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La favola del re Travicello adattata a Ponza

di Gigi Tagliamonte
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“La favola che Fedro attribuisce ad Esopo racconta…” doveva essere un incipit molto comune quando la diffusione delle idee era affidata per la maggior parte alla trasmissione orale, ma è quello che devo usare per riportare il racconto del Re Travicello.
Come molti sapranno narra di uno stagno popolato da rane nel quale l’assenza di regole, il disordine, la conflittualità, regnavano testimoniati da un gracidare continuo.
Alcune di loro, stanche dello spazio che questa situazione lasciava ad arroganza e prepotenza, andarono da Giove per chiedere un re.
Questi acconsentì, prese un ramo, lo lasciò cadere nello stagno e… gli affidò l’incarico d’esserne il Re.

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Il tonfo che fece giunto da tale altezza, fisica e morale, zittì le rane. Questo silenzio sopì anche i contrasti e la vita sembrò scorrere più ordinata. Ma, i conflitti, in realtà, restavano. Le rane iniziarono ad andare dal Re per chiedere regole e soluzioni, la risposta fu costante e coerente con la sua natura. Qualcuna fu contenta di non aver ricevuto un “No!”.
Altre cominciarono a rendersi conto che la cosa non funzionava e, mentre la situazione lentamente tornava a degenerare, provarono ad affiancare delle interpreti ed una portavoce al Re. Ma, adesso la statistica suggeriva che il rimedio fosse peggiore del male, gli amici degli amici ebbero mediamente più concessioni e permessi che non la rana qualunque.

Così fu che lo stresso gruppetto che c’era già stato tornò da Giove una seconda volta per contestare l’inutilità di siffatto sovrano. Anzi, dissero, analizzando nel dettaglio come è perché non funzionasse, che le cose andavano addirittura peggio che prima. Chiesero quindi un re che fosse più determinato, punisse i colpevoli, risolvesse i problemi.Giove, comprensivo e disponibile, scostò il ramo e depositò nello stagno un serpente.

Le rane percepirono subito il cambiamento, questo Re si muoveva, girava tra i giunchi, spuntava all’improvviso, con occhio vigile scrutava lo stagno. Così, rispolverando un vecchio fatto, portarono al suo cospetto una rana, rea di un qualcosa, che da tempo aspettava di essere giudicata. La questione era complessa e nessuna aveva voluto assumersi la responsabilità di pesare diritti e doveri. Il Re la divorò in un boccone.
Le rane furono entusiaste, giustizia è fatta, le cose da ora andranno meglio.
Diffusasi questa notizia, il giorno dopo una rana, che aveva una rivendicazione ancora più complicata sulla quale le anziane non avevano soluzione e che il deposto Travicello non aveva neanche affrontato, si presentò al cospetto del Re Serpente ed espose tutta la sua storia. Il Re la divorò, in un solo boccone, eliminando il problema alla radice.
L’aria nello stagno in breve cambiò, nessuna si faceva notare e non ci furono più questioni tali da meritare di essere portate al cospetto del Re.

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Pur sostenendo che ogni riferimento a fatti e personaggi attuali è puramente casuale devo ammettere che qualche analogia salta agli occhi.
La fiaba, per evidenziare meglio le contraddizioni, estremizza i comportamenti, ma le cronache, ufficiali ed ufficiose, dei fatti che precedettero l’ultima campagna elettorale comunale non avevano fatto altro che ricordarmela.
Per questo, come tanti altri, avevo deciso di sottrarmi al diritto dovere di votare per non assumermi la mia quota di responsabilità per questa jattura che si prospettava per Ponza. Vedevo, come vedrei tuttora, un male peggiore dell’altro.
Fin quando iniziò a circolare voce di una presenza in una lista, fu allora che, avutone conferma, decisi il mio voto. Sono certo che la genesi di quasi centonovanta voti, ma forse di più, è stata simile.

Ora noi non abbiamo Giove al quale chiedere re o amministratori e rimproverargli poi la scelta; ma questo onere (di essere rimproverato) è tanto di chi vota quanto di chi si candida.
L’alchimista non può sottrarsi all’accusa di aver costruito una chimera, l’elettore non può continuare a tracciare croci su promesse fantasiose, inconsistenti, incoerenti con lo stesso modello di collettività proposto (quando c’è).

Non posso che ammettere che un voto e maggiormente una preferenza non può essere letto come “vai e fai buone cose”. Convengo che la comunicazione bidirezionale tra eletto ed elettore deve essere mantenuta viva, ma anche vivace e per tutta la durata del mandato.
Tendiamo ad associare il candidato ad un progetto indefinito di società; ma è un progetto che risiede diverso in ciascuno e che riconosciamo essere al di fuori degli obiettivi possibili, limite superiore esterno all’insieme delle realtà e delle contingenze.
Sarà per questo fallimento programmato che si arrabbiano molto più i sostenitori delusi che non gli avversari sconfitti.
Quanto dobbiamo attendere per vedere concreti atti amministrativi che vadano nella direzione di avere un pantano vivibile per tutte le ranocchie?

 

Appendice del 19 agosto h 23,50 – Allegato al commento di Sandro Russo: Ezio Mauro. Editoriale Crisi Di Governo [4]