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Il nuovo libro di Silverio ‘u Brigantino presentato a Le Forna

di Rosanna Conte

 

Silverio ‘u Brigantino ieri sera ha potuto ritenersi soddisfatto: il suo libro doveva essere un momento di riflessione e di ulteriore scavo nella memoria isolana per ritrovarsi, insieme al pubblico, a toccare con mano quegli aspetti della vita quotidiana che hanno sempre aggregato la nostra comunità. Le credenze popolari sono le conoscenze pre- e a-scientifiche su cui si sono rette le comunità dai tempi più remoti perciò non ci dobbiamo meravigliare se si somigliano, nonostante la distanza dei popoli che le hanno conservate.

Silverio è stato contentissimo di non avere un palco, come invece è successo domenica sera sul sagrato della chiesa al Porto, quando il suo libro è stato presentato a più voci che sono rimaste, però,  molto circoscritte. La distanza che, volente o nolente, impone il palco, è un ostacolo ad eventuali interventi del pubblico che, invece, ha più facilità alla parola se si crea un clima da salotto, se si riesce a guardare negli occhi chi sta parlando annullando i ruoli di relatore e pubblico.

Il piazzale  della chiesa delle Forna  predisposto per la serata era stracolmo e l’attenzione è stata massima. La tematica delle credenze popolari è stata posta attraverso delle clip con testimonianze dirette di persone ormai scomparse, e dal pubblico sono venute testimonianze indirette: mi ha raccontato mio padre o mio nonno, si diceva… e non avrebbe potuto essere altrimenti. Oggi, quando prevalgono le comunità virtuali, non si bada ad uno dei collanti fondamentali della comunità reale sconfitto dalla medicina, dalla velocità delle comunicazioni, dal superamento delle distanze spaziali con sistemi di visualizzazione alla portata di tutti. Permane la figura di San Silverio che aggrega sull’isola, ma anche fuori, specie i ponzesi sparpagliati per il mondo.

Quanto si è raccontato ieri sera ha riguardato noi ponzesi, a parte una parentesi sulle somiglianze tra il nostro munaciello ed una credenza similare del Senegal, pervenutaci  dal giovane Bubu tramite Enzo Di Giovanni della cui famiglia ormai fa parte (vedi qui [1]).

Le credenze della nostra tradizione affondano le loro radici nella cultura napoletana anche se ci sono delle differenze legate  a motivazioni  storiche o comunque di contesto.  Sulla nostra isola abbiamo conservato il munaciello, ma abbiamo tralasciato la Bella ‘Mbriana (vedi qui [2]):  le condizioni piuttosto misere dei nostri antenati, non permettevano di pensare che in casa ci potesse essere la fata buona e del resto il munaciello poteva, all’occorrenza, diventare anche dispensatore di ricchezza.

Le orazioni e le novene appartengono alla categoria della gestione dell’angoscia che caratterizzava l’attesa delle donne mentre i mariti, i figli, i padri stavano lontano per lavoro o anche per la guerra. A Procida la stessa funzione era svolta dal quatriddu, una sorta di specchio magico coperto da un panno.

Varie le voci che hanno portato la loro testimonianza indiretta su tematiche diverse – Sandro Vitiello, Enzo Di Giovanni, Giuseppe De Luca, Gennaro Di Fazio, Mario Balzano – nella quasi totalità circoscritte alla nostra isola. E’ stato un momento di reale approfondimento all’interno del quale Mario Balzano ha lanciato un’ulteriore ricerca sul canto della lavandaia di cui ricordava solo qualche strofa.

Forse è la strada che ci consente di riannodare nodi interrotti secoli fa: a Ponza, le lavandaie non andavano alla fonte a lavare i panni, ma lo facevano nel chiuso delle grotte dove il fumo per bollire l’acqua e fare la liscivia rovinava le mani, la vista e i polmoni come successe a Lucia Mazzella, moglie di Fabrizio Coppa nel ‘700.

Diciamo grazie a Silverio Mazzella per l’immenso prezioso lavoro che ha svolto: il suo è un libro corale con una pluralità di volti, voci e testimonianze che rappresenta in pieno l’anima ormai tramontata della nostra comunità ponzese che altrimenti andrebbe perduta.