di organizzare la prima festa di Halloween. Una serata in piazza che coinvolgesse soprattutto i bambini.
Concordammo l’iniziativa con un gruppo di persone e incominciammo a pubblicizzarla.
Di lì a poco arrivò “la scomunica” del parroco che ci ricordò quanto fosse “blasfema” l’iniziativa.
Decidemmo comunque di portare avanti la cosa e tra torte di carote e risotto con la zucca serviti in piazza in una bella serata di fine ottobre, la festa ebbe un successo indescrivibile.
Più di tremila persone in piazza e quasi tutte con qualcosa addosso che ricordasse l’appuntamento.
I bambini erano i più originali ma c’erano pure tante mamme che avevano passato il pomeriggio a sistemare il trucco e il costume.
Tutto quanto era stato preparato andò consumato e ovviamente non bastò.
Fu un grande successo e l’iniziativa venne ripetuta per diversi anni. Addirittura si dovette fare un calendario per portarla nei vari quartieri, per non fare “figli e figlistri”.
Ogni tanto, in prossimità di questo appuntamento, mi capita ancora di leggere qualche post su facebook in cui viene ricordato che non è bene festeggiare Halloween in quanto è una festa pagana importata dall’America e contraria ai principi della chiesa di Roma.
Lasciamo stare i pagani e la chiesa di Roma e godiamoci questa festa senza attribuirle significati particolari.
Perché, a ben vedere, mia nonna – donna di fede – anche se non era andata in America, ai morti suoi ci teneva.
E ne approfittava per fare festa con i nipoti.
31 ott. h 21,30
Riceviamo in redazione questa vignetta e con piacere la annettiamo all’articolo:
Luisa Guarino
31 Ottobre 2019 at 14:56
Anche a me non piace festeggiare Halloween, seppure per un motivo molto più semplice: lo ritengo una forzatura per le nostre consuetudini, un’americanata. Ma è diventato un business, un evento commerciale come tanti: e se serve a smuovere il mercato… Anche io, come ricorda Sandro, quando ero piccola insieme a mio fratello la sera del l’1 novembre deponevo le pantofole ai piedi del letto e al mattino le trovavo piene di leccornie, portate, come ci dicevano mamma e nonna, dai nostri cari defunti. Ho provato a rinnovare la tradizione con mio figlio, e credo di averlo già scritto; senonché lui, che pure era piccolo, facendo ironici e pesanti riferimenti a zombie e a chissà cosa’altro… mi ha fatto immediatamente desistere. A proposito di Halloween però ricordo anche un episodio legato ai miei esami da giornalista professionista, fatti proprio tra fine ottobre e primi di novembre di tanti anni fa. Tra le altre prove, dovevamo fare un compendio-commento di alcuni articoli di giornale. Tra questi ce n’era uno scritto dal cardinale Carlo Maria Martini, scomparso nel 2012, il quale criticava duramente la “nuova” moda di Halloween. Ricordo che il titolo era “No Martini, no party”: avete presente quella pubblicità che andava allora? Beh! Tra un ghigno, un teschio e una zucca, un sorriso ci sta.
La Redazione
31 Ottobre 2019 at 21:47
Riceviamo in redazione una vignetta in tema di Halloween e con piacere la annettiamo all’articolo di base