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Note sul Premio Ponziano Letterario

a cura di Rita Bosso

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Sabato 31 agosto sarà assegnato il premio Ponziano Letterario allo scrittore Enzo Striano. Pubblichiamo la recensione del romanzo Il resto di niente del prof. Eros Grossi, docente di Italiano e Storia che, nel 2017, ha partecipato alla ricerca sul confino APPonza. 

Niente resta invano
di Eros Grossi

“La plebe diffida dei patrioti perché non gl’intende”
(Eleonora Pimentel Fonseca)

Al termine della lettura del romanzo Il resto di niente, tornando alle vicende storiche in esso narrate e al titolo che l’autore vi ha voluto incidere sopra come un epitaffio beffardo, in tanto agitarsi di passioni politiche e umane, il lettore potrebbe chiedersi: perché un giudizio così impietoso sulla gloriosa, seppur breve, rivoluzione napoletana del 1799? Una storia così votata al martirio dei suoi protagonisti meriterebbe una equanimità maggiore.


Eppure, è proprio Striano, dal cantuccio della sua nota d’autore riservatasi al termine del romanzo, a consentirci di spiegare. La Storia ci ha lasciato nei suoi annali i nomi dei protagonisti, le loro azioni e una città bella e crudele che fa da sfondo al loro operare; all’inventore moderno di storie spetta il compito di soffiare di nuovo la vita in quei personaggi che le cronache del tempo hanno fissato nell’istante del loro agire. Il confronto del romanziere napoletano non può allora che essere con il Manzoni, l’autore che più di tanti altri grandi ha approfittato della Storia per la costruzione del proprio narrare. Eppure, una differenza esiste (e non da poco) tra lo scrittore impegnato nel trarre fuori dall’anonimato delle grida secentesche le genti meccaniche e di piccolo affare che non avevano voce e lo scrittore i cui personaggi una voce l’avevano e spesso anche espressa chiaramente su trattati di economia settecenteschi o su fogli rivoluzionari.


Sembra quasi di vederlo Striano, mentre legge le parole di Eleonora Pimentel Fonseca, chiedersi quale travaglio interiore celassero in fondo le parole infuocate dettate dall’agone rivoluzionario oppure domandarsi quale fosse la vera voce di questa eroina, in quel momento in cui l’azione politica le chiedeva di piegare al compromesso il suo ideale.
Chissà se in quel cenacolo di illuministi, se nelle parole di Vincenzo Sanges contro il massimalismo di chi vuole “tutto o niente, repubblica o morte” o nel suo declamato rifiuto della violenza (quasi intesa in senso leninista) come strumento necessario per la presa del potere, non riecheggiasse il ricordo biografico dei dubbi e dei dissapori che segnarono la militanza comunista dell’autore, conclusasi con i fatti d’Ungheria, quando l’identificazione del partito come unico depositario della moralità, secondo la vulgata gramsciana, deflagrava davanti ai carri armati sovietici che entravano nel centro di Budapest.
Tutti dubbi legittimi, però a ben vedere inutili; dal momento che, come già insegnava Marcel Proust, leggere un romanzo alla ricerca di legami con la vita del suo autore equivale ad aggirarsi per un cimitero sulle cui lapidi il tempo abbia cancellato i nomi dei defunti.

Cosa resta, allora, oggi del Resto di niente?
Resta la voce di Eleonora, una grande protagonista femminile, di cui nella nostra letteratura abbiamo pochi eguali. La sua disillusione, il suo crepuscolo degli ideali, il suo guardare alla vita come ad una tensione continua tra sogno e reale, la rendono una figura eterna, liberata finalmente dalla contingenza della sua storia personale.

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