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Settembre. Le rughe

di Francesco De Luca
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Settembre. Mi faccio condizionare dal passato in cui questo mese era dedicato alla circospezione. Venivano controllati i raccolti estivi e commisurati coi bisogni invernali. La circospezione cui mi accingo riguarda la riflessione su ciò che conta per vivere in sintonia con se stesso in rapporto con quanto si perderà nel consumo, vano e ininfluente, dei giorni.

Leggo questo Rughe e trattengo il respiro. Mi illudo, per breve, di fermare il tempo.

Rughe
Mi parla seduta sullo sgabello, nell’aia accecante. Ha ottantanove anni. È magra e vivace. Veste di nero e porta al collo il fazzoletto per coprirsi il capo, acconciato con la treccia avvolta a cipolla dietro la nuca. Alla vita ha un cordone con una piastra di ferro sul lato destro (’a ciappa). Le serve per il lavoro a maglia con i ferri. E infatti sta armeggiando con essi per fare calzini di lana, necessari quando si sfida l’inclemenza del mare. Ora non è più il marito ad averne bisogno, bensì i nipoti. Ed ella passa l’estate così. E ricorda. Ha una figura minuta e cadente. Sul viso un intreccio impressionante di rughe. Come una rete cifrata di segni, che il tempo passando vi ha tessuto. Due occhi attenti in un viso scuro. Cotto dal sole e dall’aria salina.

Ricorda… e la memoria trabocca di fatti e di persone. Accenna appena alle sofferenze patite e si sofferma prolissa sui momenti di gioia. A sentir lei la miseria del passato non c’è mai stata. I campi davano ortaggi e legumi in estate. E le provviste venivano insaporite dal sole. In autunno l’uva riempiva d vino le cantine. Dove pendevano le pale dei fichidindia, le pigne d’uva per il cenone di Natale, le trecce di cipolle, e le sorbe da piluccare a giorni alterni. Accanto si appendevano il lardo e le salsicce. Il mare era generoso di pesci. Pezzogne e occhiate, merluzzi e mustele. I colli di aragoste venivano essiccati e consumati quando il maltempo avrebbe proibito ogni sortita fuori casa. E il sale sapidamente conservava alici, melanzane, peperoni, pomidoro.

Parla la vecchia donna, arranca gioiosa nel dialetto colorito. Accenna alla parsimoniosa cura con cui si adoperava l’acqua. Veniva tirata col secchio a mano dal pozzo e ogni spreco era punito con una fatica maggiore. Poi passa a ricordare le sere, quando ancora s’era privi di luce elettrica. Ci si raccoglieva intorno alla tavola in cucina e si parlava. I grandi partecipandosi le esperienze del giorno, i giovani anticipando quanto avevano in mente di fare, ai piccoli raccontavano favole per iniziarli magicamente alla vita.

La guardo. Le rughe non impressionano più. Quell’ordito di solchi ha dispiegato un significato vivo che ora comprendo. Non è il tempo che vi segna il passato. Esso è nella cosciente memoria tutto presente.

Questo il brano recitato:

https://www.ponzaracconta.it/wp-content/uploads/2019/09/Le-rughe.mp3 [2]