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Vita da emigrati. L’essenziale

di Pasquale Scarpati
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Nella prima e nella seconda metà del secolo scorso quelli che erano stati costretti ad abbandonare l’Isola a causa soprattutto della mancanza di prospettiva economica per se stessi ma soprattutto per i loro figli (esiguità del territorio rispetto alla popolazione “genuinamente” residente), dovunque andavano, ’mparavene (insegnavano) ai loro figli la lingua “madre”: il dialetto, cioè, quello tramandato degli avi, con le sue “figure” ed i suoi “traslati”.
In terra straniera covavano la speranza di trovare “l’anima gemella” del paese d’origine o per meglio dire, anche tramite parenti e conoscenti, la rintracciavano.
Così le nozze erano celebrate, anche per procura, nella terra d’origine o nella terra lontana, concretizzando il famoso detto donne e buoi dei paesi tuoi.
Di conseguenza non solo erano tramandate le tradizioni culinarie, ma anche i racconti e gli aneddoti. Chi, infatti, non conosceva, anche solo di nome o soltanto in fotografia un parente delle Forna o dei Conti o del Porto: – …È ’a figlia ’i… o ’u figlie ’i… – diceva.

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Da ciò scaturivano racconti che andavano e venivano nel tempo. Se qualche parente o addirittura conoscente, per caso, metteva piede in terra straniera, immediatamente era una gara all’invito: ’u telephone diventava di fuoco. A tavola o nel salotto si parlava di tutto e si pendeva dalle labbra dell’ospite per conoscere le novità isolane: belle e brutte. Si presentavano figli e nipoti. In silenzio si era attenti e curiosi: – Vuo’ ’nu poco ’i cheese? – gli si chiedeva… e giù risate per la famosa storiella di quell’emigrato che voleva il formaggio ma non riusciva a farsi capire dall’esercente. Alla fine, spazientito pare che esclamasse: – Puozz’ess accis! – Al che quello subito gli servì il… formaggio (aveva finalmente capito!!!).
A tavola era una miscellanea di gusti: ’u calamar’ ’mbuttunàt’ e ’a cake; i friariéll’ e le immancabili pannocchie, servite prima e dopo i pasti.
Ospitalità genuina. I litigi per la pietra della parracina o il canale di scolo erano lontanissimi: favole del lupo cattivo o dell’orco.
Questi emigrati, a loro volta, ai loro figli ’mparavene alcuni lemmi dell’antico idioma. Così, quelle rare volte o unica volta che questi ultimi (anche nel senso dell’ultima volta) avevano l’avventura di sbarcare sul suolo dove i loro nonni o genitori avevano visto la luce – ma sempre per iniziativa personale, mai “ufficialmente” invitati o sollecitati a mettere piede sull’Isola – a zia Santella che chiedeva su quale spiaggia avessero calcato il piede, essi rispondevano, non senza “contaminazione”: – Simm’ iùt’ a Spaccapurp’ beach.
Ma questi rampolli, a loro volta, ai loro figli nulla hanno ’mparato né dell’idioma né delle usanze né dei costumi.

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Al curiosone che non si fa mai i fatti suoi e vuole ficcare il naso dappertutto e si chiede e chiede come mai succede questo, il solito sardonico risponde: – Al tempo delle cartoline postali, delle buste colorate sui bordi (che giungevano al destinatario dopo giorni e mesi come se provenissero dalla luna. A zio Gennarino i miei auguri di Natale arrivarono per… Pasqua!), quando la penna risultava più pesante della zappa, si manteneva vivo il ricordo attraverso il racconto orale con la speranza che, prima o poi, essi stessi o i discendenti potessero mettere piede sull’Isola natia, assaporando i suoi sapori, annusando i suoi profumi, penetrando le mani ed i piedi nel brecciolino, nei sassi e nella sabbia, calpestando le catene e toccando le pietre delle parracine, abbracciando e baciando quelli che ancora vagano per il Porto o la Calacaparra.
Essi non disdegnavano di portare un fiore – anzi era una tappa obbligata – a quelli che guardano il mare dall’alto della Collina. Oggi, al tempo dei social, di skype, delle webcam e di tutte le altre “diavolerie”, si crede che sia bastevole “vedere”; come se la vista potesse abbracciare il tutto.
Ma lo sguardo spesso è ingannevole perché è privo delle altre sfumature che sono “essenziali”. Intendo dire: privo delle “essenze”.
D’altra parte ci fu una volta in cui qualcuno fondava il tutto su discorsi ridondanti e parole roboanti, frasi ad effetto che nulla o poco dicevano, di fatto. Oggi, bandite le frasi o le parole ad effetto, tutto si basa sulla “vista”. Ma questa, anche se accompagnata dal suono, non può essere pregnante. Anzi, è sicuramente riduttiva. E come questa sparisce e si perde senza sapere dove sia andata, così i “i fuoriusciti” spariscono e nessuno si ricorda più di loro.

– Nunn’ è ovère! – interviene stizzita zia Concetta, molto praticante: – Nui ce ricurdamm semp’ d’i migrati: pe’ san Silverio… sì, a san Silverio e cocche vota pure dint’ ’i preghiere – (Non è vero: ci ricordiamo di coloro che sono emigrati quando sta per arrivare la festa di San Silverio (sic!), nella giornata di san Silverio e qualche volta nella nostre preghiere).
Prosegue: – ’Na bella Messa ’a mattina i sette, cocche parola dint’ ’a predica e ’na bella benedizzione.
E poi? – chiedo: – E po’chi s’è viste, s’è viste! – risponde allontanandosi, guardando avanti e arrancando col bastone – Ammen.
Trovandomi nel discorso, le faccio eco: – Amen
– Pascali’ – interviene Gaetano – ’Sti strunzate ’i rievocazioni nostalgiche, lasciale perdere; tant’ ca’ ognuno ten’ a che fa’.
“L’Amato Scoglio”, comme dice Silverio Guarino, nunn’ è fatt’ pe’ ’sti cose a vacant’, ma p’a moneta sunante.
– Ahè – gli rispondo – si’ addeventate pure poeta? – Scoppiamo a ridere.

Come si fa ad augurare e ad augurarsi che quelli di lontano contribuiscano al sito di origine dal momento che non si consente loro di “afferrare” nulla né del presente né del passato? Probabilmente qualcuno pensa che in quelle terre lontane ci sia… l’eterna giovinezza! Nel senso che quelli che andarono via in età giovanile rimangono sempre tali e che pertanto possano portare il loro contributo per l’eternità. Magari fosse!
Sarà vero? Andrò e constaterò.
Nel frattempo penso che costoro abbiano diritto a qualcosa in più di una semplice Messa mattutina.
Cu ’a capa fresca – sottolinea il solito Gaetano toccandosi le tempie: ci accorgiamo di averle canute e stempiate

Pasquale