di Gabriella Nardacci
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Quest’anno ricorre il centenario della nascita di Primo Levi nato a Torino nel 1919, da una ricca famiglia ebrea.
Questa data dovrebbe riportarci su riflessioni importanti a proposito della ‘memoria storica’ e sua conservazione e cura, così che la testimonianza di Primo Levi, come quella di altre persone, serva a non far ripetere gli orrori di ciò che la storia racconta e documenta.
In tante parti del mondo sono stati organizzati eventi, convegni, tavole rotonde, corsi, letture, proiezioni di film e documentari che raccontano e ricordano Primo Levi come “uomo di pensiero”. Alcuni di questi eventi si sono svolti e altri sono ancora in corso.
Primo Levi è uno dei sopravvissuti ai lager nazisti. Fu deportato ad Auschwitz e si salvò grazie alla scarlattina perché i tedeschi abbandonarono gli ammalati quando arrivarono i Russi.
Dopo Auschwitz radicalizzò il suo ateismo. Diceva: “C’è Auschwitz quindi non può esserci Dio; non trovo soluzione al dilemma. La cerco ma non la trovo”, e ancora: “Quando non si riesce a dimenticare, si prova a perdonare”.
Un insegnamento questo, che dovrebbe appartenere a chi ha fede e vive professandola e rispettandone i principi.
Ma nonostante il suo ateismo, riservò il perdono ai suoi aguzzini, e questo per me è stato uno dei suoi insegnamenti più importanti.
Fu ritrovato morto alla base della tromba delle scale della sua casa e ancora oggi c’è chi dice che ciò non è stato per cause accidentali quanto per quel senso di colpa che si portava dietro per essere sopravvissuto al lager.
In alcuni dei suoi scritti Primo Levi invita a non farsi ingannare da quelli che possono farci allontanare dal passato. Il ricordo di ciò che è stato si deve condividere affinché la storia di ognuno si aggiunga alle altre storie diventando memoria collettiva.
“Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità non meritiamo di esistere”.
Grande Umanità e senso di Amore a tutto tondo, pur conservando pensieri e credi diversi. Insegnamenti di un tempo, ancora oggi validi. In un “oggi” che vede sempre più cattiveria, invidia, corsa al potere e dove molti “rappresentanti del popolo” arrivano senza un “bagaglio” e dettano legge.
Farei tappezzare tutto le strade, le scuole e qualche palazzo con frasi e pensieri di uomini grandi che hanno fatto parte della Storia… nonché con foto relative a quelle brutte parentesi di storia che hanno visto guerre, soprusi, violenze e sangue e dove l’odio e il rancore continuano a seminare vittime.
E, a proposito di fotografie, giorni fa, mentre sbrigavo le faccende domestiche, ho ascoltato stralci di un’intervista in tv, al famoso fotografo ‘paparazzo’ Rino Barillari.
Gli hanno chiesto cosa pensasse delle foto che si fanno con il cellulare. Ha risposto con voce amara che oggi siamo tutti scomparsi. Ha detto che una volta, le pareti delle nostre case, erano tappezzate di foto dei nostri parenti, di paesi visitati, di eventi felici… relative insomma a tutta la vita trascorsa.
La potenza delle emozioni che si prova nel guardare le fotografie, non è pari a quella che si ha guardando una immagine sul telefonino.
Mia madre ha le pareti tappezzate di foto. Io ho conosciuto i nonni dei miei genitori attraverso di esse e tante sono state le informazioni utili ricavate.
Mi sono ricordata della scatola di legno dove mia madre conserva le sue fotografie e insieme a lei le abbiamo riviste; è stata un’emozione grande per tutte e due.
Il comò pare un santuario perché, accanto a foto di matrimoni, nascite e prime comunioni, ci sono anche quelle relative a persone care scomparse e fra loro santini di madonne addolorate e piccole statuine di santi.
Qualche giorno fa una persona è passata a salutare mia madre e si è fermata più del solito a guardare tutte queste foto facendosi raccontare da lei, la storia di ognuno. Quando se ne è andata ha ringraziato ed era visibilmente commossa.
Ho sempre cercato di sfruttare questo linguaggio delle immagini nel mio lavoro a scuola. Ogni volta ne è uscito un libricino che i ragazzi hanno conservato con amore.
Fiabe e storie, poesie e filastrocche
La lettura delle immagini è sempre un esercizio importante per i bambini. Occorrerebbe sfruttare la loro memoria fotografica perché ciò che guardano è strettamente connesso a ciò che pensano e a ciò che ricordano di aver ascoltato dai grandi.
Scrive un bambino nel suo quaderno:
…Questi sono i bisnonni materni: lui si chiama Gilfrodio, lei Itala (ma tutti la chiamavano Ida). Da loro nacque la scaletta: Ida, Ada Ida. Lei era casalinga, lui era un poliziotto. Durante la seconda Guerra Mondiale nascosero nel pollaio dietro casa alcuni “partigiani” e la bisnonna portava loro da mangiare nascondendolo dentro la parannanza fingendo di portare il cibo alle galline. Il bisnonno Gilfrodio era originario di un paese in provincia di Viterbo. La bisnonna Ida era originaria di Sellano, un paese di montagna, in provincia di Perugia.
La scuola più vicina era a 3 km di distanza e i bambini dovevano andare a piedi. L’inverno era freddo e nevicava, cosi lei e i suoi compagni, per riscaldarsi le mani, portavano con loro una patata lessa ancora calda. Quando si freddava, bussava ad una casa, lasciava quella fredda e la scambiava con una calda. Così bussando di casa in casa, passo dopo passo, arrivavano a scuola. Naturalmente le case a cui bussavano lo sapevano e li aspettavano ogni mattina.
E un altro riporta questa foto:
Voglio concludere con questa breve poesia che scrisse un mio alunno nel “Giorno della Memoria”, dopo aver ascoltato tutta la biografia di Primo Levi.
Per non dimenticare…
Auschwitz, campo di dolore
per povera gente priva di diritto
mal giudicata da gente malata
malata di odio e di rancore,
poveri bambini,
in camere senza ritorno.