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Epicrisi 247. Fuoco fuochino…

di Giuseppe Mazzella
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Settimana illuminante. Finalmente ci siamo, o quasi. Dopo analisi di anni nelle quali abbiamo sviscerato animo e mentalità di noi isolani, soprattutto i giovani si stanno avvicinando al cuore dei problemi.
Veramente notevole l’analisi fatta da Martina Carannante (leggi qui [2]) che ha presentato con grande coscienza e maturità e con tutta la forza della sua giovinezza, l’impegno di vivere a Ponza, che comporta un severo atteggiamento, concreto e quotidiano, con responsabilità diretta nella tutela del territorio e nella salvaguardia della propria identità.

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Altrettanto illuminante il commento allo stesso articolo di Silveria Aroma, che sottintende ad un profondo radicamento a Ponza e alla straordinaria “diversità” isolana.
A coronamento del ragionamento arriva la valutazione ironica di Umberto Prudente (leggi qui [4]), che ravvisa una verità che è sotto gli occhi di tutti: passata la “bella stagione” nessuno o pochi intendono passare il resto dell’anno a vivere e a lavorare nell’isola.

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Ci abbiamo messo un po’, ma ci stiamo arrivando: Ponza non potrà sopravvivere se non cambiando la mentalità che si è andata formando negli ultimi decenni: lavorare un ridotto numero di mesi e poi bivaccare più o meno a Ponza o in “continente” per il resto del tempo.
In questo quadro – che comporta una scelta di vita veramente vocazionale – nulla o poco possono i collegamenti migliori, un’assistenza medica garantita soprattutto per le persone anziane, una scuola migliore e fosse pure un intenso calendario di attività culturali.
Una comunità per vivere bene deve sviluppare la sua vita sociale e lavorativa nell’arco dell’intero anno. In uno dei miei primi interventi su questo sito immaginavo che la popolazione ponzese potesse raggiungere i 6000 abitanti, un numero sufficiente per riattivare un percorso virtuoso di lavoro e di vita civile. Non solo, va anche rilevato, purtroppo, che in questi otto anni e passa di vita del sito non solo non è aumentato il numero dei residenti, ma stiamo scendendo pericolosamente la china.
Qualsiasi progetto politico – e negli ultimi mesi tanti sono quelli che si stanno proponendo con idee e nuove soluzioni -, avrà nessuna o poca efficacia se non modifichiamo mentalità e invertiamo la rotta.
Ecco perché, e questo suggerimento è indirizzato a tutti e soprattutto all’attuale amministrazione, ogni progettualità di successo deve avviarsi non solo verso la stabilizzazione degli abitanti, ma a creare nuove opportunità di lavoro, invogliando soprattutto i giovani a proporsi con nuove idee per la realizzazione delle quali vanno aiutati. Con la stabilizzazione dell’offerta di servizi e di opportunità, i collegamenti e tutto quello che ne consegue verranno in automatico.

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In tutto questo la tenace e ostinata domanda che Vincenzo Ambrosino da tempo rivolge all’attuale amministrazione, ma questo vale per tutte le amministrazioni, non può non essere condivisa.
Va però anche aggiunto che ogni cittadino è corresponsabile dell’andamento del proprio Paese, certamente con gradi diversi, così come con il proprio esempio è possibile collaborare al cambiamento, anche nelle piccole cose.

Sorvolo sulle capre a Palmarola di cui commenta Biagio Vitiello (leggi qui [7]), che può senz’altro essere considerato un problema “di lana caprina” utile a progettualità di cui si stenta a capirne l’utilità, così come credo si possa by-passare la “notizia” vecchia non di anni, ma di decenni, su Zannone e la “mitologia” dei Casati (leggi qui [8]), come giustamente fa osservare ancora Biagio. A volte anche riviste blasonate sono costrette a far girare le rotative pur di riempire spazi.

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Non si può, però, glissare sulla richiesta di chiarimenti fatto dallo stesso Biagio Vitiello su alcune delibere comunali (leggi qui [10]) sulle quali l’amministrazione non può non rispondere.

In questa settimana Franco De Luca (leggi qui [11]), con una delle sue ormai immancabili “confessioni” della memoria, ci restituisce la magia di un’isola silenziosa e di una luna che avevamo dimenticato di guardare. Dopo la poesia, però, lo stesso Franco passa alla prosa del papiniano tragico quotidiano (leggi qui [12]), soffermandosi ed analizzando ancora una volta la situazione amministrativa del nostro Paese, invitando tutti a collaborare e ad unirsi in un progetto di bene comune.

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A commento del suo intervento Vincenzo Ambrosino, con la solita acribia, sottolinea la necessità di invitare gli amministratori a fare chiarezza su quanto fatto e soprattutto su quanto si intende proporre e realizzare per il futuro. Proprio in questi giorni, la nostra Ponza è stata minacciata da nere trombe d’aria, quasi a sottolineare plasticamente il momento difficile che stiamo attraversando. Resto, però, convinto, nonostante tutto, che le difficoltà rappresentano una grande opportunità di cambiamento, se sapute gestire.

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Emilio Iodice con i suoi racconti dal Bronx (leggi qui [15] e qu [16]i) ancora una volta ci immerge nel cuore e nella mente dei ponzesi emigrati negli Stati Uniti d’America nei primi decenni del novecento e con gli occhi del padre ricorda le fatiche, i sacrifici, le piccole storie e anche le tragedie, assieme ad un orgoglioso senso del dovere, dei nostri concittadini che hanno dovuto affrontare sfide al limite della sopravvivenza e resistere all’abbagliante fascino della ricchezza facile. Un insegnamento che valeva allora e tanto più vale oggi, in un’epoca nella quale il vivere facile e senza grosso impegno sembra essere diventato il nuovo credo. La bella traduzione dell’ormai “anglista ad honorem” Silverio Lamonica, restituisce al racconto quella accorata partecipazione che prende il nostro cuore.

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Tutti sanno che “ricordare” è parola bellissima, che significa “riportare al cuore”, ed Emilio, tradotto da Silverio, ci riporta al nocciolo del nostro più profondo DNA di ponzesi, che possiamo cogliere anche nella richiesta tenera e disarmante della nostra lettrice ottantenne Cettina che dal Canada [18] ci chiede di avere una conchiglia dell’isola per ascoltare il rumore del mare.