Iodice Emilio

L’abito blu (1)

di Emilio Iodice –
(Traduzione di Silverio Lamonica)

 .

– “Mamma per piacere, prendi l’abito blu che hai comprato per papà. Voglio che incontri il mio nuovo capo” – Dissi, telefonando a mia madre e aggiunsi: “Per favore, mettici anche una bella camicia bianca”.

Eravamo a metà degli anni ’70 e vivevamo a Washington DC. Lavoravo per il Governo americano. La mia carriera proseguiva in modo spettacolare. Fui più volte promosso e, a 32 anni, stavo per diventare il più giovane dirigente in carriera della storia degli Stati Uniti d’America. Ero un servitore dello Stato, mai attaccato a qualche partito politico, a politici o a cause politiche. Ero un indipendente ed era chiaro che nessuno mi aiutava a salire in alto. Il mio successo era dovuto all’educazione, alla preparazione e allo sforzo tremendo in un sistema di meritocrazia, alla buona sorte e a Maria Teresa: una moglie splendida che tollerava i miei ritmi, aiutandomi a dedicare il poco tempo che avevo a lei e ai figli.

Silverio Iodice e Lucia Sandolo

Mio padre Silverio Iodice e mia madre Lucia Sandolo venivano spesso a farci visita. Le mie figlie gemelle, Cristina e Francesca, avevano tre anni. Maria Teresa ed io eravamo profondamente affaccendati perché dovevamo stabilirci nella capitale della nazione.

Emilio e Maria Teresa Iodice

Lei, in particolare, lavorava duramente per sostenere la mia estenuante carriera che comprendeva dodici ore giornaliere di lavoro, anche nei fine settimana, oltre all’insegnamento in corsi serali universitari e la preparazione per il mio dottorato. Dire che stavamo “bruciando la candela alle due estremità e nel mezzo” è un po’ rendere l’idea.

Cancello d’ingresso dell’Università riservato ai professori

Spesso mi portava a cena all’Università George Washington, dove frequentavo le lezioni di dottorato che duravano dalle sette del pomeriggio fin quasi a mezzanotte. Lei guidava con le ragazze che dormivano sul sedile posteriore, poi mi consegnava la borsa con la colazione ed infine mi dava un bacio e via. Dovevamo affrontare un sacrificio dopo l’altro per Dio, la famiglia e il mondo. L’unica ricompensa per questa eccezionale ragazza romana, era una vacanza estiva a Ponza, ogni anno.

Era un ragazzo, quando Silverio Iodice venne dall’isola, era senza un soldo, con la terza elementare e, quando sbarcò a New York nel 1929, non riusciva a spiccicare una parola in inglese. Sopravvisse ed ebbe successo nel Nuovo Mondo, perché era forte, gran lavoratore, onesto, audace e coraggioso. Mai dimenticò le sue radici.

Verso Palmarola

Non passava giorno senza nominare l’isola e il suo santo patrono, san Silverio; credeva che lo avesse salvato dalle gelide acque di Palmarola quando, nel febbraio del 1929, la sua barca affondò. Quei momenti rimasero incisi nella sua mente. Per tre giorni e tre notti rimase aggrappato ad un piccolo scoglio in mezzo al mare, mentre uno squalo affamato gli girava intorno, aspettando il momento adatto per attaccarlo. Morirono in cinque ed altrettanti sopravvissero. Silverio era convinto che il suo santo lo sottrasse alla tomba in quell’acqua. Ora, dopo circa cinquant’anni, si sentiva orgoglioso di essere italiano, americano e ponzese.

“Nessuno ebbe mai onori per ciò che ricevette.
L’onore fu il premio per ciò che diede”
(Calvin Coolidge)

Mamma era una bimba che apparteneva ad una delle famiglie più in vista di Ponza, composta da undici, tra fratelli e sorelle. Suo padre era Salvatore Sandolo e sua mamma era Maria Aprea. Due famiglie sane, sagge e intelligenti, unite per creare generazioni di persone che avrebbero cambiato il volto di Ponza. Il padre di Lucia aveva una flotta di golette da pesca, piene di marinai che prendevano le aragoste e le trasportavano vive a Marsiglia e Barcellona, per essere poi distribuite in tutta Europa. Lo zio di Lucia, Don Francesco Sandolo, era il parroco dell’isola; era un simbolo di energia, di educazione e di fede. Da questo ceppo vennero fuori avvocati, notai, dottori, ingegneri, meccanici e farmacisti, oltre a politici, tra cui un sindaco. Per quasi un secolo dominarono gli affari di Ponza, aiutandola a crescere, prosperare e cambiare.

New York, la Statua della Libertà

Lucia lavorava nel negozio di famiglia, mentre Silverio era uno scaricatore di porto, nel porto di New York. Durante la seconda guerra mondiale, caricò bombe e proiettili nella darsena della Marina Militare a Brooklyn e ogni giorno vedeva navi salpare, dirette ai teatri bellici in Europa o nel Pacifico; molte non le avrebbe viste ritornare mai più.

Silverio Iodice e i figli Ralph ed Emilio

Mio fratello Ralph era un eccellente meccanico e aveva una fiorente attività di autotrasporto. Papà era orgoglioso dei suoi figli. La nostra era una famiglia di persone che lavoravano dalla mattina alla sera e raramente si fermavano. Non andavamo mai in vacanza. Il nostro unico giorno di festa era il 20 giugno, la festa di San Silverio.

Foto e citazione di Calvin Coolidge: “In questo mondo non c’è nulla che possa sostituire la perseveranza. Non lo può il talento: niente è più comune di uomini con talento, ma senza successo. Non lo può il genio: un genio non ripagato è per lo più proverbiale. Non lo può l’educazione: il mondo è pieno di derelitti educati. Le uniche qualità onnipotenti sono soltanto la perseveranza e la determinazione”.

Dal momento in cui raggiunsi Washington, sviluppai una potente etica del lavoro. Non guardavo mai l’orologio, lavorando instancabilmente. Controllavo e ricontrollavo con cura il mio lavoro, perché sapevo che era qualcosa di serio, importante e che poteva cambiare il mondo. Studiavo avidamente e velocemente. Leggevo, assimilando 2.500 vocaboli al minuto e mi servì molto, quando dovevo analizzare montagne di documenti segreti e metterli in relazione con la memoria, nelle riunioni con le più alte sfere del nostro governo.

Papà non aveva idea della complessità del mio lavoro. Tutto ciò che sapeva, era che io avevo un ufficio in Pennsylvania Avenue, nel cuore della capitale del paese che lui adorava.

Cerimonia in onore dei militari americani caduti in guerra

Spesso visitavamo un luogo speciale che lui sentiva sacro, il Cimitero Nazionale di Arlington. Disse: “Figliolo, devi sapere che 400.000 uomini e donne riposano in questa terra. Morirono per noi e per liberare il mondo dalla tirannia. Durante la seconda guerra mondiale, due milioni tra i figli migliori d’America, andarono a combattere in Europa e nel Pacifico. Molti non tornarono più e adesso sono sepolti nel vecchio continente e in Asia”.
Silverio Iodice piangeva, quando parlava dei sacrifici fatti dagli Stati Uniti per la libertà.

Cerimonia funebre per un militare americano

Immagine di copertina: Veduta di Washington DC

[L’abito blu (in due puntate). (1) – Continua]

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