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Giocare con la lingua. Il lonfo

 

proposto da Sandro Russo

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Chiacchiere tra amici. Viene fuori una parola, forse un animale (?): il lonfo
…E parte una serie di associazioni e storie non frequentate da anni.

Così, visto che ormai il lonfo è scappato, sarà il caso di parlarne.
I lettori del sito già conoscono Fosco Maraini (Firenze, 1912 – 2004), il padre etnologo, scalatore, scrittore e fotografo della scrittrice Dacia Maraini; ne ha scritto Gabriella Nardacci, leggi qui qui.

Grande fantasia di sperimentatore della lingua, Fosco fece uscire nel 1978 un libro pieno di strane poesie – Gnòsi delle Fànfole -, del genere che i linguisti definiscono metasemantica:

“La metasemantica, nell’accezione proposta da Maraini, va oltre il significato delle parole e consiste nell’utilizzo di parole prive di significato, ma dal suono familiare alla lingua a cui appartiene il testo stesso e della quale deve seguire comunque le regole sintattiche e grammaticali. Dal suono e dalla posizione all’interno del testo si possono attribuire significati più o meno arbitrari a tali parole” (da Wikipedia).
E questo è Il lonfo:

Il Lonfo non vaterca né gluisce
e molto raramente barigatta,
ma quando soffia il bego a bisce bisce
sdilenca un poco e gnagio s’archipatta.

È frusco il Lonfo! È pieno di lupigna
arrafferia malversa e sofolenta!
Se cionfi ti sbiduglia e ti arrupigna
se lugri ti botalla e ti criventa.

Eppure il vecchio Lonfo ammargelluto
che bete e zugghia e fonca nei trombazzi
fa lègica busìa, fa gisbuto;

e quasi quasi in segno di sberdazzi
gli affarferesti un gniffo. Ma lui zuto
t’alloppa, ti sbernecchia; e tu l’accazzi.

Un interesse per l’uso di parole inconsuete era anche di Tommaso Landolfi (1908-1979, originale scrittore poco noto al grande pubblico; e anche di Emilio Gadda e Stefano D’Arrigo, grandi cultori di dialetti e creatori di termini gergali neologismi.

Questo gioco sulla lingua somiglia anche un po’ al grammelot, portato alla notorietà da Dario Fo, che per musicalità e cadenza confonde l’uditore facendogli credere di trovarsi davanti a una lingua conosciuta mentre è invece incomprensibile.
Così spiega Dario Fo il grammelot: (…) gioco onomatopeico di un discorso, articolato arbitrariamente, ma che è in grado di trasmettere, con l’apporto di gesti, ritmi e sonorità particolari, un intero discorso compiuto. In questa chiave è possibile improvvisare – meglio, articolare – grammelot di tutti i tipi riferiti a strutture lessicali le più diverse. La prima forma di grammelot la eseguono senz’altro i bambini con la loro incredibile fantasia quando fingono di fare discorsi chiarissimi con farfugliamenti straordinari (che fra di loro intendono perfettamente).

Le chiacchiere sul Lonfo hanno avuto anche il merito di farmi ricordare le lezioni dedicate alla “lingua inventata”, dei tempi in cui frequentavo i Corsi della scuola di scrittura di Omero, e gli esercizi che alcuni begli ingegni di quella classe produssero allora. Se l’argomento sarà gradito ai lettori li tirerò fuori.

Ma ascoltiamo ora una versione de Il Lonfo da Gigi Proietti (da Parla con me, Rai Tre; stagione 2006-’07) con il testo in sovra-impressione sulle immagini:

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E infine il bel video di una piccola di tre anni, che ripete la poesia dietro al suo papà, dimostrandosi i bambini i più formidabili creatori di neolingue…

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Allegato al Commento si Sandro, in risposta a Isidoro: una possibile traduzione” de Il Lonfo, in italiano corrente:

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3 Comments

3 Comments

  1. vincenzo

    17 Ottobre 2019 at 10:00

    Non tutti amano giocare con la lingua, c’è chi utilizza la lingua per far comprendere cosa sta succedendo al ceto medio e ai precari di tutto il mondo sotto i nostri occhi.

    L’élite finanziaria contro il contante e l’evasione del ceto medio. I grandi capitali sono garantiti dai paradisi fiscali. E’ un po’ come il LONFO, ogni giorno se ne inventano una nuova per fare i loro interessi. 1% rende schiavi il 99% della popolazione mondiale.

    https://www.youtube.com/watch?v=LGNyikFK7Z8

  2. isidorofeola

    17 Ottobre 2019 at 16:05

    Il linguaggio del Lonfo è simile al Lunfardo (o Lunfa) argentino.
    Di questo idioma ci parlava, al circolo culturale Gianni Bosio di Roma, il musicista argentino Enrique Camara (che Sandro Russo ricorderà bene); negli anni settanta, in fuga dalla dittatura dei colonnelli, giunse ad insegnare musica e vari strumenti a Roma. Tra le varie attività fece un corso sul tango (sia storico che coreografico) cui partecipai per il contagioso entusiasmo che Enrique riusciva a trasmettere in ogni cosa che organizzava.
    Il Lunfardo (Lunfa) era un… “parlare” composito che i “portegni” (abitanti del porto di Buenos Aires) utilizzavano tra di loro per non farsi capire dalle autorità, soprattutto dai carcerieri, allorquando (e succedeva spesso) frequentavano le carceri perché vi era un alto tasso di criminalità. Poi diventò un normale slang che parlavano tra di loro quando c’erano forestieri.
    Veniva molto utilizzato dai primi compositori di tango che frequentavano i bassifondi della capitale argentina.
    Inizialmente era un ballo (quasi una lotta) tra soli uomini, ritmata dalla musica struggente del bandoneon; poi si trasferì nei postriboli, ed infine venne sdoganato, quando arrivò nei salotti di Parigi, divenendo un ballo di coppia.
    Con il ritorno della democrazia in Argentina, Enrique si trasferì in Spagna dove divenne addetto culturale dell’ambasciata argentina a Madrid.
    Da qualche anno è professore di Etnomusicologia presso l’Università di Valladolid, sempre in Spagna.

  3. Sandro Russo

    17 Ottobre 2019 at 18:48

    Caro Isidoro, ricordo con molto affetto Enrique Càmara, ineguagliabile maestro di musica e di vita: l’avevo perso di vista e sono contento che abbia trovato un ruolo adeguato alle sue capacità.
    Però credo che la poesia Il Lonfo, malgrado l’assonanza del nome, sia cosa diversa rispetto al Lunfardo (o Lunfa), sorta di argot in lingua spagnola utilizzato nelle città di Buenos Aires e Montevideo. Se ricordo bene questo è fatto invertendo l’ordine delle sillabe di una singola parola o inserendo dei dittonghi al loro interno; similmente ad alcuni giochi di bambini.
    I giochi linguistici di Fosco Maraini sono deformazioni e assonanze “colte” di tutt’altra natura, tanto che della poesia proposta è stata tentata anche una “traduzione”.

    Le due versioni a fronte nell’articolo di base

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